CONDÈ: COME INVESTIRE NEI VINI MADE IN ITALY
Lei collabora con suo fratello Francesco alle Cantine Condè, che contribuiscono a valorizzare i migliori cloni del “Sangue di Giove”, come qualcuno ama chiamare il Sangiovese, facendo allusione all’antico legame fra vino e divinità. Quando nasce questa bella esperienza?
Cinque anni fa, con uno sforzo straordinario, mio fratello costituisce un’azienda vitivinicola degna di quelle che di solito si ereditano dai propri avi, nate dalla passione dell’uomo per il vino, per la terra e il territorio e per questa antica arte millenaria tramandata nei secoli come cultura dei popoli. Non è stato facile acquistare centoventi ettari da diciannove proprietari, considerando anche il fatto che la Comunità Europea ha contingentato i diritti d’impianto in Italia. Noi abbiamo scommesso su un unico vino, il Sangiovesino di Predappio che racchiude tutte le caratteristiche del Sangiovese di Romagna, esaltato dalle doti raffinate d’invecchiamento in barrique di rovere francese, e prende il nome dalla zona in cui è situata l’azienda Condè, a Fiumana, un piccolo comune confinante con Predappio e con la Rocca delle Caminate, che era la residenza estiva di Mussolini. Ma la sfida più grande non è stata quella della quantità – quasi un milione di bottiglie all’anno –, ma produrre un vino di qualità. Anche se oggi stanno emergendo nuove realtà come la Cina o il Cile, l’Italia rimane, con la Francia, una fra le più importanti nazioni per la produzione di vino di qualità. Quindi, investire nei vini made in Italy dà molte soddisfazioni. Ma il principio ispiratore di ciascun imprenditore per valorizzare il made in Italy non dovrebbe essere quello del guadagno immediato, perché un marchio così importante esige un progetto per l’avvenire, con collaboratori capaci, che non mirino soltanto al profitto economico. Il Sangiovese finora è stato considerato un vino mediocre. A torto, perché è usato per la produzione dei migliori vini italiani, dal Chianti al Brunello di Montalcino e tanti altri. Con l’aiuto di enologi esperti, abbiamo scommesso di portarlo a livelli altissimi, anche grazie alla presenza di terreni che si prestano bene e danno risultati eccellenti. Comunque, quando si lavora con la natura, bisogna usare il calendario e mai l’orologio. Come dicono i contadini, siamo noi a dover adattarci alla natura e non il contrario.
Da dove vengono i pregiudizi sul Sangiovese?
Finora, non c’è stato un lavoro forte di consorzi e associazioni che potessero valorizzarlo e quindi è stato sempre considerato un semplice vino da tavola, consumato prevalentemente in Romagna. Chi produce Sangiovese, inoltre, a volte si accontenta di una qualità mediocre, perché non è facile ottenere l’eccellenza. Basti pensare che, nei nostri vigneti, il 50 per cento dell’uva viene buttato, in considerazione del fatto che l’uva è migliore in una vite che ne produce due chili, piuttosto che in una che ne produce dieci. La qualità dipende anche da questo tipo di selezione, che s’impone per chi non punta a produrre tante bottiglie, ma l’eccellenza.
La vostra azienda si estende per oltre cento ettari in tutta la vallata di Predappio, in un paesaggio suggestivo in cui la natura appare in tutta la sua generosità. In che modo la vostra azienda ha trovato un’integrazione con gli abitanti della zona?
Attualmente, lavorano con noi ventisei giovani, che s’impegnano con grande dedizione. Abbiamo avuto la fortuna che hanno capito lo spirito con cui lavoriamo per costruire un progetto importante e ci hanno seguito con grande umiltà. E noi abbiamo ascoltato i loro consigli, che sono frutto delle esperienze da cui provengono e che hanno acquisito in famiglia, a scuola o nei corsi di enologia. Gli abitanti del paese sono molto entusiasti, perché hanno visto come abbiamo trasformato oltre cento ettari di sterpaglia in un’azienda pettinata e pulita sul modello francese, dove la domenica passeggiano volentieri.
La vostra azienda valorizza un prodotto tipico, ma i prodotti tipici hanno anche la funzione di valorizzare un territorio…
Certamente, perché con l’azienda viene promosso il territorio di Predappio e possono arrivare visitatori da tutto il mondo anche nella residenza estiva di Mussolini, che dista cento metri dall’azienda e che ci piacerebbe far diventare enoteca regionale. In questo periodo di vendemmia, si possono gustare prodotti tipici emiliano-romagnoli, alla “Cittadella del vino”. E, per mantenere un’atmosfera di tranquillità, all’interno dell’azienda si potranno utilizzare solo auto elettriche, come quelle che si usano nei campi da golf.
Questa politica di promozione del territorio da parte dei fratelli Condello è praticata anche a Bologna, attraverso l’Hotel Porta San Mamolo…
Anche questa è stata una grande sfida perché abbiamo acquistato un hotel su cui nessuno avrebbe scommesso. Era una pensione a una stella con un impatto decisamente privo di ogni accoglienza. Addirittura, nella hall, campeggiava un cartello con la scritta: “Si paga in contanti, in anticipo e si prega di non disturbare”. I risultati adesso sono eccellenti. Nel social forum di internet Tripadvisor, che premia gli alberghi migliori, siamo al primo posto da circa cinque anni. Tradotto in termini economici questo ci porta un fatturato annuo rilevante, perché il viaggiatore moderno non si affida più soltanto al giudizio dell’agenzia, ma considera molto ciò che centinaia di migliaia di persone dicono sulla loro esperienza negli hotel. Ma anche Bologna usufruisce delle migliaia di clienti che riceviamo durante l’anno e credo che il nostro sforzo – unito a quello di altri albergatori, ristoratori e operatori del settore turistico – aiuti a pubblicizzare una città che merita, considerando che il Comune purtroppo non fa molto in questa direzione.