INDISPENSABILE PER LE PMI L’AZIONE DI LOBBYNG A BRUXELLES
Nel discorso sullo stato dell’Unione del 14 settembre 2022, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha illustrato le principali iniziative che la Commissione intende intraprendere nel 2023 a sostegno del tessuto imprenditoriale, “in particolare delle piccole e medie imprese, per rafforzare la futura competitività dell’Europa”. In qualità di vice presidente nazionale di Piccola Industria Confindustria, con delega all’internazionalizzazione, lei ha partecipato alla delegazione di imprenditori che il 6 e 7 dicembre scorso si è recata in visita a Bruxelles. Quali sono le sue annotazioni in merito?
In Italia abbiamo ancora una percezione dell’Europa come di un’entità governativa molto distante dalla nostra vita quotidiana. Certo non è facile unire un continente dalle mille lingue e bandiere, che ha vissuto la sua storia più in tempo di guerra che in tempo di pace. Oltretutto, siamo continuamente esposti alle dialettiche della politica nazionale, spesso schiava di sondaggi condizionati sì dai bisogni reali dei cittadini, ma quasi sempre di breve termine.
Tuttavia, considerando il peso che le leggi europee hanno nei paesi membri, dovremmo intensificare la nostra partecipazione nelle istituzioni europee, a cominciare da noi imprenditori. Oggi, meno del 4% dei nostri funzionari lavora alla delegazione di Confindustria a Bruxelles e il resto a Roma. Dovremo sicuramente mettere mano a queste proporzioni perché l’azione di lobbying in Europa sta diventando sempre più indispensabile. Questa attività deve essere svolta durante la redazione dei progetti, prima che inizino i processi legislativi e ben prima che diventino legge, per fare in modo che tengano conto delle biodiversità e delle specificità del nostro sistema produttivo nazionale. Questo vale per le filiere alimentari e manifatturiere in genere, come per quelle intellettuali, frutto di storie regionali di grande valore e attenzione alla particolarità. Partecipare alla redazione delle normative vuol dire garantire il giusto riconoscimento alla qualità e alla specificità dei nostri prodotti, evitando il rischio che le tipicità delle nostre eccellenze vengano classificate come “caratteristiche non conformi agli standard”. Con il paradosso che il prosciutto di Parma sia giudicato meno qualitativo dei würstel secondo razionali tabelle nutrizionali.
Per fortuna, sembra che la politica europea stia prendendo sempre più spazio della dialettica italiana, come confermano anche le scelte degli ultimi governi che si sono avvalsi di politici e funzionari che hanno alle spalle un’esperienza a Bruxelles, dove hanno acquisito competenze internazionali e specifiche di settore, necessarie nell’attività legislativa.
È inutile lamentarsi delle imposizioni europee, affrontandole fuori tempo massimo e chiedendo proroghe per metterci a norma, come è avvenuto nel caso della direttiva Bolkestein del 2006 sulla libera circolazione dei servizi, il cui processo di redazione è nato più di vent’anni fa. La cosa più importante da fare è non arrivare tardi, anzi, dobbiamo andare alle fonti e discutere le leggi prima che siano emanate. Fare lobbying, nel senso più nobile del termine, consente di uscire da un ruolo di rivendicazione per assumere una funzione costruttiva, dando un apporto tecnico per fare in modo che le leggi siano adeguate anche alla nostra realtà, ovvero che rispettino la biodiversità e la specificità di ciascun territorio.
La delegazione di Confindustria a Bruxelles è la più antica e consolidata rappresentanza dell’industria italiana in Europa e svolge dal 1958 le sue attività in riferimento sia a tematiche legislative particolari sia a opportunità progettuali e di finanziamento dell’Unione europea. Per questo è auspicabile che i nostri associati utilizzino maggiormente i servizi del nostro ufficio di Bruxelles, chiedendo informazioni e chiarimenti e facendo squadra, anziché limitarsi a dire che non cambierà mai niente o che, se qualcosa cambia, è a danno dei nostri interessi nazionali. Nell’incontro, se ciascuno dà il proprio contributo alla trasformazione, interviene la novità. Ma se chi è preposto alla redazione delle norme viene lasciato a se stesso, senza un confronto e senza un dibattito, procederà secondo il proprio intendimento, spesso basandosi sull’immaginazione, anziché sull’esperienza. Allora, occorre approfittare di ciascuna occasione per informare e coinvolgere tutte le istituzioni, a partire da quelle locali fino a quelle europee, sulle necessità delle PMI, che non sono esigenze di parte, private, ma presupposti per uno sviluppo sociale ed economico del paese.
Questo vale anche nella nostra politica interna e locale: gli imprenditori devono incontrare più spesso chi ci governa. Presto arriveranno a Bologna 1500 ricercatori per lavorare sul computer quantistico più potente d’Europa, il quarto al mondo. È una prospettiva straordinaria che farà della nostra città un polo di attrazione per talenti provenienti da tutto il pianeta. Giovani che troveranno formazione nelle business school internazionali che si stanno sviluppando in Emilia Romagna. Ma come possiamo accettare di accogliere questo flusso di persone in un aeroporto in cui mancano servizi essenziali quali parcheggi, bar, ristoranti, aree sosta coperte e fingers di collegamento ai gates? Nei numerosi incontri istituzionali anche con il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, abbiamo sollecitato un intervento urgente per adeguare l’aeroporto al livello di sviluppo della nostra città, che è diventata la Data Valley europea, il distretto dell’automazione e della bioingegneria più importante d’Europa e il terzo nel mondo, Motor Valley, polo nazionale della chimica, della ceramica e della meccanica.
Non basta lamentarsi sui giornali, occorre coinvolgere gli amministratori pubblici su progetti per raggiungere la qualità nelle nostre città e nel nostro tessuto industriale. Questa è un’azione di lobbying che noi imprenditori dobbiamo svolgere in questo momento, portando il contributo italiano in Europa e ascoltando l’Europa.
Quali sono gli argomenti che avete discusso con le Commissioni di Bruxelles?
Abbiamo incontrato diversi funzionari a capo di importanti progetti e commissioni legislative sui temi legati all’industria. Per citarne alcuni: energia, micro processori, formazione, credito e finanza, autonomia strategica continentale, sicurezza, sostenibilità ed economia circolare.
La pandemia, prima, le tensioni internazionali e la crisi energetica, poi, hanno messo a nudo le fragilità di un sistema economico globale integrato. Tutto questo ha posto seri ostacoli agli ambiziosi obiettivi ambientali che ci siamo dati con il Green Deal Europeo: impatto zero entro il 2050 e riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030. Per approfondire alcuni tra i temi più importanti per le PMI, si è discusso della raccomandazione di passare dal 5% al 30% della produzione energetica interna all’Unione nei prossimi trent’anni. La Commissione Europea si è impegnata molto nella valutazione delle dipendenze di materie prime e di componenti dall’importazione extra EU. I vantaggi nei costi avevano fatto crescere enormemente l’interscambio mondiale, nascondendo i pericoli da dipendenze strategiche per le nostre filiere. L’analisi identifica 137 beni, pari al 6% del volume delle importazioni, per i quali risulta pericolosamente limitata la capacità produttiva interna alla Comunità, anche perché oltre il 50% di essi arriva dalla Cina e un altro 25% dal Far East, in particolare in settori come quelli delle terre rare, dei semiconduttori, del solare, del cloud computing e delle batterie. E non si tratta solo di prodotti, ma di pezzi di filiera, di competenze indispensabili per puntare agli obiettivi che l’Europa si è data: transizione green e digitale.
Ecco da dove prendono il via iniziative di grande impatto come il RepowerEU, la European Raw Materials Alliance e la European Photovoltaic Industrial Alliance, con forti investimenti per promuovere lo sviluppo di risposte interne alla Comunità o almeno alternative che rendano meno vulnerabili i paesi membri alle speculazioni o alle pressioni esterne di altri paesi.
E come agevolare e incentivare le svolte tecnologiche delle nostre imprese? Pensiamo all’impatto che avrà l’introduzione delle rendicontazioni ESG sulla gestione finanziaria dell’impresa dal 2024 per le grandi aziende e dal 2026 per le PMI.
Poi, il sostegno alla rivoluzione digitale, che coinvolge le infrastrutture, i pubblici servizi, la formazione digitale dei cittadini, fino alla trasformazione digitale delle nostre imprese, necessita di una produzione made in EU delle tecnologie strategiche e una diffusione su larga scala delle competenze digitali nelle nostre comunità. Ecco quindi il Chips Act, per favorire lo sviluppo di un ecosistema europeo dei semiconduttori; il Digital Markets Act, per definire leggi e diritti al mercato elettronico, dominato come sappiamo da colossi non sempre trasparenti; il Data Act, per migliorare l’accesso ai dati e agli oggetti connessi da parte delle PMI e dei cittadini europei; e infine la regolamentazione dell’uso delle tecnologie di AI nella realtà aumentata, nell’interfaccia uomo-macchina, nella robotica avanzata e nella cibersecurity, per supportare e proteggere i cittadini da una tecnologia sempre più impattante e difficilmente controllabile.
A proposito delle dipendenze strategiche in campo digitale, aggiungo quanto si legge nel secondo punto del programma adottato dalla Commissione europea per il 2023, ovvero che, per affrontare i rischi attuali e futuri, saranno proposte “misure per garantire un accesso adeguato e diversificato alle materie prime critiche necessarie per la resilienza digitale ed economica dell’Europa”. Se i cinesi invadono Taiwan, infatti, non è un problema soltanto per i 30 milioni di abitanti dell’isola: considerando che il 70-80% dei microchip utilizzati nel mondo viene attualmente prodotto a Taiwan, non è in gioco tanto la supremazia della Cina, quanto l’indipendenza digitale dell’intero pianeta. Gli Stati Uniti hanno assunto un obiettivo in questo senso con grande sollecitudine, e lo stesso sta facendo l’Europa, che ha stanziato un numero cospicuo di fondi. Per questo è essenziale strutturare meglio il nostro lavoro in presenza negli uffici di Bruxelles, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui si avverte una spinta propulsiva verso un nuovo rinascimento in quasi tutti i settori. Occorre che le associazioni industriali dei vari paesi s’incontrino sempre di più per una visione europea della struttura industriale, perché le cose stanno cambiando velocemente. La prova sta anche nel fatto che, fino a quattro anni fa, le associazioni industriali dei paesi europei non s’incontravano mai.
Allora, possiamo dire con certezza che l’Europa conta molto nello sviluppo della nostra economia. Ed è soltanto l’inizio, considerando che abbiamo appena una decina di funzionari che lavorano a Bruxelles. Però li abbiamo e li incontriamo, sono lì per noi. Questo indica che le cose stanno cambiando molto più velocemente di quanto non potevamo immaginare.