COME SI DIVIENE INTERLOCUTORI NELL’ORGANIZZAZIONE DI UNA FILIERA INTEGRATA

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presidente del maglificio Della Rovere, Longastrino (FE), vice presidente nazionale di Piccola Industria Confindustria e di Confindustria Emilia Area Centro

Il maglificio Della Rovere – che porta l’eccellenza made in Italy nelle più prestigiose boutique del pianeta, ora anche con il marchio Cains Moore – sta dando prova di riuscita nell’organizzazione della filiera integrata con i laboratori artigiani suoi subfornitori. È un esempio che rivoluziona il settore del tessile abbigliamento nel nostro paese, non tanto perché assecondi gli appelli alle aggregazioni in risposta alle criticità dimensionali del nostro tessuto industriale, quanto perché la filiera integrata offre strumenti di crescita della cultura d’impresa a piccole realtà che non sarebbero mai riuscite a compiere un salto di qualità come quello che occorre per mettersi in gioco nel mercato globale. In che modo lei svolge la funzione di interlocutore in questo processo di trasformazione che tocca non soltanto gli artigiani della vostra filiera, ma anche le aziende iscritte alla Piccola Industria di Confindustria, di cui lei è vice presidente nazionale?

Gli artigiani che lavorano con la nostra azienda sono micro imprese che hanno ereditato l’arte del tessile tramandata da generazioni, ma che da sole non riuscirebbero ad affrontare le sfide di un mercato globale, tanto meno quello del lusso che basa la sua forza sul made in Italy e richiede requisiti sempre più stringenti sia organizzativi sia di sostenibilità. Negli anni ottanta si diceva: “Piccolo è bello”. Poi, le piccole imprese sono state spinte verso le fusioni, ma soprattutto verso le acquisizioni da parte delle grandi, che spesso comportavano una scarsa valorizzazione del patrimonio di manifattura artigianale, se non una sua cancellazione, per rispondere a esigenze di ottimizzazione produttiva. Certo, la produttività è un tema tutto italiano, perché siamo un popolo estremamente creativo e rischiamo di assottigliare troppo i margini a causa di una continua variazione di prodotti e di processi che, se è non governata, porta all’improvvisazione. La nostra scommessa è stata quella di mantenere la qualità artigianale del prodotto, senza rinunciare alle economie di scala di un’organizzazione industriale. Per questo dobbiamo fare in modo che i nostri artigiani non sprechino tempo in attività non remunerative, stipulando accordi di filiera, rimappando la catena del valore e delle decisioni lungo la filiera, fornendo loro macchinari sempre all’avanguardia e dando sicurezza di continuità con minimi garantiti, sia quantitativi sia di durata, nella collaborazione. È una logica che oggi è permessa anche grazie all’introduzione delle nuove tecnologie: avere la possibilità di monitorare a distanza le macchine che operano nei laboratori artigianali consente di considerare l’artigiano come parte della nostra azienda allargata.

La sfida della crescita qualitativa delle piccole imprese si vince con le certificazioni, la formalizzazione delle procedure e la sostenibilità, ma soprattutto con l’introduzione di KPI (Key Performance Indicators) che consentono di misurare i risultati ottenuti anche in corso d’opera. Sta qui la portata di chi ha la funzione d’interlocutore, che deve promuovere la comunicazione in modo costante e non può accettare il sistematico scarico delle responsabilità dinanzi a un problema che coinvolge più attori di filiera, come accade, per esempio, quando si manda una mail a “cinquanta” destinatari, in cui non è chiaro chi deve fare cosa; oppure quando qualcuno denuncia qualcosa che non funziona, senza porsi la questione delle cause o, peggio, senza mettere gli interlocutori in condizioni di capire il problema stesso. Nella stragrande maggioranza dei casi di fronte all’emergenza di una problematica in azienda, parlando, si trova uno sbocco che non riguarda soltanto il singolo problema, ma l’intera procedura. In questo modo, qualcosa che veniva considerato semplicemente un errore può divenire un’occasione per chiedersi se la procedura che si sta seguendo sia corretta o se non occorra invece modificarla in virtù delle novità che magari sono intervenute, soprattutto all’esterno dell’azienda.

La complessità e, soprattutto, la velocità di cambiamento del mercato non consentono alla struttura aziendale di essere ingessata. Tuttavia, richiedono un assoluto rigore nelle procedure, per garantire tempi di consegna, standard di qualità del prodotto e risultati economici attendibili. Al mercato non interessano neppure i problemi delle nostre filiere perché ciascuno deve risolvere i propri. Questo è anche il motivo per cui noi affianchiamo gli artigiani e i loro collaboratori – perché acquisiscano strumenti di analisi e di misurazione dei risultati e si accorgano subito se c’è un errore, anziché andare avanti producendo pezzi difettosi e sprecando tempo e materia prima costosa come i nostri filati in cashmere e in altre pregiate fibre naturali – con incontri periodici di formazione e informazione, soprattutto in momenti di grandi variazioni come quelli che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e mezzo.

Quali messaggi ha dato ai subfornitori in questi anni?

Ho sempre comunicato la visione, ciò che mi sarei aspettato nei mesi successivi. Quando, per esempio, loro temevano il disastro a causa della pandemia, io li invitavo a rimanere tranquilli e a resistere, perché il calo non avrebbe superato il -15%. Così è avvenuto: nell’anno peggiore della pandemia, il calo si è attestato al -12,5%. Quando poi l’economia è ripartita, li ho preparati a un aumento del 30-40% da gestire con intelligenza, analizzando le proprie risorse effettive e organizzando tutti i mezzi necessari per farvi fronte: una macchina nuova o una persona in più o un allargamento del capannone, l’inserimento di un nuovo software, e così via. Così, ci siamo preparati per tempo ad accogliere il grande incremento post epidemico che abbiamo vissuto quest’anno.

Invece, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, proprio mentre eravamo in piena ripresa, contenti e felici degli ordini che arrivavano a tutto spiano, io invitavo gli artigiani alla prudenza, perché prevedevo un rallentamento, come poi si sta verificando in questi ultimi mesi. Allora, proponevo loro di fare attenzione agli investimenti e d’insistere invece sulla riqualificazione energetica dei propri capannoni, perché già in settembre dell’anno scorso, molto prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, si capiva che l’energia e le materie prime stavano aumentando. Questa era l’informazione trasmessa a tutta la filiera, poi ciascuno prendeva i provvedimenti che riteneva più produttivi, senza entrare nel dettaglio, perché noi non crediamo nella pianificazione troppo rigida, noi dobbiamo soltanto dare informazioni per evitare la rincorsa alle emergenze e far capire che è inutile affannarsi per aumentare la produzione del 20%, per esempio, se poi quel ricavo viene perso in un’inefficienza energetica.

In questo senso anche le simulazioni possono aiutarci a intendere di cosa abbiamo bisogno e quali siano i rischi, ponendoci domande sulle conseguenze dettate da variazioni improvvise delle vendite, dai costi delle materie prime, dai tempi di consegna o dalla mancanza o ridondanza di personale disponibile e delle loro competenze. Le variazioni reali possono avere dinamiche molto forti, come accade con una frequenza notevole negli ultimi anni. Tutto ciò che è seguito alla pandemia ha prodotto una serie di incertezze sui tempi di consegna delle materie prime, non soltanto sui loro prezzi. E questo lo riscontriamo in ogni settore: sono veramente pochi i prodotti in pronta consegna, perché è saltata la sincronizzazione nelle filiere sempre più integrate. Ecco perché oggi fa la differenza chi mantiene la sincronizzazione, ma questo vuol dire fare programmi che tengano conto di queste nuove variabili, rispetto non soltanto alla materia prima, ma anche ai processi di produzione: per esempio, nel nostro settore, è essenziale studiare in tempo reale i dati di vendita dei negozi, anticipare gli acquisti di materie prime, con tutto lo sforzo finanziario necessario, e raccogliere sempre più informazioni dal mercato per migliorare le previsioni di vendita e di conseguenza progettare e monitorare ogni step nell’avanzamento di prodotto. Chiaramente, mantenendo costante la trasmissione di informazioni in tutta la filiera e misurando se veramente si sono ottenuti i risultati attesi. Darsi un obiettivo e andare a misurare ciò che si è ottenuto forse è una delle cose più importanti in azienda, in qualsiasi ambito – una campagna marketing sui social, una raccolta ordini, una previsione di rientro da una fase di lavorazione –, perché i calcoli sono fatti per essere smentiti, ma se non calcoli non capisci neanche perché non hai ottenuto ciò che ti eri prefissato, né con quali mezzi e con quali tempi potresti ottenerlo, quindi non sei in grado di produrre una successiva previsione e neppure una performance adeguata.

Esiste l’incalcolabile perché c’è il calcolo, altrimenti qualsiasi cosa diviene “incalcolabile”...

Nonostante l’incalcolabilità – perché è difficile misurare la bellezza –, un prodotto deve uscire il tal giorno, essere spedito il talaltro e arrivare al cliente quell’altro ancora. Non possiamo eludere il tempo, quindi un frame è necessario, perché qualsiasi tipo di operazione, anche la più “creativa”,dev’essere misurata.

Quali sono i mezzi per acquisire informazioni che consentono di anticipare le decisioni, che poi vengono trasmesse alla filiera?

Oggi aiuta molto l’informatica, che consente l’analisi storica dei dati, ma sono importanti anche gli incontri con i fornitori, con gli stilisti e con tutti coloro che hanno particolare sensibilità nella percezione dei comportamenti umani. Per esempio, per studiare la cartella colori di un girocollo da uomo di cashmere, si deve rispettare l’identità storica del marchio e le atte -se del mercato e dei consumatori, che cambiano repentinamente. L’identità del marchio e il cliente finale fanno la storia di quel girocollo. Riscontro premiante è anche la contaminazione con altri settori merceologici: il vestire non è indifferente all’ambiente in cui ciascuno vive, al design che preferisce, all’auto che usa, al tipo di vita sociale in cui è inserito. Inoltre, l’evoluzione di un’azienda oggi dipende soprattutto dalla tecnologia, dalla ricerca, dall’innovazione, e qui contano le informazioni che attraversano diverse filiere produttive. Non basta essere un grande esperto del proprio prodotto, si deve saper valutare come cambia il contesto. Si tratta di una questione culturale prima di tutto.

Allora, incrociando questa serie di informazioni, possiamo fare una previsione abbastanza attendibile, perché in un mondo che cambia così rapidamente l’anticipazione è il segreto di tutto, e a volte basta un mese di anticipo per cambiare radicalmente il risultato del proprio bilancio.

Questo non vuol dire che non ci siano più problemi, ma, se non avessimo anticipato alcune decisioni negli ultimi due anni, oggi non staremmo parlando di problemi, bensì di disastri.