LA BRIGA INTELLETTUALE

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

L’ambizione è una droga che fa di colui che vi si dedica un demente in potenza”, scriveva il filosofo Emil Cioran, stigmatizzando il modo corrente di intendere l’ambizione, come quel che consentirebbe, al pari di una sostanza, di gestire, padroneggiare, dominare la propria vita. Così ognuno avrebbe la propria ambizione, ambizione soggettiva, ora funzionale alla riuscita, ora foriera della sconfitta. Come scrive Niccolò Machiavelli: “Ma l’ambizione dell’uomo è tanto grande, che, per cavarsi una presente voglia, non pensa al male che è in breve tempo, per risultargliene”. Quando l’ambizione è significata dalla voglia, per di più presente, diventa desiderio disorientato (“Ambizione è disorientato desiderio e troppo studio di volere gli onori e le promozioni”, scrive lo scrittore duecentesco Bono Giamboni nel Libro de’ Vizi e delle Virtudi), o piacere pericoloso e dovrebbe essere controllata o allineata: come se non fosse proprio il colmo dell’ambizione di potere e di padronanza presumere di controllare l’ambizione e di allinearla, togliendo le minuzie, i dettagli, le brighe, gli intrighi che la definiscono. Voglia anche come cupiditas, da cui gloriae cupiditas, amore della gloria, poi anche vanagloria, vanità, in cui interviene per un verso l’ideologia dello studium, dell’occuparsi, del procurarsi, per l’altro verso un’istanza di eccellenza e di emulazione, dunque di ambizione intellettuale.
Ambizione viene dal latino ambio, ambire, andare, girare. Come ambito, da ambitus, che è anche giro, contorno, ma anche broglio, intrigo. Ambire singulos ex senatus è per Sallustio “circuire i singoli senatori”; per Cicerone, ambiziosi sono i cittadini che vanno da un cittadino all’altro per richiederne il voto. Ma per il desiderio di piacere, nota Tacito, vi è chi risulta cortigiano, servile, ambitionis manifestus. Egli indica così la circolarità dell’ambizione politica: la brama di potere sui sudditi diventa sudditanza.
Ambito: giro, raggiro, intrigo, intrico. Quel che tiene, la tenuta. In giro, nell’ambito. In Livio, ambitus è il giro di parole, la divagazione. Di ambitus verborum parla Cicerone. I giri di parola, nell’ambito della parola. L’ambito non è un sacco, non è spaziale: l’ambito della parola sono i suoi giri e i suoi raggiri, le sue torsioni linguistiche. L’ambito linguistico è la tenuta linguistica, che non poggia sulla competenza. Solo quando viene meno questa tenuta linguistica, l’ambiente viene sottoposto al fantasma di padronanza, come crede chi vuole salvarlo.
L’ambizione è la tensione intorno e verso, è la tendenza, anche il trend. Quel che nella parola va intorno e briga per instaurare la ricerca e il fare. Questa tendenza è in direzione della qualità, non del successo, distante com’è dalla voglia e dalla finalità. Giri, circuiti, vortici, spirali: la tensione della parola, la sua forza intellettuale, che Sigmund Freud chiamava pulsione. Ambire, tendere, brigare: ambizione come instaurazione dell’Altro, non come epifania del soggetto. Ambire, prendersi la briga, non lasciare né lasciarsi andare. Gli imprenditori pubblicati in questo numero provano che l’impresa esige questa ambizione che, con l’operare dell’idea, lo spirito costruttivo, trae l’impresa alla scrittura e alla riuscita. Lo spirito costruttivo è l’idea impensabile, incredibile, imprevedibile, al punto da essere creduta megalomane. Contro questa megalomania, quest’ambizione intellettuale, si scaglia la burocrazia, che combatte il programma ambizioso, l’ambizione dell’Altro, cioè l’ambizione non circoscrivibile all’ambito usuale, ai parametri conosciuti, ai limiti soggettivi. Come sottolinea in questo numero l’intervento di Carlo Monaco a proposito del caso Verdiglione, il tribunale, i media, le caste non ammettono chi non si allinea al sistema e non si conforma ai protocolli istituzionali. Occorre che l’ambizione resti negli ambiti ordinari, non dando luogo a “vorticosi giri di fatture” o a “super operatività”: questi termini del collegio giudicante rimandano ai roghi degli inquisitori, i primi, alle diagnosi degli psichiatri, la seconda. I giri devono essere banditi in nome della corretta circolazione, l’operatività non ordinaria deve lasciare il posto al pensiero debole, conforme, basato sul “si presume”, “si ritiene”, “ci sembra”, con cui ragiona il tribunale. E come trasformare una brigata intellettuale, quella molteplicità d’intraprese, avviate – per una gara d’emulazione – nell’ambito del Movimento cifrematico, in “un’associazione per delinquere”? Basta riferirle tutte all’ambizione di uno solo, creare il “dominus” cui tutte “sono riconducibili”: allora il disegno è diabolico, le società sono false, le testimonianze degli associati sono indotte, tutto è falsificato, come scrive Elisabetta Costa. La realtà intellettuale negata viene restituita come una realtà falsificata, la realtà della casta.
L’ambizione ordinaria, concessa a ognuno, è restare nel proprio ambito, ambientarsi, restare nelle proprie origini o tornarvi. Chi ambisce al successo mira alla realizzazione di sé o del proprio io, non alla riuscita, all’approdo alla qualità. Divenire quel che si è o quel che si vorrebbe essere comporta il ritorno a quel che si era, anziché la restituzione di quel che non abbiamo mai avuto. L’accusa mossa a Verdiglione di “aver gonfiato le spese” nel restauro della meravigliosa villa San Carlo Borromeo non considera l’investimento intellettuale che questo restauro ha comportato, vorrebbe relegarlo a mera opera di manutenzione, di conservazione, di restituzione in pristino. L’ambizione intellettuale esige la restituzione in qualità, non in pristino, una qualità che non c’era prima, frutto di ricerca e d’impresa, di arte e invenzione, di ingegno e di intelligenza, senza prezzo. “L’intelligenza senza ambizione è un uccello senza ali”, scrive Salvador Dalí. La nostra ambizione, intellettuale e imprenditoriale, è restituire in qualità. Restituzione dell’avvenire, non del passato o del presente.