L’INDUSTRIA DELL’ARTIGIANATO È L’AVVENIRE DELL’ITALIA
Nel suo intervento al convegno I giovani e le imprese dell’avvenire (Modena, 23 novembre 2023), lei ha esortato i giovani a non avere paura di sporcarsi le mani e a entrare nelle PMI, innamorarsi del prodotto made in Italy e valorizzarlo grazie alle nuove tecnologie digitali. Quanti e quali sono i nuovi mestieri che possono nascere dalla combinazione fra tradizione manifatturiera, artigianato e innovazione?
Partiamo dal presupposto che i mestieri e le professioni non s’imparano più a scuola. Oggi la specializzazione ha raggiunto livelli tali che, paradossalmente, essere laureati o diplomati non vuol dire essere identificabili per la professione che si andrà a svolgere. Mentre una volta il titolo di studio incanalava lo sviluppo professionale – perché in fondo le professioni erano in numero minore, molto più chiuse e definite –, oggi un laureato in ingegneria, per esempio, non ha gli strumenti per firmare qualsiasi progetto. Nel mio corso di laurea in ingegneria elettronica, invece, c’era anche l’esame di scienza delle costruzioni, per cui un laureato in ingegneria, dopo avere superato l’esame di stato, poteva certificare la qualità della progettazione, a prescindere dal fatto che si trattasse di un ponte, di una casa o di qualsiasi altro oggetto.
Oggi invece un ingegnere non è “un ingegnere”, ma un ingegnere gestionale o civile o ambientale o biomedico o informatico o aerospaziale o dei materiali o dell’informazione, specializzazioni che al loro interno si articolano in ulteriori sotto branche. Curiosamente, però, chi diventa un grande specialista nel suo ambito ha sbocchi professionali trasversali, perché, per esempio, la fisica delle particelle può essere applicata nello studio del comportamento sia dei materiali sia del le molecole, quindi sia nella scienza delle costruzioni sia nella meccanica sia nella medicina. Sempre più si ri uniscono attorno ai tavoli di ricerca e di lavoro specialisti provenienti da ambiti estremamente differenti per ché nella costruzione di un oggetto o di una macchina o nella diagnosi di una patologia possono essere utilizzati strumenti di informatica, chimica, sensoristica, robotica, automazione, e questo porta ciascuno a non potere definire a priori quale sarà il proprio percorso professionale e spesso a inventare nuove combinazioni in settori inaspettati. Allora, ecco che contano il lavoro in team, la creatività e la capacità di divenire interlocutori di chi ci sta di fronte, per capire le sue esigenze e imparare velocemente cose nuove secondo l’occorrenza, integrandole ciascuna volta con la propria formazione.
Tra l’altro, questa integrazione sarà sempre più indispensabile non soltanto fra uomini, ma anche fra uomini e macchine, soprattutto con la diffusione dell’intelligenza artificiale. Persone di paesi con culture e lingue differenti possono contribuire a un mondo che cambia dalla sera alla mattina. Per questo è fondamentale che il percorso di studi primari e secondari fornisca ai giovani innanzitutto una solida cultura di base: matematica, fisica, chimica, letteratura, arte e tutti quei “mattoni” su cui poi poggerà la specializzazione. E qui non mi stancherò mai di ribadire l’importanza della lettura dei classici, che contribuisce all’acquisizione di strumenti essenziali per intendere il contesto storico e culturale da cui proviene l’interlocutore con cui ci si confronta, altrimenti si rischia il dialogo fra sordi.
Spesso purtroppo emerge il retaggio di una vecchia mentalità, che si aspetta dalla scuola la preparazione dell’ad detto al compito che dovrà svolgere in fabbrica. Invece, le imprese vincenti sono quelle che assumono giovani intelligenti e creativi – con una grande apertura intellettuale e una cultura di base forte, innamorati di un prodotto o di un progetto innovativo – per formarli al loro interno. E non a caso le aziende più all’avanguardia stanno costituendo un’Academy i cui docenti si affiancano agli insegnanti della scuola, che crescono insieme agli studenti, acquisendo e trasmettendo elementi pragmatici della loro materia, accanto al piacere del lavoro e alla soddisfazione di portare a conclusione un progetto. Non solo, alcune di queste stesse aziende si stanno organizzando per divenire luoghi di esperienza per i visitatori provenienti da vari paesi del mondo. La Lamborghini, per esempio, sta costruendo una propria filiera di ricezione turistica: un giorno non lontano, il visitatore potrebbe soggiornare in un albergo che porta il nome della casa automobilistica, dove può vedere sia le automobili sia i cantieri che lavorano alla loro costruzione. Poi, potrebbe fare un’esperienza di training attraverso un tour virtuale di due ore in preparazione del tour vero e proprio e altre attività di grande impatto. Questo fa la differenza e noi dobbiamo valorizzare le eccellenze del made in Italy costruendo esperienze attorno ai prodotti. Altro che limitarci a vendere il cappellino o l’occhiale per la pro mozione del brand. La Lamborghini aveva già pensato d’inserire l’attività degli artigiani in un’esperienza da offrire ai proprietari di auto di tutto il mondo, anche perché una volta a Bologna erano tante le carrozzerie che ristrutturavano auto d’epoca e conoscevano alla perfezione i materiali che si usavano nei vari decenni, sapevano tornire a mano un pezzo di alluminio o di acciaio e facevano riferimento ai progetti originali. Questo tipo di artigianato non esisterà più, ma noi siamo in grado di costruire l’industria dell’artigianato, che è l’avvenire dell’I talia, ne sto constatando il risultato da parte di chi lo sta già mettendo in atto.
Cosa intende per industria dell’artigianato?
Pensiamo alla Carpigiani che fa macchine per il gelato ad Anzola dell’Emilia (BO): ha un’università per insegnare a fare il gelato artigianale, frequentata da giovani di tutto il mondo che diventeranno testimonials e clienti quando apriranno una loro attività o andranno a lavorare come chef in qualche famoso ristorante. Se non valorizziamo i nostri prodotti artigianali, prevale la produzione di massa, che oggi è affidata alla manodopera a basso costo, ma presto sarà di dominio dei robot, come tutta l’industria che ricava il suo valore aggiunto dall’abbassamento del prezzo sul mercato. Nel futuro non c’è più spazio per l’evoluzione dei prodotti commodity. Se per fare un ghiacciolo ieri servivano 0,2 minuti a persona, oggi ne servono 0,02, ma nel futuro si ridurranno a 0,0002 di minuti. Il valore del prodotto artigianale, invece, è destinano a crescere, ma soltanto se attorno a esso si costruisce un’esperienza che coinvolge il visitatore nella storia e nell’arte che stanno alla base di quel prodotto, come ha fatto Claudio Stefani, che ha rilanciato l’Acetaia Giusti, fondata dalla sua famiglia nel 1605, attraverso l’apertura di negozi boutique nel cuore di Modena, Bologna e Milano, in cui i clienti, circondati da aromatiche botti secolari, vengono guidati nella degustazione di prodotti che sono frutto dell’eredità e dell’esperienza di oltre 400 anni di tradizione della famiglia. Il salto di qualità che il giovane erede Claudio ha compiuto non ha cambiato nulla nel processo di produzione, anzi, ne ha esaltato le caratteristiche artigianali che fanno parte del valore aggiunto del balsamico. Ciò che ha trasformato, invece, è il processo di comunicazione e commercializzazione, escludendo la grande distribuzione, che penalizza i piccoli produttori, e prediligendo i canali che possono apprezzare un prodotto di alta qualità come i ristoranti più rinomati al mondo e i grandi chef. Così facendo, l’Acetaia Giusti è passata da un fatturato che non arrivava al milione di euro ai quindici milioni attuali.
D’altronde, se ci pensiamo, è ciò che ha fatto negli anni trenta Salvato re Ferragamo: prima di aprire il suo laboratorio di artigianato industriale a Firenze nel 1927, era già famoso a Hollywood come “il calzolaio del le stelle”; aveva scelto come canale per la valorizzazione della tradizione italiana della calzatura e dei suoi studi sull’arco plantare un pubblico che avrebbe apprezzato la perfezione delle sue scarpe, anche perché le dive trascorrevano intere giornate in piedi e non avevano mai trovato un prodotto che combinasse a tal punto eleganza e comodità.
È questo il futuro delle PMI italiane, l’industrializzazione del made in Italy, perché noi non siamo in grado di gestire i grandi numeri della produzione di massa: non abbiamo le materie prime, non abbiamo la manodopera a basso costo e neppure un’automazione spinta per battere la concorrenza sul prezzo. Per questo abbiamo perso i grandi gruppi che sono stati assorbiti da multinazionali estere, mentre stanno crescendo tutti i settori del lusso. Ducati, Lamborghini e Ferrari stanno crescendo a doppia cifra ogni anno e pensiamo che dobbiamo vendere trenta Panda per fatturare l’importo di vendita di una sola Ferrari. Però dobbiamo fare quel salto di qualità per intercettare il nostro pubblico nel mondo, cosa che il piccolo artigiano con la sua bottega non potrebbe mai fare, perché occorrono economie di scala, marketing inteso come sviluppo di mercato e organizzazione industriale.
Anche gli artigiani del vetro a Mura no devono trovare il modo per fare dei loro laboratori sedi strepitose, in cui da una parte si vede il mare e dall’altra la fonderia e i visitatori possono vivere l’esperienza della manifattura di veri e propri oggetti d’arte, anziché con fondere i prodotti della bottega con le cineserie che trovano sulle bancarelle di Venezia.
La fabbrica stessa deve diventare sempre più bella e offrire un’esperienza “turistica” o formativa lungo le varie fasi di produzione, per rendere il prodotto e il marchio riconoscibili. Soltanto così la concorrenza non ci fa paura e possiamo fare industria, ma non nel senso che standardizziamo il prodotto in serie raggiungendo mega volumi per entrare nel mondo della finanza e del fast fashion. Ciò che dobbiamo fare noi italiani è valorizzare la specificità, l’origine e la differenziazione, perché chi non è in grado di fare un prodotto autentico, distinguibile dagli altri, viene copiato subito. E questa è un’altra caratteristica del mondo attuale, dove tutto è interconnesso: se tu inventi anche una bella gallina dalle uova d’oro, ma è facilmente replicabile, il vantaggio competitivo dura due giorni, mentre, se è molto difficile da progettare, nasce solo qui e vive solo in queste condizioni, ha un valore aggiunto ineguagliabile. Noi siamo la patria dei prodotti tipici, dell’arte, delle supercar e di tanti beni di lusso, eccellenze in tutti i settori manifatturieri. Allora, quanti nuovi mestieri possono sorgere attorno alla valorizzazione di questo nostro patrimonio, se viene industrializzato, e quanti antichi mestieri possono avere un avvenire, anziché perdersi con chi li ha fatti finora e presto non ci sarà più?