Premetto che l’oncologo clinico, oggi, deve fare almeno due cose: da una parte, avere conoscenza e consapevolezza delle opportunità offerte dalle tecniche chirurgiche, farmacologiche e radioterapiche e, dall’altra, stare più vicino possibile al malato e garantire al paziente e alla sua famiglia una continuità assoluta di gestione clinica e psicologica del caso, anche quando la sua attività come figura professionale che somministra medicine per la malattia è terminata, perché sembra che non vi sia più nulla da fare.