GLI ANZIANI VOGLIONO PARLARE ED ESSERE ASCOLTATI
Questo è il secondo anno che si svolge il convegno nazionale dedicato al tema dell’età e, in questo caso, anche alle donne e al fare (L’età, le donne, il fare, Bologna 13 giugno 2023). Io mi occupo soprattutto di anziani, fra gli ottanta e i cento anni e oltre. Incomincio dando una testimonianza intorno al tema dedicato alle donne, perché Villa Giulia è stata fondata da una donna, mia madre, che ha subito coinvolto tutta la fami glia nel suo progetto quando aveva quasi cinquant’anni, quindi in età non più giovanissima. Quando abbiamo incominciato l’attività, Villa Giulia era una struttura psichiatrica dismessa, che poi abbiamo trasforma to per accogliere anziani più o meno autosufficienti. Man mano l’esperienza di Villa Giulia è cresciuta e oggi ospita 109 anziani e 68 collaboratori, fra dipendenti e liberi professionisti. La bellezza di Villa Giulia è anche di essere costituita per l’85% da personale femminile. Proprio nello scorso anno abbiamo fatto alcune verifiche sulla parità salariale, perché riteniamo che l’uomo e la donna debbano essere trattati in maniera equivalente a livello economico.
La storia di Villa Giulia si intreccia anche con quella della mia giovinezza fino a oggi. Lo studio ha sempre rappresentato il cardine della mia vita, ma essendoci la necessità di dare una mano nell’attività di famiglia, non potevo esimermi dal fare quanto occorreva e ho incominciato subito a lavorare con gli anziani.
Mio padre, a sua volta, teneva molto che io conseguissi il diploma di ragioneria, che mi avrebbe assicurato un impiego. Ecco perché, mentre ero ancora iscritta all’università, mi obbligò a fare il concorso per lavorare nella Cassa di Risparmio. Dovetti rifare il concorso da neo laureata in economia e commercio, guadagnandomi il primo posto in graduatoria con l’assegnazione della sede principale di Piazza Maggiore. Il giorno seguente, però, mi chiamarono dalla direzione dicendo: “No signorina, lei deve andare nella sede di Castel San Pietro Terme”. Ero stata declassata al secondo posto, perché avevano desti nato quella sede a un uomo. Questa è una di quelle sconfitte nella vita che mi hanno dato la capacità di non demordere. Così era avvenuto anche nello sport, in cui io non ero un’eccellenza, però, tentando e provando, sono anche diventata campionessa regionale di pattinaggio corsa velocità.
Conciliare il lavoro con lo studio e con lo sport non è stato semplice. Oggi non ho nessun problema e lavoro benissimo con gli uomini, perché ho capito che spesso parlano in modo arrogante coloro che hanno paura e mettono in atto un atteggiamento di difesa nei confronti delle donne che possono metterli in discussione. Questa mentalità interviene ancora soprattutto verso la donna di un cer to spessore culturale che dimostra di avere vari talenti.
Oggi, mi trovo a constatare una contro mentalità, secondo cui ci viene chiesto da varie istituzioni di intervenire in posti apicali perché siamo donne e bisogna rispettare le cosiddette “quote rosa”. Talvolta ho anche risposto: ma perché non mi avete chiesto di ricoprire la carica quando avevo quarant’anni? In pratica, ci chiamano in ballo soltanto per il “fattore donna”, perché sono intervenute delle leggi che impongono alle società quotate in borsa di avere nel CDA una percentuale di donne. Nell’imprenditoria privata, invece, non abbiamo bisogno di una legge che imponga una quota. L’impresa dimostra di avere una grande tolleranza, perché ciò che conta è il fare e non essere uomo o donna.
Mia madre era sempre impegnata a fare, al punto da acquisire una struttura nata come psichiatrica per trasformarla in una residenza che accoglie anziani. Le persone non appartengono a nessuna categoria. Ricordo che spesso parlavo con alcuni cosiddetti pazienti psichiatrici, che rimasero nella nostra struttura perché non avevano più nessun fa miliare. Talora chiedevano di dar loro la pastiglia e allora noi gli davamo i confetti Tic Tac, perché non li riconoscevamo nella categoria dei malati psichiatrici, erano persone che, più che la pastiglia, chiedevano di parlare e di fare delle cose insieme. In quella fase ero ancora molto giovane e forse è nata anche da quell’esperienza l’idea di intervenire prima di tutto con la parola e con l’intelligenza.
Gli anziani vogliono parlare e vogliono essere ascoltati, ma non come malati. Hanno ancora voglia di fare e non aspettano la fine della vita. Sono grata alla mia famiglia per le opportunità che mi ha offerto e per avermi insegnato che, con il fare, la vita non finisce. Anzi, il fare continua a offrirci la possibilità d’inventare cose nuove, di migliorare e avere una vita molto più ricca.