LA FABBRICA DEVE DIVENIRE LUOGO DI CULTURA E DI ARTE

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presidente del maglificio Della Rovere, Longastrino (FE), vice presidente nazionale di Piccola Industria Confindustria e di Confindustria Emilia Area Centro

A proposito del tema di questo numero della rivista, L’entusiasmo e la tensione, è diffusa l’opinione che i giovani non abbiano entusiasmo per il lavoro, e questo sarebbe uno dei motivi per cui sono propensi a cambiare spesso azienda e addirittura paese, se non trovano le condizioni che ritengono ideali. Che cosa può dirci in merito, a partire dalla sua esperienza di imprenditore e di vice presidente nazionale di Piccola Industria Confindustria?

Partirei dalla constatazione di alcuni aspetti che si sono profilati in modo lampante negli ultimi anni nel mercato del lavoro. Indubbiamente, è problematico l’inserimento dei giovani, che sono sempre di meno e per di più sono alle prese con una concorrenza internazionale molto forte, perché gli stipendi in Italia sono decisamente più bassi, a causa del cuneo fiscale, che non permette alle nostre aziende di sostenere un aumento delle retribuzioni tale da essere adeguata ai costi generali della vita. Oggi è difficile per un giovane riuscire a mantenersi con uno stipendio medio, e questo è fonte di disparità, insieme ai costi che le famiglie devono sostenere per mandare i figli all’università. Basti pensare che l’iscrizione annuale alla facoltà d’ingegneria, per esempio, in vent’anni è passata da 200.000 lire a 3000 euro.

Tuttavia, l’entusiasmo dei giovani per il lavoro è riscontrabile se ci spostiamo nei settori delle nuove tecnologie, in cui c’è una grande proliferazione di start-up, capaci d’inventare soluzioni software straordinarie, che si applicano alla finanza, all’intelligenza artificiale, ma anche alla genetica, alle biotecnologie, all’energia e all’economia dello spazio. È all’ordine del giorno l’attivazione di nuove imprese che spesso trovano un’accelerazione del loro sviluppo grazie a fondi di venture capital, non soltanto perché ricevono risorse finanziarie indispensabili per la loro crescita, ma anche perché trasformano il loro modello di business, avvalendosi della consulenza di persone esperte, in grado di valorizzare i capitali investiti e i talenti dei fondatori.

Un settore in cui l’investimento nelle start-up registra una crescita esponenziale negli ultimi anni è quello della nuova economia dello spazio, la cosiddetta New Space Economy. Dopo avere registrato un calo del 4% nel 2020 a causa della pandemia, nel 2021 il settore ha raggiunto un valore di 370 miliardi di dollari (la navigazione satellitare e i sistemi di comunicazione satellitare continuano a essere i maggiori contributori di crescita, rappresentando rispettivamente il 50% e il 41% del valore complessivo del mercato) e si stima che proseguirà la sua corsa con una crescita del 74% entro il 2030, anno in cui dovrebbe raggiungere i 642 miliardi di dollari (Space Economy Report - Euroconsult). Nel nostro paese emerge una specializzazione nella manifattura spaziale, una filiera che conta 286 imprese, nate dopo gli anni duemila e di piccole dimensioni (oltre la metà è sotto i 2 milioni di fatturato). Realtà piccole, ma iper-specializzate che vanno dalla progettazione software alla rielaborazione di dati satellitari, passando per la produzione di componenti per i veicoli spaziali e per le telecomunicazioni via satellite.

Faccio l’esempio di Apogeo Space, azienda bresciana nata nel 2013, finanziata dal Fondo Primo Space, che ha già dato il proprio contributo a progetti di Esa, Asi e Nasa. Con i 5 milioni di euro ricevuti, Apogeo Space realizzerà entro il 2027 una costellazione di 100 pico-satelliti in grado di garantire Internet delle cose (IoT) a livello globale. Entro la prima metà di quest’anno sarà messo in orbita il primo blocco di 20 unità, un numero sufficiente a recuperare i dati da dispositivi IoT in ogni punto del globo entro 30 minuti.

Pensiamo alla rivoluzione che comporterà una rete mondiale di satelliti che permetterà una raccolta di informazioni capillare sull’intero pianeta, cosa che si tradurrà in una serie di servizi di cui potremo usufruire a costi molto ridotti, come, per esempio, il controllo dei livelli di pesticidi o di altre sostanze presenti su un appezzamento di terreno coltivato, in modo da programmare gli interventi necessari per ottimizzare le risorse impiegate e ridurre i costi di gestione. Servizi simili sono chiaramente già disponibili, ma in futuro diventeranno accessibili a un più vasto numero di utenti. Sarà una rivoluzione proprio come quella informatica, che è partita negli anni sessanta e settanta, con i primi grandi computer per l’elaborazione dei dati riservata ai grandi gruppi industriali e finanziari, ed è arrivata alla diffusione attuale del digitale e alla raccolta dati attraverso i nostri cellulari e i sensori installati negli oggetti di uso quotidiano.

Anche il settore della finanza e dei servizi assicurativi innovativi è cresciuto nel 2022 grazie alle start-up, che nel nostro paese sono 630, con una capacità di raccolta superiore ai 900 milioni di euro di funding nel 2022, raggiungendo complessivamente 3,7 miliardi di euro dal 2009 a oggi.

Ma che cosa si può fare per coinvolgere i giovani anche nella manifattura, considerando che non sparirà dal nostro paese, come invece si temeva in seguito alla crisi del 2008. Anzi, pare che il made in Italy sia decisamente in crescita…

È proprio ciò che emergeva in un articolo di Marco Fortis pubblicato sul “Sole 24 Ore” (La trasformazione vincente (e non detta) della manifattura italiana, 25 febbraio 2023), che invitava a leggere i dati in maniera più appropriata, affinché la fotografia dell’Italia fosse più realistica. L’articolo rilevava come, dagli anni novanta a oggi, noi non abbiamo aumentato i volumi della produzione, che sono cresciuti di appena l’1,8%, ma il valore, che ha raggiunto il 55,6% in più sui beni esportati. Questo vuol dire che abbiamo intercettato la domanda internazionale crescente di un prodotto qualificato, non soltanto nei settori della moda e delle supercar, ma anche in quelli dell’alta tecnologia e dei macchinari performanti. È un dato molto interessante che suggerisce come i giovani possono entrare anche nei mercati più tradizionali del manifatturiero – in cui è sicuramente più difficile avviare una start-up, per esempio nel campo della moda –, però possono dare il loro contributo nei processi di digitalizzazione e internazionalizzazione di questi comparti industriali in crescita. E oggi le applicazioni digitali che possono essere utilizzate a vantaggio della manifattura sono veramente tante. Per esempio, per il settore della moda, c’è un’applicazione che utilizza i raggi X, proprio come quelle usate negli aeroporti per scansionare il contenuto delle valigie, in grado di controllare se in un pacco in spedizione sono presenti oggetti non conformi, come un ago o uno spillo rimasti all’interno del capo, oppure controlla se il numero di bottoni corrisponde alla distinta base di prodotto. Una macchina a raggi X ha decine di applicazioni: può riscontrare una microfrattura all’interno di un pannello di marmo o nelle ruote di un treno, microfratture strutturali che non sono sempre visibili, però sono indizi di rotture che avverranno nel tempo e provocheranno danni enormi. Sono applicazioni che favoriscono l’ingresso dei giovani nel lavoro perché esigono nuove specializzazioni e nuovi mestieri, sempre più interessanti.

A parte le attività che ruotano attorno alle nuove tecnologie, però, lei non nota nel resto dell’industria una tendenza da parte dei giovani a cambiare azienda dinanzi alle prime difficoltà?

Sì, purtroppo, molti cambiano per evitare di affrontare i problemi, non perché hanno raggiunto un grado di competenza o un livello di carriera talmente avanzati che non trovano più spazi di crescita nell’azienda in cui lavorano. E spesso non osano neppure chiedere ciò che ritengono importante per loro, lasciano il campo di battaglia per un altro campo, sperando che sia diverso. Tuttavia, per l’imprenditore non è facile capire come coinvolgere e trattenere i collaboratori. Stiamo parlando di persone che ragionano in maniera differente rispetto alla nostra generazione, con le quali non possiamo certo usare i nostri stessi paradigmi. Mi sembra che oggi sia importante il legame con il territorio, non tanto con la famiglia, come avveniva fino a qualche decennio fa. Se un collaboratore trova un ambiente che gli offre ciò di cui ha bisogno in termini di servizi e di relazioni, allora, è più disposto a rimanere in quel luogo, anche se è in provincia, perché può avere i suoi vantaggi come l’equidistanza dal mare, dalla collina e dalla città, nonché la possibilità di abitare in mezzo al verde a prezzi più accessibili rispetto alle zone residenziali urbane. Un altro aspetto cui l’imprenditore deve porre attenzione è la formazione, che non può più avvenire nei tempi lunghi dell’affiancamento da parte di un senior: oggi i percorsi formativi devono essere veloci perché i saperi diventano presto obsoleti. Quindi le aziende devono mettere in piedi un’Accademy, con insegnanti preposti, che seguono i collaboratori nello sviluppo di strumenti non soltanto lavorativi, ma anche relazionali e di responsabilità verso gli altri componenti del team. Anche perché i giovani oggi hanno molte capacità tecniche, ma non sono così pronti per il lavoro in team, tendono a chiudersi nel proprio “ufficio” e a delimitare le proprie aree di competenza, meravigliandosi quando devono occuparsi di qualcosa che esula apparentemente dai propri compiti specifici. Certo, le nuove tecnologie non alimentano l’incontro e il gioco di squadra. Pensiamo a un ragazzo che andava in vacanza all’estero trent’anni fa: viveva una vera e propria avventura, non aveva Google Maps, né il cellulare per essere costantemente connesso e chiamare spesso i genitori, quindi doveva ingegnarsi per costruirsi le mappe, chiedere informazioni alle persone e accorgersi che gli altri erano essenziali alla riuscita del suo viaggio. Non sono nostalgico di quel periodo, preferisco la tecnologia che mi porta ovunque e mi consente di scegliere le cose migliori, però penso che quell’allenamento ci disponesse all’incontro, ci portasse meglio a capire gli altri e a lavorare in team. È uno sforzo che le nuove generazioni devono compiere, soprattutto se pensiamo che ormai la popolazione aziendale è multietnica: solo vent’anni fa, nella nostra azienda, Della Rovere, lavoravano quasi esclusivamente persone di Longastrino, oggi la metà delle persone non è nata in Italia, perché gli italiani stanno abbandonando i lavori manuali. Eppure, amano vedere le sfilate di alta moda, senza contare che ciascuna sfilata è frutto delle mani di tante sartine ormai sempre più spesso provenienti da altre nazioni. Forse dovremmo esporre nelle nostre fabbriche le foto dei prodotti contestualizzati, per fare in modo che i collaboratori abbiano sempre davanti il valore del loro lavoro, anziché credere che il loro compito sia limitato alla realizzazione di un singolo componente: devono capire che ciascun pezzo è indispensabile all’opera – sia essa un’auto o un vestito – e potere ammirarne la bellezza nel suo complesso. Così, le nostre fabbriche saranno ancora più belle e, magari, anche i giovani italiani saranno più propensi a vivere la fabbrica come luogo di cultura e di arte.