LA POLITICA DEL BRAINWORKER
Mi è capitato qualche giorno fa di entrare in un bar e di udire una canzonetta il cui ritornello diceva: “Togli la ragione e potrai sognare.” Mi è sembrato un messaggio rivolto al popolo dell’epoca New Age, ma mi ha posto una questione: perché per sognare bisognerebbe togliere la ragione?
La mitologia della liberazione è ciò su cui si fonda il soggetto, in particolare il soggetto schiavo che è la forma eminente di soggetto. Il soggetto è sempre il soggetto schiavo che deve liberarsi da qualche schiavitù, che deve affrancarsi; e la stessa mitologia politica che fomenta la liberazione dal padrone, magari globale, è quella che vuole fare pulizia: ora si tratta del nemico, ora dei rifiuti, ora dello sporco, delle scorie, ora della corruzione, ora del male dell’Altro, fino alla pulizia cosiddetta etnica, di cui abbiamo esempi ripetuti in questi ultimi anni.
Come sorge la credenza di un’antinomia tra la ragione e il sogno? Essa non è estranea alla mitologia della liberazione, non è estranea all’ideologia della pulizia. Freud indicava il sogno come la via regia dell’inconscio, come la via regia della logica particolare a ciascuno, quindi, dell’idioma, della particolarità. È l’inconscio in quanto logica, non in quanto abolizione della logica. E di cosa si tratta nella ragione? Del conto, del calcolo, del giudizio secondo la logica. Il sogno non è antitetico alla ragione, non è il contrario della ragione. Bisogna intendere la ragione del sogno, ossia il modo in cui le cose entrano nel racconto: questo accade non secondo un ordine grammaticale prestabilito, ma secondo la particolarità e l’occorrenza, secondo la logica particolare e un’occorrenza pure particolare, che è la politica del tempo.
La “ragione politica” del sogno è ragione dell’occorrenza; questa ragione del sogno indica che la lingua che interviene nell’atto di parola non è padroneggiabile, non è una lingua assoggettabile, è piuttosto un’alingua, ossia risente dell’intervento del tempo e della logica particolare. La ragione del sogno è anche ragione dell’Altro e dissipa propriamente il principio di non contraddizione, il principio d’identità, il principio del terzo escluso nella parola, dissipa cioè il realismo aristotelico o il realismo della sostanza. Nel sogno non c’è logica binaria, non c’è la logica del sí o del no, cioè la logica dell’alternativa esclusiva.
Questa è la questione del sogno: le cose entrano nel racconto con una logica non aristotelica. È a questo proposito che Freud ha indagato e ha parlato di un lavoro onirico, ha parlato di un lavoro del lutto, di un lavoro, quindi, intellettuale, un lavoro della rimozione, un lavoro grazie al quale non c’è più sostanza. In base al quale, cioè, le cose non sono più tali ma, entrando nel racconto secondo un abuso che è linguistico, si qualificano. Divengono quali. È questo il modo del lavoro onirico, è questo il modo del lavoro del lutto, è questo il modo del lavoro. Quindi, lungo la sua ricerca, ricerca analitica, ricerca linguistica, Freud indica che c’è un lavoratore non soggettivo, un lavoratore non soggetto. C’è un lavoro che non risponde allo statuto dei lavoratori, ma a uno statuto altro, un lavoratore che dunque non rivendica salari, non rientra nelle caratteristiche del lavoro indipendente e autonomo, è un lavoratore secondo la logica.
Questo lavoratore interviene nel racconto del sogno, dunque nel racconto. E questa struttura onirica non esige di dormire, ma di raccontare. Per la via del sogno, Freud individua il lavoratore nella parola, quel che lavora nel parlare, parlando, un lavoratore instancabile che fornisce forza al lavoro anziché stancarsi, che fornisce forza al lavoro anziché attingerne, quindi un lavoratore che non partecipa ai principi della termodinamica. È un lavoratore che non è definito dalla stanchezza o dall’esaurimento, perché è un lavoratore il cui alimento non è la sostanza (perciò non converte la sostanza in energia, né restituisce l’energia come sostanza). Non essendo un esponente né un rappresentante della macchina termodinamica, è un lavoratore che non rivendica, che non si ammala mai, è un lavoratore che non è mai “fuori di testa”. È un lavoratore che sta nella parola, è il brainworker, ossia il lavoratore di cervello.
Di quello che Freud ha scritto e ha testimoniato della sua ricerca intorno al sogno, non è giunto gran che all’intendimento, non ce n’è traccia nell’apparato disciplinare dell’epoca e, certamente, questo risulta inquietante. L’epoca, con il suo apparato di conoscenza, con il suo apparato disciplinare, tenta di togliere il brainworker, ciò che nella parola indica l’assenza di sostanza, ciò che nella parola indica l’infinito, ciò che nella parola indica che le cose non sono già date, ciò che insomma comporta l’esigenza per ciascuno dell’itinerario.
Le rappresentazioni della sostanza nell’epoca mirano a togliere l’itinerario, la ricerca, la domanda, a favore della risposta uguale per tutti, soddisfacente per tutti, ragionevole per tutti. Ragionevole, cioè senza la ragione, senza la ragione dell’Altro. Ragione dell’Altro, ossia ragione dell’irrappresentabile, dell’insignificabile, dell’incredibile. È questo il brainworker, il lavoratore di cervello, ciò che, ancora, impedisce di accontentarsi della ragionevolezza, del dialogo, della superstizione, dell’ideologia, cioè del realismo, della concretezza delle cose, perché ciascuna cosa sta in uno statuto assoluto, va in direzione di un valore assoluto che è la sua qualità e che non è generalizzabile.