LA CARTA INTELLETTUALE D'ITALIA

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Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, psicanalista, direttore dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

"Leonardo da Vinci è l’Europa”, nota Armando Verdiglione, nel suo libro Niccolò Machiavelli (Spirali), “disegna, narra e scrive la carta intellettuale d’Europa, la sua galleria, la sua tipografia, la sua cifratica. Corollario di Leonardo, Machiavelli è l’Italia, la sua scrittura, la sua qualità. Egli disegna, narra e scrive la carta intellettuale d’Italia”. Ebbene, chi scrive oggi la carta intellettuale d’Italia? E come scriverla? Questo dobbiamo chiederci, oltre che promuovere il made in Italy in tutto il mondo e considerarlo uno strumento per ottenere risultati impareggiabili, soprattutto in un momento in cui la crisi della finanza non ha risparmiato nessun settore. Molti ormai sono pronti a riconoscere al marchio Italia la vocazione alla qualità. Pochi invece intendono che, per approdare alla qualità, occorre un itinerario di cultura e di arte, un itinerario intellettuale. Questo itinerario non può limitarsi allo sviluppo delle pur utili e indispensabili competenze specifiche di settore e neppure all’erudizione, che talvolta non esclude il pregiudizio e l’ottusità dei luoghi comuni più diffusi, per esempio, in materia di impresa. 
Per scrivere la carta intellettuale d’Italia occorre incontrare Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli – come pare suggerire Carlo Sini in questo numero –, ma anche ciascuno che oggi si trova in un itinerario in direzione della qualità. La qualità, la cifra è il vero capitale, il capitale intellettuale. Finché pensiamo che nell’impresa si tratti di formare le “risorse umane” – come se fossero qualcosa di sostanziale e esauribile, accumulabile e gestibile da plasmare e da usare –, eludiamo la lezione di Machiavelli, che, nella famosa lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513, narra in che modo egli “fa capitale” della sua conversazione serale con gli “antiqui huomini”. Dopo una giornata in cui instaura con ciascuno – dai tagliatori del bosco all’oste, dal beccaio al mugnaio, ai passanti – vari dispositivi di parola, dispositivi del dire, del fare e dello scrivere, “Venuta la sera”, racconta all’amico Vettori, Magnifico ambasciatore fiorentino presso il Sommo Pontefice, “mi ritorno in casa; et in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tucto mi transferisco in loro”. Ecco come, di sera in sera, Machiavelli è giunto a scrivere una delle opere che inventano e costituiscono il testo dell’Italia e la sua lingua, Il principe: “io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale et composto un opuscolo De principatibus”. “Quel cibo, che solum è mio” è il nutrimento intellettuale, senza cui la qualità sarebbe standard, la vita stessa rischierebbe di rincorrere lo standard, basandosi sull’idea di sostanza, che può finire e quindi è da accumulare in quantità sempre maggiori, alimentando il conflitto, l’ideologia della vendetta, del ricatto e del riscatto. Perché la formazione degli italiani – giovani, imprenditori, manager, politici, amministratori – dovrebbe basarsi su questo approccio sostanzialista esente da intellettualità, derivato dal discorso occidentale e radicato nelle ideologie che propugnano il sistema come antidoto alla presunta debolezza di una nazione?
Se c’è qualcosa che caratterizza il made in Italy sono i marchi, che producono effetti di senso incodificabili – come ci spiega Ferdinando Cionti nel suo libro Sì, logo (Spirali) –, e non hanno la funzione di stabilire una genealogia che sancisca la volontà di bene o di male del prodotto, ma hanno la funzione di nome nella parola. L’Italia che non rincorre l’ideologia della sostanza e della finalizzazione della riuscita è costituita innanzitutto da nomi, artisti, scrittori, imprenditori, banchieri, scienziati che scrivono la sua carta intellettuale e che compiono il loro viaggio nel nostro paese. Di questo paese sta a ciascuno fare capitale, anziché fuggire in cerca di sistemi, modelli organizzati secondo una presunta volontà di bene, che non hanno mai fatto parte della nostra cultura, in quanto è troppo forte il loro richiamo all’idea d’impero. 
La cifra della produzione italiana – che avvia il suo itinerario con il marchio – non si avvale di un’ideale unità nazionale per affermarsi, ma della funzione di Altro nella parola, per cui la differenza e la varietà non sono rappresentabili né assegnabili a una regione, città o provincia. 
Considerare l’Italia il paese di vizi, perfidie e corruzioni è oggi, come all’epoca di Machiavelli, frutto di un attacco alla particolarità e all’anomalia e dell’intolleranza verso la differenza e la varietà, che dal rinascimento a oggi contribuiscono alla ricchezza del nostro paese, al nostro capitale. 
Grazie a Machiavelli, l’Italia inventa la politica altra, la diplomazia, la politica dell’ospite, dove le cose si fanno secondo l’occorrenza e si scrivono, senza l’idea di unità e d’impero. Su questa scia, come notano alcuni imprenditori intervistati in questo numero, occorrerebbe in Italia una politica industriale, un programma di governo con investimenti decisi a favore di attività che contribuiscono al made in Italy. Ma questa politica non deve basarsi sulla fine del tempo: il tempo non finisce, non è una risorsa da misurare e da risparmiare. Il tempo non finisce e, come ha affermato Armando Verdiglione al Festival Il valore dell’Italia (Milano, 30 novembre-3 dicembre 2006), “la politica che ammette ciò che il rinascimento ha instaurato, ovvero il tempo nella parola, il fare nella parola, nella struttura dell’Altro, è l’altra politica”, quella in cui si scrive la carta intellettuale d’Italia.