L’ABUSO DEI FARMACI PER GLI ANZIANI

Qualifiche dell'autore: 
neurologo, autore di Malati per forza. Gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci, Maggioli editore

L’invecchiamento progressivo della popolazione mondiale rappresenta un fenomeno di portata storica. Già nel 2011 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva stimato che nei successivi quarant’anni (dal 2010 al 2050) il numero delle persone con più di 65 anni sarebbe passato da 524 milioni a 1,5 miliardi. In cento anni, dalla fine del ‘900 ai giorni nostri, in Italia si è passati da una speranza di vita di circa 43 anni agli attuali poco più di 80 anni per gli uomini e di 85 anni per le donne.

Lʼinvecchiamento, tuttavia, sta determinando ripercussioni rilevanti sulla incidenza di varie patologie, sull’organizzazione del sistema sanitario, sociale, economico in un’epoca, peraltro, segnata da sostanziali cambiamenti nella composizione dei nuclei familiari e dalla progressiva denatalità.

Si invecchia, è ovvio, in modo differente l’uno dall’altro, e nei diversi organi ed apparati di ciascun individuo. In particolare, il carico delle malattie neurologiche e sensoriali (soprattutto demenze, ma anche parkinsonismi, esiti di ictus cerebrale, problemi di equilibrio e cadute, alterazioni della vista, dell’udito ecc.) appare in crescita inesorabile, preparandosi a rappresentare un costo severo per la società.

C’è una verità scomoda che la scienza ha il dovere di confessare subito: non siamo fatti per invecchiare. La vecchiaia non è iscritta nei nostri geni, è un fuori programma. L’invecchiamento è stato costruito nell’ultimo secolo con interventi di salute pubblica: si pensi alle fogne, alla potabilizzazione dell’acqua, ai vaccini, agli antibiotici, ai numerosi “eccetera” che hanno indotto un prevedibile aumento degli ammalati cronici, provocato dalla sopravvivenza di persone fragili. Stiamo andando, per la prima volta nella storia dell’umanità, “contro natura” in quanto in natura gli animali più fragili muoiono, non riescono a procurarsi cibo e acqua, diventano pasto per altri animali o concime per le piante. L’essere umano ha un destino diverso.

Secondo proiezioni ISTAT del 2021, intorno al 2070 in Italia si conteranno 12 milioni di abitanti in meno, principalmente a causa della inarrestabile denatalità degli ultimi anni. Ci saranno più anziani e famiglie sempre meno numerose: più di una famiglia su tre sarà composta da una persona – e con questo dato ci avviciniamo al tema della “solitudine amara” – che è altro rispetto alla cosiddetta “beata solitudine”.

Un tempo esisteva la cosiddetta “famiglia orizzontale”, che amo rappresentare col bellissimo film di Ermanno Olmi L’albero degli zoccoli, in cui ci si aiutava l’un l’altro. Da anni, invece, è già in atto la tipologia di “famiglia verticale”, nella quale una persona, quasi sempre una donna con figli a cui badare, si prende cura anche dei genitori anziani fragili o malati, e magari é ancora in attività lavorativa.

In considerazione dell’aumento della vita media e dei risvolti economici conseguenti, non possiamo ignorare le ricadute a livello sanitario. Il nostro welfare é già adesso claudicante e, con sempre più anziani e costi maggiori, è destinato a precipitare con effetti drammatici. Bisogna responsabilmente agire “creando salute” sin da giovani, anche da bambini, per prevenire la fragilità del corpo e della mente e l’incubo della fragilità e delle demenze: un caso su tre di demenza è “rimandabile” di un decennio e più se si modificano gli stili di vita fin dalla giovane età. “Vecchi sbagliati si diventa da bambini” amo dire. I fattori di rischio modificabili per demenze erano sette nel 2011: fumo, diabete, obesità, ipertensione, sedentarietà, bassa scolarità. A questi nel 2017 si sono aggiunte l’ipoacusia, il “sentire poco”, e la “solitudine amara”. Il 2020 ha visto aumentare il numero a dodici con l’ingresso dei traumi cranici, “evitabili” e non, dell’inquinamento atmosferico e dell’uso (anche moderato) di alcolici.

In prevenzione, sia chiaro, ciò che va bene per il cervello va bene per il resto del corpo, e viceversa! Non mi stanco di ripeterlo. Chi ha problemi cronici e fragilità è più a rischio di demenza, ma nello stesso tempo un quadro di demenza rende fragili.

Torno brevemente all’enorme tema della solitudine. “Se tu vieni, ad esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice”. L’ho tratta dal Il piccolo principe come logo di un convegno che ho organizzato a Udine alcuni anni fa. Serve a immaginare la felicità di una donna sola che aspetta un figlio, un nipote.

Un accenno doveroso alla medicina di genere. Rispetto all’uomo la donna vive più a lungo ma spesso i suoi anni di vita in più non corrispondono ad “anni di vita sana”: la donna invecchia “un po’ peggio e più a lungo”. In questo scenario il miglior tasso di sopravvivenza delle donne le espone, rispetto agli uomini, ad un livello di fragilità più esteso rispetto ai circa cinque “anni guadagnati” e ad un più elevato consumo di farmaci, a cui rispondono a volte in maniera differente dagli uomini e soffrendo peraltro in maggior misura di eventi avversi legati al loro uso.

Un tasto dolente: i farmaci negli anziani. Aumentano con l’avanzare dell’età, sono spesso tanti, a volte consigliati in maniera appropriata (corretto motivo clinico, tenendo nel debito conto la dose, la durata del trattamento, la consapevolezza degli eventi avversi e delle interazioni, ecc.), altre volte no. Lo stato di salute dell’anziano è peraltro variabile, mutevole per diversi motivi, mentre certe terapie restano immutabili, eterne come un diamante! Invece, andrebbero periodicamente controllate attraverso una revisione (come facciamo per le nostre autovetture!). I farmaci inappropriati sono prescritti dappertutto e, come emerge da diversi dati scientifici, particolarmente in alcune strutture per anziani. Ha confermato dati scientifici preesistenti un progetto che ho portato a termine nel 2015, che ho chiamato, appunto, “La strage delle innocenti”, poiché nelle strutture per anziani sono presenti più donne che uomini per i motivi già citati (www. ferdinandoschiavo.it). Purché non si demonizzino i farmaci, descrivo brevemente (e amaramente) le mine vaganti. Molti anziani assumono da decenni psicofarmaci, come le benzodiazepine (BDZ: i vari Valium, EN, Tavor, Minias, ecc.). Diverse ricerche scientifiche serie affermano che l’uso prolungato di BDZ può accorciare la vita ed essere un fattore di rischio per demenza, oltre che di cadute con le conseguenze disastrose del caso: sindrome da immobilizzazione, delirium (in breve, uno stato confusionale), riduzione di massa e funzione muscolare, predisposizione ad altre cadute e fratture, infine perdita dell’indipendenza funzionale.

Altri farmaci che usiamo anche per gli anziani hanno effetti legati al blocco della dopamina, uno dei neurotrasmettitori che permettono il passaggio dell’impulso elettrico da un neurone all’altro. Il danno a carico della dopamina può provocare parkinsonismo, distonie e altre forme d’interesse neurologico, come l’acatisia, un’irrequietezza motoria spesso sconosciuta anche a medici e infermieri. Sono in causa spesso gli antipsicotici tradizionali (aloperidolo e diversi altri) ma anche sostanze apparentemente lontane dagli antipsicotici nell’immaginario della gente comune, come ad esempio il Plasil e simili, il Levopraid, ecc.

Vi sono poi altri farmaci ad azione anticolinergica, ovvero “contro” un altro neurotrasmettitore attivo in tutto il corpo, cervello compreso: diventano in questo caso sostanze “antimemoria e anticognitività”, talvolta provocando il disastroso e sottovalutato, misconosciuto delirium. Sono circa seicento molecole in gioco, tra cui Buscopan e simili, Paroxetina, Laroxyl, Codeina.

Infine, esistono farmaci, tra questi di nuovo alcuni psicofarmaci (l’immortale antipsicotico aloperidolo), che agiscono su una particolare dinamica cardiaca (il tratto Q-T). Un ulteriore allungamento dovuto ad altri farmaci “allungatori del tratto Q-T” aggiunti, può provocare anomalie cardiache, anche mortali. Le donne tendono ad avere un tratto Q-T un po’ più lungo rispetto ai maschi…

Per concludere questa sintetica relazione, amo ricordare che governare la salute delle persone fragili è mestiere complesso. La complessità gerontologica e neurologica spesso sfugge alla “gente” e alla classe medica, peraltro frammentata a causa delle specializzazioni che badano esclusivamente al loro orticello senza possedere una visione d’insieme della persona. Il medico deve tornare a parlare con i pazienti, ad ascoltarli, a possedere una visione che comprenda il corpo in toto insieme al contorno familiare e sociale, a “toccarli”. Richard Horton, attuale direttore di The Lancet, è andato in ospedale per accertamenti e senza dire chi era, in epoca pre-Covid. Ha pubblicato sulla “sua” autorevole rivista un commento amaro: “nessuno mi ha mai toccato”; “l’esame neurologico non esiste”. Ne ho tratto un’ulteriore interpretazione attraverso un articolo (Il Covid e gli abbracci mancati) pubblicato su www. perlungavita.it. Sullo stesso sito e sul mio si trovano altri articoli, tra cui uno sulla pratica della medicina ospedaliera durante l’emergenza da Covid: https://perlungavita.it/argomenti/salute-e-benessere/1570-se-questo-e-un-uomo-siamo-gia-da-uttar-via-appenaabbiamo-superato-i-fatidici-75-anni.

La storia penosa di un mio coetaneo di settantacinque anni serve anche ad accennare al dramma dell’“ageismo”, una forma di pregiudizio ai danni dell’anziano in ragione della sua età. Si tratta, in fondo, di una forma di razzismo che si manifesta omettendo una visita accurata, un esame, adducendo come motivo “tanto, con l’età che ha…”.