FARE NEL MODO SPECIFICO PER CIASCUNO

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già dirigente di primo livello all’Ospedale Maggiore di Bologna, specialista in geriatria e gerontologia e in scienze dell’alimentazione

Mettendo da parte, per ora, “l’età” e “le donne”, in questo convegno dal titolo L’età, le donne, il fare (Bologna, 13 giugno 2023) mi hanno colpito alcune questioni che riguardano il tema del “fare”. Se voi cercate sul dizionario italiano la parola “fare”, scoprirete che sono miriadi le cose che si possono o non si possono fare. Quando nella RSA di Villa Giulia accolgo le persone – che una volta si chiamavano ospiti o pazienti e adesso si chiamano residenti –, oltre a fare l’anamnesi, chiedo quale lavoro hanno svolto. Perché questo? Perché da questo dettaglio riesco a capire come dovrò pormi con ciascuno di loro. Ecco che tra mite questo aneddoto entriamo nel tema del “fare”. Il modo di porsi è “fare” e nella mia carriera di geriatra ho capito che è importante curare non soltanto con le medicine. È vero che dare più di cinque farmaci è sbagliato, in quanto noi non sappiamo e non possiamo conoscere gli effetti dell’interazione dei farmaci che una persona assume.

Di recente ho partecipato a un convegno in cui sono stati illustrati gli effetti avversi dei farmaci e fra questi c’è, per esempio, la cosiddetta demenza. Somministrare molti farmaci può causare una forma di demenza, che, una volta intervenuta, c’impedisce di capire qual è la reazione ai farmaci stessi. Ho ascoltato racconti, per esempio, di cadute terribili che possono essere causate da farmaci, perché hanno compromesso la consapevolezza dell’ambiente circostante nella persona che li aveva assunti. Quindi, il fare è “fare ciò che bisogna fare nel momento preciso in cui occorre a quella persona specifica”. Il medico non è soltanto un individuo che ha studiato medicina, ma, tralasciando la psicologia, è anche l’uomo che si caratterizza per il modo di porsi e di fare.

Io suggerisco di fare a partire dalla base. Le piramidi degli egiziani, per esempio, sono costituite da blocchi di pietra che ancora oggi nessuno sa come mai non abbiano piccole fessure. Allora, incominciamo dalla base e istruiamo corsi in cui insegnare come fare, a partire dagli operatori socio sanitari, OSS. Finalmente oggi anche questa categoria incomincia a essere investita di un ruolo importante. Poi, un elemento essenziale della piramide che sto tracciando sono gli infermieri, cui seguono i medici e, infine, la direzione.

Vorrei aggiungere un’altra cosa. Quando mi sono iscritto all’universi tà non c’era l’accesso a numero chiuso, come avviene oggi. Nei prossimi anni questa modalità di accesso ci porterà ad avere necessità estrema di medici e di infermieri, perché com’è noto gli studi nella facoltà di medicina durano sei anni e la specializzazione quattro, quindi parliamo di un percorso di studi che necessita di almeno dieci anni.

Questo convegno è importante perché esprime quanto sia essenziale la relazione all’interno della struttura sanitaria e, in particolare, la stima fra i collaboratori. Io colla boro da tanti anni con Villa Giulia e con la dottoressa Ivonne Capelli per la stima che ho per questo gruppo e per quella che loro ripongono in me.

Quindi è davvero importante la storia di un individuo e il medico deve tenerne conto. Per esempio, se la pet-terapy, la terapia che si avvale di animali per la cura e che negli ultimi anni è stata istituzionalizzata tanto da essere regolarmente praticata in vari istituti, venisse proposta a me che sono stato morso da un cane, allora con me non potrebbe funzionare. Tenere conto di questo dettaglio è “fare”. Alcuni anni fa, nell’ambito di un convegno, la dottoressa Letizia Spagnoli aveva accennato alla doll-terapy rivolta a una persona anziana. In particolare, accadeva che la figlia di una paziente salutasse la madre, che stava bene, ma poi, quando tornava a trovarla dopo che questa aveva effettuato la doll-terapy, la ritrovava “fuori di testa”. Ecco perché, quando la figlia era stata informata dell’uso di questa terapia, subito l’aveva fatta interrompere riferendo che, durante gli anni della seconda guerra mondiale, la sua mamma aveva avuto un’esperienza traumatica che le aveva reso intollerabile questa terapia. La mia esperienza è tale che noi medici, e geriatri in particolare, abbiamo il compito di creare una terapia ad personam. Ecco il fare di cui stiamo parlando: fare nel modo specifico per ciascuno.

Quanto alle donne – per restare al tema del convegno – posso dire di non essere mai stato maschilista perché, avendo accanto donne eccezionali, fra madre e sorella, ho sempre pensato che la famiglia non sia patriarcale ma matriarcale, senza nulla togliere agli uomini. Quello che possiamo fare noi, nel nostro ambito, è ascoltare. Se sto attraversando un reparto di Villa Giulia e un residente mi ferma, significa che ha bisogno di parlare. È importante intendere l’importanza di questo gesto, anche con chi lavora con voi, con chi vi dà una mano: voi dovete dargliene due.