IL TEMPO DÀ RAGIONE DELLE COSE

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO), di ALPI e di EUROLAB

Nel suo libro La mia bussola. L’amicizia, la famiglia, l’impresa (Spirali), possiamo leggere molti aneddoti in cui troviamo la tolleranza del tempo nell’esperienza di TEC Eurolab. Per esempio, lei e il suo socio, in uno dei primi anni di attività, stavate per andare in ferie quando avete ricevuto la telefonata di un cliente che chiedeva un’analisi urgente per capire perché si stessero rompendo i suoi distributori in ghisa negli Stati Uni ti. Non avete avuto alcuna esitazione: occorreva aiutare il cliente, senza badare alla propria work-life balance, le vacanze potevano attendere, le esigenze della produzione di distributori che si svolgeva all’altro capo del pianeta no. E il tempo vi ha dato ragione: oggi TEC Eurolab è un riferimento per la sicurezza di auto, treni, aerei, veicoli spaziali e prodotti delle principali industrie alimentari e biomedicali. Forse, da questo aneddoto possiamo intendere in che modo il titolo di questo numero della rivista, La tolleranza del tempo e dell’Altro, concerne l’impresa e l’imprenditore, che non pongono limiti al fare e, facendo, trovano il tempo per ciascuna cosa…

Certamente gestire un’impresa aiuta moltissimo a sfuggire ai limi ti imposti dal tempo inteso in senso cronologico: l’imprenditore, anche se deve attenersi a scadenze trimestrali e semestrali e redigere bilanci annuali, pensa l’impresa in un tempo infinito, non vive in funzione del bilancio annuale, perché poi ce ne sarà un altro, poi un altro ancora e, quando esistono le condizioni, fa anche programmi pluriennali, lavora con la fantasia, seguendo un sogno, non pensa che l’impresa morirà con lui, anzi, cerca di prepararne la continuità, anche cedendo o vendendo l’azienda purché qualcuno la porti avanti. E questo lo aiuta molto a svincolarsi dall’oppressione del tempo, dal considerare le cose come “finite”. Molte persone, però, fanno più fatica a proiettare la propria vita verso un tempo infinito, a volte per ragioni estremamente banali, per esempio, perché sono preoccupate di non arrivare a fine mese per via di una retribuzione non sempre adeguata alle loro esigenze e molto spesso nemmeno alle loro competenze. E la ristrettezza economica porta, da un lato, a ragionare alla giornata e, dall’altro, all’impossibilità di scommettere in un sogno, che può anche essere semplicemente quello di acquistare una casa o un’automobile. Allora, quando si vive nell’idea che le possibilità siano limitate, sembra che tutto si equivalga e che si possa fare qualsiasi cosa, perché tanto non cambia niente, quindi viene meno quello spirito costruttivo che invece è indispensabile per la riuscita di un progetto imprenditoriale: il lavoro diventa un mezzo per sbarcare il lunario, anziché uno strumento per la valorizzazione del talento, la cultura viene relegata nel periodo scolastico, mentre poi ognuno pensa soltanto a uscire e a sballarsi la sera con l’idea di dover “compensare lo stress del giorno” e non c’è alcuno stimolo a divenire cittadini, ovvero uomini e donne che danno un contributo alla civiltà, anzi, ognuno rimane chiuso nel suo silos, dove cerca di difendere quel poco che pensa di avere.

E qui le responsabilità della politica nel nostro paese sono lampanti: da una parte, non investe nella scuola come occorrerebbe per formare i cittadini di domani e, dall’altra, man tiene le retribuzioni a livelli enorme mente inferiori alla media europea. Per me i giovani dovrebbero essere la preoccupazione maggiore di uno stato. E, a proposito di tolleranza del tempo, il tempo sarà fortemente in tollerante dinanzi alle attuali scelte dei nostri politici. Senza contare che, se cambiassimo le cose oggi con una bacchetta magica, ne vedremmo gli effetti fra vent’anni. Quindi arriverà un momento in cui il tempo ci presenterà il conto. Anche perché, se consideriamo l’accezione corrente di tempo, il tempo cronologico non offre mai occasioni di tolleranza, anzi: in un’azienda, per esempio, il cliente è assolutamente intollerante rispetto a una dilazione della data di consegna; anche il collaboratore, se il 10 del mese, collegandosi dal cellulare con la banca, non trova l’accredito dello stipendio, non pensa proprio di dover essere tollerante. Quindi è il tempo o è l’uomo che dev’essere tollerante rispetto a qualcosa che non va come stabilito? E che cos’è il tempo? Noi crediamo che sia quello che misuriamo correntemente con gli orologi atomici al miliardesimo di secondo, ma invece non sappiamo che cosa sia in effetti il tempo. È spazio, come rileva va Einstein nella teoria della relatività? Niccolò Machiavelli diceva che di cosa nasce cosa e il tempo la governa, ma anche qui c’è un grande malinteso: è il tempo che governa la cosa o l’uomo che la fa nascere e poi la governa, la trasforma e la con serva? Gli umani considerano il tempo come ciò che può essere misurato e risparmiato, ma anche qualcosa che aiuta a programmare, a scommettere di raggiungere una meta in un lasso di tempo stabilito, quindi a enunciare una scadenza rispetto a un’occorrenza. Senza una scadenza, sembra che le cose possano essere rimandate per l’eternità, invece, la scadenza esige un calcolo rispetto alle cose da fare per ottenere il risultato sperato alla data stabilita.

E, invece, le accade di constatare in tolleranza verso la differenza e la varietà o verso l’anomalia che interviene nei dispositivi dell’impresa o in altri ambiti della vita civile?

È una bella virtù la tolleranza nei confronti delle idee altrui, come in segnava Voltaire, ma la metrologia invece insegna che esistono i margini di tolleranza: se un commerciante mi vende un pezzo di stoffa di un metro, so che può esserci un margine di tolleranza di un centimetro in più o in meno, ma se quando vado a casa misuro la stoffa e constato che misura soltanto mezzo metro, allora, dico che il commerciante ha superato di gran lunga la soglia della tolleranza.

A questo proposito, sempre nel suo libro La mia bussola, lei racconta un aneddoto in cui il commerciante (di generi alimentari) era suo padre e una cliente, la signora Lucia, “pretendeva che si pesassero gli alimenti senza appoggiare la carta sulla bilancia. Per la cronaca, una volta papà l’accontentò, pesò del fegato direttamente sul piatto della bi lancia, e poi lo versò direttamente nella sporta dell’esterrefatta signora Lucia. Oggi succederebbe il finimondo, allora la signora si limitò a rimproverarlo: ‘Mo’ dio, Silvano, set cumbinè? E adèsa cuma faghia a tirèr fóra al féddegh e a pulìr la spòrta?’ (Caspita, Silvano, cosa hai combinato? E adesso come faccio a tirare fuori il fegato e a pulire la borsa?). Il giorno dopo la signora Lucia tornò in negozio, come se nulla fosse accaduto, ordinò del macinato e si affrettò a dire: ‘Silvano, a’m arcmand, a gh màtta bèin la chèrta, an?’ (Silvano, mi raccomando, ci metta bene la carta, eh?)”.

Stabilire il limite non è sempre semplice. Nella società il margine di tolleranza si misura nella condivisione dei valori. Per esempio, non posso essere tollerante verso chi è assolutamente intollerante, verso chi non riconosce alla donna gli stessi diritti dell’uomo. Non c’è neppure da discuterne.

Nei dispositivi dell’impresa, invece, può intervenire l’intolleranza di un collaboratore verso il comporta mento di un suo collega che al mattino arriva in azienda con cinque o dieci minuti di ritardo, nonostante dia prova di portare a termine, in modo eccellente, tutti i compiti che gli vengono affidati. In questo caso, occorre sottolineare che nella nostra azienda va lutiamo le persone in base ai risultati, non al comportamento. Eppure, insiste l’intolleranza di una simile anomalia con il pretesto che potrebbe essere presa a esempio dagli altri componenti della squadra. Ma i componenti di una squadra non sono tutti uguali: per esempio, coloro il cui lavo ro è direttamente collegato a esigenze orarie dei clienti non devono confrontare la propria flessibilità oraria con chi svolge compiti per lo più svincolati dal rispetto di un orario rigido. Magari potranno godere di altri vantaggi, ma la flessibilità del loro orario di lavoro risulterà minore.

Spesso l’intolleranza verso chi non segue i canoni prestabiliti indica una paura di perdere il controllo, come se governare divenisse più facile attraverso l’omologazione. Questo è ciò che credono i regimi, ma in realtà l’omologazione indebolisce le società e le nazioni, non le rafforza. Purtroppo, anche se non siamo in un regime, nei social è sempre più diffusa la dittatura del politically correct, del pensiero unico, che tende a mortificare la particolarità, la differenza e la varietà, indirizzando l’opinione pubblica verso la cancellazione del patrimonio culturale e artistico dell’occidente…

Se c’è un posto dove regna l’in tolleranza sono i social. Se il mondo dovesse assomigliare sempre più ai social, sarebbe veramente un brutto mondo. Sono favorevole all’idea di limitare l’uso dei social, anche se qualcuno potrebbe dirmi che questa non è libertà, ma se una cosa è fatta male e fa male, se non produce nulla di buono per la società, perché dobbiamo tollerarla?

Tra l’altro, il pensiero unico è il massimo dell’intolleranza: bisogna pensare e parlare tutti allo stesso modo, quasi come ai tempi della Santa Inquisizione, quando c’era un’intolleranza assoluta verso qualsiasi deviazione rispetto alla verità costituita. E questa sarebbe tolleranza? Comunque, noi proseguiamo a dare il nostro contributo, facciamo la nostra parte, per noi e per gli altri.