LA NOSTRA OPERATIVITÀ
Ognuno ci spera, ci pensa, ci prova. Ognuno ci crede, ce la mette tutta, s’impegna, anche oltre le proprie possibilità. Fa tutto per bene, fa tutto per il bene, proprio e degli altri. Ognuno sa cosa è bene fare, e persegue la riuscita, dando il meglio di sé. E si pensa, si conosce, conosce i suoi limiti e le sue possibilità, sa fin dove può arrivare. È bravo, fa bene, peccato che non sia riuscito, ma ce l’ha messa tutta, fino all’ultimo. All’ultimo, comunque, tutto si risolverà. Ognuno crede nell’ultimo, nell’ultimo sforzo, nell’ultimo minuto, nell’ultima battaglia. L’importante è che le cose finiscano: ognuno parte dalla fine, se l’aspetta. Ognuno ha un’idea della vita, la vita di ognuno è un’eccezione alla morte, è uno scampare alla morte. Con molti virtuosismi, senza virtù. Credendo nei valori convenzionali, senza il valore assoluto.
Ognuno sopravvive, è soggetto alla morte. Per questo ognuno si sottrae alla parola, alla sua virtù, al suo valore. Nella parola le cose non finiscono, alla parola nessuno è soggetto. E se le cose non finiscono, non c’è l’ultimo, l’ultimo momento, l’ultima battaglia. Ciascuno, non ognuno, è statuto della parola. Ciascuno, non ognuno, prova, fa, fino alla riuscita. In particolare, la riuscita esige il pensiero, l’idea, l’operare. Un pensiero non conformista, un’idea non appropriata e una costruzione intellettuale operano alla riuscita. Mentre ognuno ci pensa e si pensa: pensandoci, ognuno limita il progetto e il programma; pensandosi, ognuno si ritiene limitato, bisognoso o vittima.
Non possiamo farci un’idea della nostra esperienza, del nostro viaggio, della nostra direzione, della nostra vita. Se ci facciamo un’idea del rischio, lo tramutiamo in pericolo di morte, e ci paralizziamo. Se ci facciamo un’idea della crisi, la consideriamo segno del male e non istanza dell’altro tempo. E allora dobbiamo uscirne, cerchiamo rimedi. Si cercano soluzioni condivise, s’invoca il sistema, si fa appello al distretto, si cerca di fare fronte comune. Ma, come non sfugge a imprenditori come Davide Passoni e Paolo Moscatti in questo numero, in questo modo permangono i presupposti che hanno portato alla crisi presente, rappresentata quotidianamente. La crisi presente è il frutto dell’idea di sistema, di unità, di condivisione, mentre l’instaurazione dell’altro tempo esige una battaglia che non fa fronte comune, che non richiede un pensiero condiviso, una pluralità di voci e d’intenti. L’altro tempo dell’impresa esige l’Altro come indice dell’infinito, non il “tutti per uno” perché la crisi, il rischio, la battaglia finiscano. In particolare, farsi un’idea della crisi e del suo superamento impedisce che l’idea operi alla riuscita del fare: farsi un’idea fonda l’oggettività o la soggettività, e condanna ognuno ai limiti delle proprie convinzioni.
La censura, nota nel suo intervento Francesco Saba Sardi, curatore della nuova edizione del Libro della origine delli volgari proverbi di Aloyse Cynthio de gli Fabritii (Spirali), una volta si occupava di proibire, ora di prescrivere. Ma la morale è la stessa: “si può/non si può”. Questa morale sociale è assunta dall’idea di sé, con cui ognuno fa censura a sé, con cui ognuno potrebbe stabilire cosa può o non può fare. “Si può/non si può fare”: dunque cosa fare, anziché come fare, ovvero come ciò che si ricerca e ciò che si fa operando riesce. Qual è il modo di operare perché ciò che si fa riesca? Qual è la costruzione? Il modo pragmatico esige il modo operativo, l’idea non saputa e non conosciuta: per questa via, il fare giunge a profitto, il fare è approfittare. Ma è impossibile approfittare se ognuno ha l’idea della vita, e pensa di sapere quello che (si) può o non (si) può fare. Questo moralismo si priva del gusto della riuscita.
L’operatività è una logica particolare, non è condivisibile. La battaglia è di ciascuno, secondo la logica particolare, non collettiva, che esige dispositivi di battaglia che non accomunano. Una battaglia senza nemico e senza fine è indispensabile per la riuscita, che non si riduce alla salvezza. Per questo l’idea di bene non aiuta, e chi fa del proprio meglio resta al di qua dell’idea, irrappresentabile, della riuscita. La battaglia per la riuscita ha come condizione l’assoluto, la provocazione, la voce. La costruzione in ciascuna impresa avviene secondo l’idea dell’assoluto, non segue le proprie idee, che percorrono le vie del socialmente accettabile o consigliabile, come indica la testimonianza di Ruggero Guarini. Mentre ognuno, con le proprie idee, cerca supporto negli altri, l’assoluto per ciascuno è singolare, non abbisogna del pluralismo che, monista, si rappresenta nell’unità, nella correttezza senza direzione. La nostra operatività è secondo la nostra singolarità, condizione dei nostri dispositivi di battaglia. L’idea dell’assoluto è l’idea che opera alla riuscita, senza bisogno delle idee condivise a sostegno delle proprie idee.