L’AZIENDA È COME LA VITA

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amministratore delegato di Curti Costruzioni Meccaniche Spa - Gruppo Curti Industries, Castel Bolognese (RA), e vice presidente di Confindustria Emilia-Romagna

Io sono imprenditore da una generazione e mezza, nel senso che mio padre, Libero Curti, è deceduto quando avevo diciotto anni e mia sorella, che opera all’interno dell’azienda ed è mia socia al 50%, ne aveva quattordici. Leggendo il libro di Paolo Moscatti ho avuto molte conferme su come fare l’imprenditore, perché non esiste una scuola per insegnare a diventarlo: s’impara da soli e s’impara sbagliando. È chiaro che bisogna fare tesoro dell’esperienza e degli errori commessi, per cercare di non ripeterli e per sbagliare il meno possibile.

La bussola è allora uno strumento che mi consente di seguire la rotta, tenendo conto che c’è differenza tra la navigazione a motore e la navigazione a vela, per esempio, e già questa constatazione può portare a qualche variazione nel modo di navigare. Certamente sarà necessario avere chiara la meta e anche cambiare la rotta quando ci imbattiamo in tempeste improvvise o di fronte a scogli verso cui il vento ci ha sospinti. Dovremo verificare ciascuna volta quali sono la direzione e l’approdo del nostro viaggio. Nel nostro caso, dobbiamo riuscire ad avere un’impresa che possa garantire la continuità ai cosiddetti stakeholders, a quanti hanno interessi nell’azienda, come la famiglia, lo stesso imprenditore, i dipendenti e i fornitori. E poi le banche, che prestano soldi (spesso a chi sanno che saprà restituirli con interessi elevati), ma anche lo Stato, che non fa tanti sconti quando deve riscuotere tasse, imposte e altre gabelle. Il nostro obiettivo è questo: garantire che l’azienda possa continuare a lavorare creando reddito, perché ciò vuol dire poter investire e anche assicurare ai dipendenti stipendi più elevati rispetto a quelli di altre aziende.

Mia sorella ed io ci siamo trovati giovanissimi a dover verificare la bussola della nostra impresa: molti sono stati i momenti in cui abbiamo dovuto discernere quale fosse la strada più facile e quale quella più difficile da percorrere. Mia madre, prima di sposarsi era caposala all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, quindi non aveva esperienza industriale, però, come tutte le donne, era dotata di grande intuito e io la ringrazio ancora oggi per come ha gestito l’azienda. Dico questo per sottolineare che la cultura ha tante sfaccettature. Non esiste soltanto la cultura di tipo scientifico, che tante volte diventa poi solo mnemonica e non serve a niente perché non favorisce il ragionamento. Invece, è essenziale saper ragionare, discernere e valutare con il proprio cervello. Oggi, per esempio, il bombardamento di notizie è tale che si rischia di leggere soltanto i titoli dei giornali, e poi spesso nell’articolo è scritto qualcosa di diverso da quello che riporta il titolo. Tante volte accade – come diceva Sergio Dalla Val – che non si approfondisca più niente. La quantità di notizie, anche in dissonanza fra loro, è tale che è difficile distinguere dove sia la verità.

Anche noi, come Moscatti e i suoi soci, ci siamo trovati subito nella condizione di valutare se vendere l’azienda che avevamo ereditato. In quella fase, nel 1976, nella nostra impresa non mancavano competenze notevoli, che contribuivano a renderla fra le migliori dell’Emilia-Romagna. Era stata fra le prime in Italia a installare macchine per asportazione truciolo a controllo numerico (CN), macchine per il taglio delle lamiere con procedimento di ossitaglio e macchine di misura tridimensionali. Quindi, dal momento che era un’azienda con ottimi risultati, la prima questione che si pose fu: “Vendiamo o andiamo avanti?”. Forse sarebbe stato più facile vendere, invece mia sorella ed io abbiamo scelto di iscriverci all’università e di continuare a lavorare in azienda per incominciare a imparare qualcosa. Poi, io mi sono laureato in ingegneria meccanica e mia sorella in economia e commercio e, benché avessimo due approcci molto differenti, siamo riusciti a lavorare insieme per più di quarant’anni. Mia madre aveva approvato la nostra esigenza di studiare, cosa che ci avrebbe consentito di apprendere gli strumenti teorici per governare l’azienda, ma, integrando la pratica in azienda, avremmo potuto acquisire la capacità di discernimento, che è essenziale nella vita: in fondo l’azienda è come la vita. Nell’impresa, come nella vita, occorre cercare di avere una bussola e stabilire una meta, che necessariamente terrà conto della propria cultura, del proprio intuito e dell’esperienza che si acquisisce man mano.

Altro punto di snodo è consistito nel passare dal servizio di fornitura come contoterzisti alla vendita di un prodotto proprio. Oggi, noi imprenditori viviamo in un contesto le cui condizioni non sono poi tanto favorevoli. La viabilità, per esempio, è un problema. Il tratto Imola-Bologna è inaffrontabile al venerdì e soltanto chi ha l’elicottero – giusto per promuovere i nostri prodotti – può muoversi in tempi rapidi.

Altra questione – sempre per cercare di garantire all’azienda questa continuità nel tempo – è che, non soltanto oggi non si trovano materie prime e componentistica elettronica, ma il 29% dei ragazzi (cfr. “Il Sole 24 Ore”, 10 marzo 2022) vede il proprio futuro all’estero. E come facciamo a lavorare se non abbiamo collaboratori da impiegare? Tra l’altro, la formazione di un laureato in ingegneria, in chimica o in un’altra laurea di tipo STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è molto costosa. In Italia ci sono lauree che garantiscono un lavoro spesso dopo un complesso percorso di studi, mentre altre rilasciano una pergamena che assicura un parcheggio. Ancora una volta, dobbiamo chiederci: qual è la direzione da prendere? Quella del lavoro facile o quella per cui, impegnandoci con abnegazione, possiamo ottenere risultati eccellenti? Il risultato cui ambire non può essere soltanto lo stipendio, che purtroppo in Italia è fra i più bassi d’Europa, anche se all’azienda costa troppo. Noi avevamo un bravissimo tecnico francese, per esempio, che ci costava 5000 euro al mese. Poi è andato a lavorare in Svizzera, ma a parità di costo dello stipendio, mentre là incassava 3500 euro nette mensili, nel Belpaese si limitava a 2200. Come si può competere in un paese come l’Italia, dove, oltre a quelli per i dipendenti, le aziende sono costrette a sopportare costi generali altissimi? Se noi non riusciamo a rovesciare il paradigma e a trattenere in azienda chi sa e ha voglia di fare, il mercato non ci permetterà certo di produrre magliette per pochi soldi come facevano in Cina e come fanno oggi in Vietnam o in Bangladesh. Noi dobbiamo fare cose difficili. Non c’è alternativa alla riuscita.

Ecco allora che, dopo aver cercato di vendere altri prodotti, è nata l’idea di progettare e costruire un nuovo elicottero. Di elicotteri, però, ce n’erano già abbastanza, quindi abbiamo cercato di rendere il nostro particolarmente attrattivo, dotandolo di un paracadute che, in caso di default, salva l’elicottero e soprattutto la vita ai passeggeri. Anche in questo caso, vi posso assicurare che regna la confusione assoluta fra leggi e regolamenti: se l’Europa ha un regolamento specifico, che la Germania ha già recepito, l’Italia ne sta ancora discutendo.

Ma, ancora, noi abbiamo sostenuto ingenti investimenti – e anche in questo caso abbiamo dovuto prendere un’altra decisione – per progettare impianti per il recupero di materie prime secondarie e/o energia, partendo da materiali di scarto. In particolare, mi riferisco agli pneumatici usati. Per tanti anni abbiamo cercato di realizzare un impianto in Italia, ma non ci siamo riusciti a causa di adempimenti burocratici, normative e regolamenti non chiari. Pertanto, abbiamo dovuto investire in Spagna, non soltanto perché abbiamo trovato un partner spagnolo e un altro sloveno, ma anche perché in Europa ci sono aree in cui le imprese ottengono benefici in termini d’investimenti, per esempio con erogazioni di finanziamenti a fondo perduto. Questo impianto sarà il primo nel mondo a trasformare gli pneumatici usati in olio combustibile, in polverino di carbone e a permetterci di ricavare l’acciaio, contenuto all’interno degli stessi pneumatici, e un syngas che noi utilizziamo per mantenere questa specie di forno alla temperatura richiesta per realizzare la trasformazione. Abbiamo investito molto e abbiamo deciso di continuare a investire anche su un altro tipo d’impianto a Imola, che sarà acquistato da HERAmbiente, per recuperare la fibra di carbonio: partendo dagli scarti della fibra di carbonio già lavorata – quella che costituisce per esempio le scocche delle auto e delle moto sportive da competizione – torniamo ad avere la materia prima, cioè il tessuto che potrà essere lavorato. Anche questo impianto è il primo nel mondo e, quindi, speriamo che gli investimenti effettuati finora diano risultati. Ripeto, non facciamo questo per diventare ricchi, ma per garantire a tutti, familiari, collaboratori e territorio, le migliori condizioni per continuare a lavorare.