URGONO MAGGIORI RISORSE ALLE STRUTTURE PER ANZIANI

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amministratore della Casa Residenza Anziani Villa Giulia Srl, Pianoro (BO)

Dai quattordici ai diciannove anni ho incominciato a lavorare in una struttura dedicata a persone con problemi cosiddetti psichiatrici, gestita dalla mamma, facendo una specie di apprendistato fino a quando non l’ha rilevata la nostra famiglia, nel 1986. Man mano abbiamo trasformato l’attività dedicandola alla cura degli anziani non autosufficienti. Negli anni ottanta l’anziano era inteso come una persona da chiudere in strutture apposite, dove finiva per essere abbandonato al suo destino ineluttabile, perché c’era l’idea – che continua a resistere – secondo cui, quando una persona va in pensione, non è più utile alla città. Spesso chi fa l’imprenditore continua a lavorare anche oltre l’età della pensione, ma resta il pregiudizio che rappresenta il pensionato fermarsi e girare in tondo in attesa della fine della vita. L’utilità sociale del pensionato sarebbe quella di spendere la propria pensione in attività di svago o di benessere che non gli procurino il cosiddetto stress (tensione, tradotto dall’inglese), tipico di chi lavora. Questa concezione dell’anziano è ancora molto frequente, soprattutto per le età che vanno dai sessantacinque anni in poi. Ma mi riferisco anche ai cosiddetti “grandi” anziani, come i centenari, cioè persone che stanno vivendo già da alcuni anni l’età anziana.

Le proposte che intervengono in questo convegno (Seniores. L’età, il fare, la città, Bologna, 27 settembre 2022) occorre che rilancino l’età cosiddetta anziana come una fase ulteriore della vita, in cui possono incominciare nuovi progetti e nuovi programmi. Soprattutto negli ultimi anni, infatti, gli anziani hanno incominciato a costituire forze attive della società. I Seniores hanno l’esigenza di fare e la necessità di giocare ancora e ancora la partita della vita. Vi racconto un piccolo aneddoto. Nella nostra Casa di Residenza per Anziani, Villa Giulia, attualmente accogliamo quattro centenari – sono il nostro indicatore di qualità – e da qualche mese una fra loro ha compiuto centotre anni. Questa signora, ancora lucidissima, legge la Divina Commedia e continua a documentarsi su temi di suo interesse. Il giorno del compleanno non ha voluto incontrare le autorità della città e i familiari perché diceva che li aveva già visti, ogni anno. Le ho proposto di andare a mangiare il gelato, ma diceva che non ne aveva voglia, e poi di andare a mangiare il pesce. Le si è illuminato il volto e ha concluso: “Questo si può fare!”. La signora non ha detto: “Tanto devo morire e non mi interessa più niente”. Lei desidera vivere ancora, ma questo desiderio è intervenuto parlando con noi. Altrimenti sarebbe rimasta chiusa nella sua stanzetta a leggere libri. La sua forte esigenza di vivere le ha consentito di andare oltre i cent’anni. Dai 65 ai 103 anni sono trascorsi 40 anni. Allora, perché si continua a pensare di seppellire l’intelligenza di chi ha ancora voglia di vivere?

A livello politico non condivido quell’orientamento che mira a sostenere il più possibile la domiciliarità. Il fatto che l’anziano possa rimanere assistito nella sua casa non offre la stessa qualità di vita di strutture di residenza come la nostra. Dobbiamo incominciare a capire che la cosiddetta quarta età ha esigenze e necessità ben precise. Non possiamo limitarci a dire: “Mamma stai a casa, tanto il bagno ce l’hai, la cucina e il letto ce li hai, punto”. No, non è più questo ciò di cui l’anziano, il Seniores, ha bisogno. Nella nostra struttura abbiamo residenti che usano abitualmente l’iPad, per esempio per seguire la partita della squadra del cuore. I nostri operatori hanno anche il compito di insegnare a utilizzare queste tecnologie. Se la persona che assiste a domicilio non è capace, l’anziano viene privato anche di questa opportunità che stimola i suoi interessi e non gli rimane altro mezzo di comunicazione se non quello di guardare la televisione, in assenza di parola. Inoltre, nella struttura residenziale i residenti hanno l’opportunità di parlare con gli altri e con gli operatori, restando partecipi della realtà spazio-temporale in cui vivono. In casa, o anche in coabitazione, l’anziano deve fare i conti con barriere architettoniche che non permettono di scendere le scale, per esempio, costringendoli a rimanere confinati nell’abitazione, che finisce per diventare un luogo di segregazione.

L’anziano tende a isolarsi, quindi noi cerchiamo di favorire le occasioni di parola, per esempio organizzandogli i posti a tavola insieme con altri, durante il pranzo o la cena. Anche la scelta della camera non è semplice e, talvolta, dobbiamo intervenire nel momento in cui scaturiscono discussioni. Ma anche queste sono molto importanti, perché sono occasioni per parlare. Quando noi organizziamo alcuni eventi, loro ne parlano prima, durante e dopo. Ed è una cosa bellissima quando chiediamo: “Perché non parli con la signora Maria Rossi, che è lì da sola?”. E lui risponde: “Io? Ma là son tutti vecchi!”. “Scusi, ma lei quanti anni ha?”. “Io? Novantacinque. Perché?”.

Lungo la mia quarantennale esperienza ho constatato che i centenari hanno un tratto comune: l’esercizio intellettuale, che assicura lucidità e rilancia la curiosità e l’esigenza di fare. La residenzialità in struttura è caratterizzata da appuntamenti quotidiani, anche perché l’anziano di per sé tende a parlare poco. Basta pensare a quanti sono gli anziani che vivono in casa senza conforto e senza assistenza, perché i servizi domiciliari sono ridotti a un’ora al giorno. Ma perché dobbiamo continuare a pensare che debbano vivere in questa tristezza? È urgente mettere in questione la concezione dell’“ospizio”. Tutti noi invecchieremo, chiediamoci allora: cosa ci piacerebbe avere quando saremo anziani? Oggi noi siamo abituati a muoverci, anche con l’aereo e il treno, e ad andare in vacanza negli hotels. Quando entreremo nella fase dell’età anziana, ci piacerebbe forse stare chiusi in casa con la televisione accesa e senza parlare con una persona a noi vicina? Ecco allora quanto è essenziale l’approccio della residenza per anziani, dove loro possono svolgere varie attività, parlare e costruire nuovi progetti. Lungo le cosiddette attività di “animazione” – termine impreciso, perché più adatto ai villaggi turistici –, per esempio, noi promuoviamo l’utilizzo del computer per fare tutti insieme le parole crociate a video. Anche la tombola non è più quella tradizionale, perché vogliamo continuare a fare lavorare l’intelligenza anche con i numeri. Camminando per la struttura, capita spesso di sentire qualcuno dei nostri residenti dire: “Ah, domani facciamo inglese!”. Da noi, infatti, si tengono anche lezioni d’inglese e di francese, per allenare la memoria delle parole. Una nostra residente mi ha chiesto, in perfetto dialetto bolognese: “Ma scusi, parliamo in inglese ma noi non ci andiamo mica in Inghilterra”. E allora io sono intervenuta dicendo: “Ha ragione, però chissà mai. Un giorno o l’altro potremo anche andare in Inghilterra!”. Mi auguro che, fra qualche anno, le nostre strutture saranno autorizzate a fare viaggi all’estero con i residenti.

Oggi, faccio appello al nuovo governo del paese perché dedichi maggiori risorse alle strutture che si occupano di anziani. Le famiglie, infatti, hanno bisogno di essere sostenute, perché la retta per l’assistenza costituisce ancora una voce importante nel loro bilancio. Se fossero destinate più risorse al settore sarebbe anche maggiore la richiesta di accesso alle nostre strutture, che non sono più ospizi o luoghi di riposo in attesa di morire. Una società può definirsi civile anche a partire da questa condizione: dare dignità all’anziano, perché non è vero che non vale più niente.

Nella nostra struttura è venuta una signora che ha raccontato quanto avviene altrove, dove anche le donne devono portare tute o pantaloni e ogni nucleo di anziani deve rimanere nel proprio reparto. Questa persona, ancora lucida, ha detto: “Sono venuta da voi perché non posso resistere in una situazione del genere”. Chiudere l’anziano in regole molto schematiche non giova assolutamente alla sua salute, ecco perché noi cerchiamo di proporre un servizio molto personalizzato. Anche da noi ci sono orari da rispettare, per esempio per la cena, e oltre un certo limite non possiamo trasgredire, ma, se l’ospite residente vuole rimanere sveglia a guardare un film fino a mezzanotte, è libera di farlo. Di tanto in tanto, per esempio, i nostri residenti chiedono di mangiare il fritto misto di pesce. Questo farà forse sorridere, ma anche così si tiene vive le persone, perché a molti di noi piace andare al mare a mangiare il pesce fritto. In ogni caso i nostri menù seguono una dieta bilanciata, che però non è imposta.

Nella nostra struttura ogni sei mesi il medico e gli infermieri revisionano tutte le terapie, perché spesso occorre diminuire l’uso di alcuni farmaci, peraltro già molto costosi alla collettività, considerando che a noi sono somministrati gratuitamente dall’ASL. Allora, interveniamo compensando la diminuzione di farmaci con attività come per esempio la fisioterapia, per una deambulazione assistita. In questo modo l’anziano è impegnato a fare e si lamenta di meno. La questione non è tenere le persone calme. Il tema della sedazione è molto spigoloso e impegnativo. La nostra struttura è dotata di una vasca idroterapica e di una piscina riscaldata per fare attività, perché abbiamo notato che chi ha l’Alzheimer si tranquillizza e incomincia a sorridere quando entra in acqua. Capire quali sono le necessità di ciascun residente è il nostro obiettivo e sarà sempre più necessario favorire le condizioni per consentire alle strutture per anziani di essere pronte ad accogliere le nuove esigenze dei Seniores del terzo millennio.