IN MISSIONE NEGLI STATES CON LEONARDO DA VINCI

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presidente del maglificio Della Rovere, Longastrino (FE), vice presidente nazionale di Piccola Industria Confindustria e di Confindustria Emilia Area Centro

Lei ha partecipato alla delegazione di Confindustria che il 20 giugno scorso ha inaugurato la mostra Imagining the future. Leonardo da Vinci: In the mind of an Italian genius alla Martin Luther King Jr. Memorial Library di Washington, che ha esposto 12 tavole del Codice Atlantico, in collaborazione con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, che ne custodisce 1119. Dopo oltre cinquecento anni, Leonardo resta il più grande ambasciatore di arte, scienza e cultura del nostro paese nel mondo…

Andare negli Stati Uniti con Leonardo è stata un’esperienza indimenticabile, perché la cultura e l’arte aprono tante porte e consentono d’incontrare i principali attori dell’intelligenza di un paese. Negli Usa ero stato tante volte per lavoro o in vacanza, ma andarci per una missione istituzionale è tutta un’altra cosa. Ho respirato l’aria di un paese dai valori straordinari, che spesso vengono offuscati da un antiamericanismo serpeggiante fra le pieghe delle culture dominanti in Europa, quella cattolica, liberale e democratica, da una parte, e quella socialista, post fascista, dall’altra, che in Italia ha avuto un ruolo importante perché in fondo abbiamo perso la guerra proprio con gli americani, che poi in qualche maniera abbiamo accettato perché hanno portato la cioccolata e il piano Marshall, però questo ci ha fatto un po’ perdere di vista il valore della rivoluzione americana. Io l’ho capito in questo viaggio: nella visita a Capitol Hill ho constatato la portata della lotta americana nei confronti del colonialismo – quindi il Dna anticolonialista che ha difeso fin dall’inizio la libertà e l’indipendenza dell’individuo, ovvero la sua felicità – e nello stesso tempo la capacità di delegare poche funzioni in maniera assoluta al presidente, che rappresenta veramente tutti i cittadini all’insegna di un fine comune come, per esempio, quello della difesa del suolo nazionale.

Sono tornato in Italia pieno dell’entusiasmo che trasmette una società giovane, in cui prevale lo spirito costruttivo, il cosmopolitismo, la fiducia nei confronti del prossimo e l’approccio molto pragmatico che ne consegue. Nelle agenzie governative, per esempio, mi aspettavo d’incontrare molti più politici nel senso in cui li conosciamo noi in Italia e in Europa, invece abbiamo incontrato dirigenti e funzionari con curricula trasversali, che vengono dal mondo bancario, dall’industria o dal commercio e questo consente uno scambio continuo, una migrazione di cervelli, che implica anche una collaborazione legislativa proficua fra società civile, militare e politica. Spesso si ha una percezione del lobbismo come qualcosa di negativo, come il dominio delle imprese sulle istituzioni, invece, si tratta di un’alleanza fra pubblico e privato che consente di costruire l’avvenire insieme, anticipandone i problemi e definendone le strategie. Cosa che, soprattutto in un momento di grande sviluppo tecnologico come quello attuale, è decisivo.

A questo proposito, quali sono i temi caldi negli Stati Uniti in questo momento?

Negli incontri sono emersi tanti temi, ma due mi sono sembrati particolarmente scottanti: un impegno ai limiti dell’ossessione per l’occupazione, da una parte, e una preoccupazione per la minaccia dell’intelligenza artificiale alla libertà individuale, dall’altra. Per quanto riguarda il primo tema, faccio riferimento ai dati emersi nell’incontro con i funzionari della Small Business Administration, un ente governativo che sostiene le piccole e medie imprese. Spesso si pensa che negli States l’occupazione sia generata dai grandi brand, invece, i numeri parlano chiaro: le PMI producono il 40% del Pil e rappresentano il 50% dell’occupazione. In un paese in cui la libertà d’intrapresa è essenziale per la felicità, l’attenzione all’occupazione è un elemento strategico per i governanti.

Il secondo tema, l’intelligenza artificiale che sta avanzando molto velocemente, è legato al primo: gli Stati Uniti sono il paese della tecnologia, delle missioni nello spazio e, indubbiamente, dei grandi investimenti nell’intelligenza artificiale. Eppure, gli americani sono i primi ad avvertirne le minacce, sanno che l’intelligenza artificiale brucerà milioni di posti di lavoro nelle grandi industrie. Ecco perché scommettono nelle PMI, che possono divenire essenziali in questo momento di transizione, andando a coprire tutti quei servizi alla persona che nessuna macchina potrebbe svolgere. Mentre le fabbriche delle multinazionali – che hanno grandi capacità d’investimento – sono sempre più automatizzate e sfornano miliardi di pezzi quasi senza l’intervento della mano dell’uomo, le piccole e medie imprese possono gestire bisogni specifici, su misura, creando occupazione di prossimità, anche in provincia. Ho fatto tesoro di questo allarme su un problema che presto sarà un’emergenza anche nel nostro paese.

Ma la minaccia dell’intelligenza artificiale alla libertà individuale passa anche dall’impossibilità di avere il controllo delle fonti. Se i motori di ricerca finora ci hanno consentito di verificare la provenienza dei risultati delle nostre ricerche, l’intelligenza artificiale, invece, costruisce il risultato senza dirti come e perché lo costruisce e quali sono gli input dati all’algoritmo, che sono nascosti, invisibili e difficili da reperire. Questo desta una preoccupazione molto importante, soprattutto in una società individualista come quella americana. E, se vogliamo preservare il nostro patrimonio intellettuale, che ha poi le stesse radici greco-romane, dobbiamo tenere conto di questo allarme, che arriva in modo piuttosto pesante. Basta guardare la progressione degli investimenti in intelligenza artificiale e quella del numero di connessioni degli oggetti nella rete. Sono tutte curve esponenziali: se nel 2013 l’investimento sull’intelligenza artificiale era pari a zero, nel 2021 ha raggiunto i 160 miliardi di dollari; anche gli oggetti connessi in rete nel mondo sono passati dai 15,41 miliardi del 2015 ai 51,11 miliardi attuali e, in previsione, ai 75,44 del 2025, quindi fra soli due anni. Stiamo parlando di cifre gigantesche, che fanno paura. È una tendenza irreversibile di cui tenere conto, perché influirà sull’occupazione e su ciò che faremo nel nostro futuro prossimo.

Un’altra considerazione da fare in questo ambito è lo spostamento del Pil mondiale dai paesi del G7 a quelli del Brics: il 2020 è stato l’anno di svolta, in cui i Brics sono passati dal 25,6% del 2009 al 31%, mentre i G7 sono passati dal 35,1 dello stesso anno al 31%, con una tendenza al ribasso che li porterà al 27,8% del 2028, quando i Brics si prevede che saranno al 33,6%. È un momento geopolitico globale di cui tenere conto anche rispetto all’impatto dell’intelligenza artificiale.

Non a caso Confindustria ha inaugurato in questo viaggio la sua prima sede a Washington…

Infatti, adesso abbiamo un ufficio nella capitale degli Stati Uniti e, proprio per capire gli andamenti e le tendenze globali, negli ultimi sei mesi abbiamo aperto altre due sedi all’estero di cui una a Kiev e una a Singapore. Sono atti di grande fiducia nel futuro e frutto della volontà d’integrazione con il resto del mondo. Inoltre, avere un osservatorio diretto sugli altri paesi ci consente di guardare al di là del nostro orizzonte e quindi di capire le differenze e le potenzialità del nostro paese, che comunque è molto amato, soprattutto dagli americani, che apprezzano tutto di noi: la cultura, l’arte, la cucina, la moda, le automobili, l’ingegno e lo stile di vita. Devo dire che siamo rappresentati da un’ambasciatrice fantastica, Mariangela Zappia, la prima donna italiana a ricoprire questo incarico negli Stati Uniti, che ci ha accompagnati all’inaugurazione e poi ci ha invitati nella sua dimora, una delle case più belle al mondo, con una collezione di opere d’arte di Lucio Fontana e di altri maestri del Novecento. È stata un’ospite straordinaria e con lei abbiamo proseguito numerosi e proficui incontri governativi, fra cui quelli con la Camera di Commercio americana e con la Banca Mondiale.

È stato un viaggio nel viaggio ciascun incontro con le persone che facevano parte della delegazione, come Monsignor Alberto Rocca, direttore della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, persona straordinaria, che ci ha narrato alcuni dettagli delle tavole di Leonardo, che non sono leggibili a prima vista. Per esempio, ci ha fatto notare come il disegno di Leonardo non fosse un semplice “disegno”, ma un disegno tecnico ante litteram. Nel disegno di una pompa idraulica, infatti, l’acqua è disegnata in modo da capirne il moto e il flusso: da grande osservatore, non gli era sfuggito che l’acqua ha velocità differenti, a seconda se scorre più vicino alle pareti o al centro di un tubo. Quindi, disegnava le creste dell’acqua più ravvicinate dove si producono i vortici dovuti alla maggiore velocità. Senza la matematica e senza il microscopio, Leonardo aveva capito come si muove l’acqua all’interno di un contenitore, che è costituito di micro particelle vischiose, per cui, a contatto con la sua parete, l’acqua tende ad aderire, anziché scorrere liberamente. Sono dettagli che Monsignor Rocca ha reperito grazie allo studio interdisciplinare che ha visto all’opera ingegneri idraulici e altri esperti che hanno analizzato i Codici in tanti anni di ricerca. Leonardo aveva capito il funzionamento dei flussi ed estendeva le sue acquisizioni all’arte, alla scienza e alla medicina, per cui, per esempio, paragonava il flusso di un fiume a quello del sistema arterioso umano. Registrava analogie che risultavano artistiche, quasi poetiche. Eppure, se ci pensiamo, quante volte la poesia è stata in grado di capire in anticipo i problemi e di dare, come egli diceva a proposito della pittura, “la vera notizia delle cose”?

Un’altra persona straordinaria che ho incontrato è l’architetto che ha progettato la mostra, Dario Curatolo, perché non era facile realizzare una mostra in un contesto come la Martin Luther King Jr. Memorial Library, progettata dall’architetto Ludwig Mies van der Rohe, direttore del Bauhaus negli anni trenta.

Devo proprio dire che viaggiare con gli imprenditori è viaggiare con gli amici, soprattutto in una missione che porta Leonardo da Vinci come ambasciatore dell’arte, della cultura, della scienza e dell’ingegno italiani. Allora, oltre alla grande responsabilità che deriva da questo gesto, senti la gioia e la felicità di poterlo compiere ancora, a distanza di oltre cinquecento anni.