Agli inizi degli anni ottanta, ho incontrato Giorgio
Antonucci perché avevo la percezione di essere sulla stessa lunghezza d’onda e
di poter fare delle cose insieme. Non andai da solo a Imola, eravamo un gruppo
che andò a conoscere l’esperienza dei reparti 17 e 10, i due reparti in cui,
prima dell’arrivo di Giorgio, venivano ricoverati i pazienti che opponevano
“viva resistenza alla cura”.
Erano i reparti peggiori. La resistenza alla cura
era resistenza all’elettroshock, al coma insulinico, alla malarioterapia. Tra
le persone ospiti dei reparti gestiti da Giorgio,