L’IMPRESA ESIGE DIPLOMAZIA E UMILTÀ
Una città senza industria, senza intrapresa, quindi senza le arti e le invenzioni dell’impresa, è un luogo senza lavoro, è un luogo che in quanto tale localizza il fare, escludendo il tempo e la novità. Inventa il lavoro chi intraprende strade nuove, attenendosi alla scommessa e rischiando la riuscita. Nel suo caso, la manager e l’amministratrice sono anche il proprietario della Casa Residenza Anziani Villa Giulia. Inoltre, lei svolge la professione di commercialista. Come riesce a integrare logiche tanto differenti?
Forse questa vocazione all’impresa mi è stata tramandata dalla mamma. Dai quattordici ai diciannove anni, infatti, ho vissuto in un’altra casa di riposo, sempre di proprietà della famiglia: terminati i compiti, quando le mie amiche andavano a divertirsi, servivo i piatti in tavola a coloro che allora erano chiamati ospiti. Terminate queste incombenze, andavo a fare sport e poi tornavo a studiare. Questa pratica esigeva un’organizzazione perfetta, che mi ha permesso di acquisire il diploma e poi la laurea in economia e commercio. La mamma, intanto, era divenuta dirigente presso un’altra casa di riposo e poi, nel 1986, quando aveva cinquant’anni, acquisì Villa Giulia, ereditando alcuni pazienti anziani dalla gestione precedente della struttura, che era stata un ricovero psichiatrico. Spesso questi pazienti, che ricordo sempre con tanta simpatia, ci chiedevano farmaci in eccesso per calmare i loro tic e noi rispondevamo dando loro le caramelle Tic Tac, che avevano un effetto placebo. All’epoca, prima di essere ricoverati, erano stati segregati dalle loro famiglie per motivi di vergogna. Io sono stata molto legata a papà, il quale ha sempre preteso che studiassi e lavorassi, ma devo ammettere che la mamma è stata un’imprenditrice straordinaria e una donna veramente geniale, una vera cavaliera del lavoro.
A proposito del lavoro, come mai molte aziende non trovano i lavoratori che cercano?
Finché saranno promosse politiche sociali che permettono di non lavorare e di percepire un reddito, anche il cittadino più volonteroso si chiederà se gli convenga lavorare. L’altra grande criticità è costituita da un sindacato che talora adduce motivazioni incongruenti con la logica del lavoro per difendere i lavoratori per partito preso. Capisco perché molte aziende preferiscano trasferirsi all’estero. A questo contesto si aggiunge il problema del costo del lavoro: il costo che grava di più sull’azienda non è il netto che conferisce al lavoratore, ma il lordo che deve trattenere per versarlo allo Stato. Il rapporto tra il costo netto e quello lordo per la retribuzione del singolo lavoratore è 2,7% circa, compresi gli aspetti contributivi, fiscali, ferie, permessi retribuiti e TFR: se un lavoratore percepisce 1000 euro, all’azienda ne costa 2700. Allora, consentiamo anche al lavoratore di gestire il proprio denaro liberamente e di come destinare questa quota. L’azienda ha un onere ulteriore, dovendo dedicare un consulente alla gestione delle buste paga. E questo è anche uno dei motivi principali per cui oggi nelle imprese è accelerata la robotizzazione dei cicli produttivi e l’informatizzazione degli aspetti gestionali. Noi abbiamo investito nel welfare aziendale e nella sicurezza dei lavoratori perché abbiamo cura del loro benessere e crediamo che appartengano a questa famiglia aziendale. Ma spesso tutto questo è inteso secondo una mentalità arcaica che considera il padrone sfruttatore del lavoratore.
Il tanto decantato welfare è valutato alla stregua di un riscatto del lavoratore, di solito ascritto alla cosiddetta parte debole. Lei, in quanto datore di lavoro, si è mai sentita parte debole nei confronti di qualche collaboratore?
Mi sono sentita molto di più che parte debole. Noi abbiamo la necessità del loro apporto, per cui non ci stupiamo quando siamo costretti a subire alcune pretese. Ma l’imprenditore che guarda lontano – come credo di essere io – deve andare oltre questi giochi di potere, il potere della “parte debole”. Se, per esempio, mi vengono chiesti cinque giorni in più di ferie o qualcuno va in malattia ma la malattia è di comodo – come capita –, e crea disagi organizzativi per i repentini cambi turno, concludo sempre che supereremo anche questa insidia. Per il proseguimento dell’impresa occorre molta ironia, perché lo scontro diretto produrrebbe esiti peggiori. Nella conduzione di un’impresa è necessario dare prova di diplomazia e di umiltà.