DISPOSITIVI DI BATTAGLIA, NON DI RASSEGNAZIONE

Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, segretario dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna, responsabile a Bologna della Cooperativa Sociale "Sanitas atque Salus"
È indubbio che, riguardo alla salute, da oltre cinquant’anni, c’è una questione che ha rilievo e si staglia su qualsiasi altra: la questione cancro. Per la sua crescente diffusione tra la popolazione, per l’incidenza che ha rivestito e riveste tuttora nella morbilità, per gli aspetti culturali, economici e finanziari che comporta, essa è diventata, in questi anni, la questione di salute per eccellenza, perdendo, in parte, le caratteristiche di nemico oscuro, quasi il paradigma del male da combattere. Oggi, i tumori, più di altre malattie, sono posti in relazione con aspetti specifici della modernità, quasi che ogni passo in direzione di una nuova acquisizione tecnologica e dei relativi effetti collaterali, comporti, come contrappasso, nuove forme tumorali, prima ignote. Sempre più si affermano fra le cause del cancro i prodotti della metallurgia e della chimica, i tessuti e lavorazioni alimentari complesse, i nuovi stili di vita, il consumo di sostanze, in particolare fumo e alcol. A fronte di ciò, la malattia neoplastica, pur da sempre oggetto di interesse degli studi epidemiologici, non ha ancora elementi di prevedibilità prognostica come altre.
Eppure la novità, nella ricerca e nella clinica, esiste, è frutto essa stessa della modernità e delle sue acquisizioni ed è rappresentata dalla scoperta del ruolo rivestito dall’immunologia, dai risultati della cosiddetta medicina molecolare, che ha permesso di svelare i meccanismi di formazione di molti tumori, dai nuovi farmaci che s’intravedono e che si auspica possano affiancarsi o sostituirsi ai chemioterapici, da terapie fisiche, come l’ipertermia nei casi indicati, terapie meno dannose di altre in auge.
Tuttavia, ciascuna nuova acquisizione sancisce quella che si è rivelata come la caratteristica principale della questione cancro: la sua complessità, che investe ciascun aspetto della vita. E al medico è richiesto un intervento negli specifici elementi della cura, ma anche nella direzione della cura stessa verso la guarigione. Da qui la portata della parola nei suoi modi e nel suo viaggio, come comunicazione, formazione e informazione in tale processo. Ormai molte istituzioni e dispositivi clinici oncologici prevedono interventi che toccano aspetti della parola com’è avvenuto già trent’anni fa, con effetti interessanti, all’Istituto Paul Brousse di Parigi, sotto la direzione di Georges Mathé. La psicanalisi ha incontrato spesso, fin dal suo sorgere, la questione cancro, con Freud, che l’attraversò, con Groddeck, con Wilhelm Reich, che produsse il suo celebre testo Biopatia del cancro, fino a Kandel, a Chiozza, a Lacan, e soprattutto fino all’elaborazione che ne ha compiuto la cifrematica. Con la cifrematica, in modo particolare, la questione cancro esige l’atto di parola, la vita come parola in viaggio verso la sua qualità, esige che l’inconscio non sia l’albero del male, dell’infernale, ma sia una logica particolare a ciascuno, con il progetto e il programma di ciascuno come progetto e programma di vita. Porsi la questione cancro dunque non più come questione di una morte ineluttabile come il suo stesso polimorfismo biologico molto spesso ci fa temere, ma a partire da un programma di vita e di proseguimento del viaggio, con le sue implicazioni intellettuali, pulsionali. Lungo un itinerario che richiede non tanto interventi consolatori o di rimedio, ma strategie e brainworking di vita. E questo per ciascuno, non solo per il medico, per la persona che enuncia il cancro e per i suoi familiari,  ben prima che la questione cancro abbia assunto la sua forma sostanziale, quella della malattia. Occorre che innanzitutto il medico s’interroghi su cosa s’intenda per salute, anche nei suoi effetti sulla qualità della vita, e se questa vada intesa come una continua e ripetuta ricerca di restitutio in pristino dei suoi parametri biologici, oppure di valetudo, cioè di salute come istanza di cifra e di qualità della vita stessa. Questo va fatto individuando le condizioni perché ci sia scrittura dell’itinerario di ciascuno, affinché la parola non cessi e non venga elusa, e l’ascolto non venga mai sospeso in nessuna circostanza, non soltanto nei termini raccomandati dalla buona pratica medica e adottati soprattutto dai medici del passato. 
Non basta infatti che parola e ascolto intervengano in momenti anche estremamente importanti e critici, come nelle situazioni arrivate alla sostanzialità della malattia, per poi essere sospesi e sostituiti completamente, soprattutto oggi, molto spesso da farmaci palliativi. Occorre l’intervento anche dei dispositivi di parola nella famiglia, nel lavoro, nella vita di ciascun giorno, per ragioni di salute, non per rimedi alla malattia. Occorre che questi dispositivi divengano dispositivi di battaglia, non di rassegnazione.
Tutto ciò non è già scontato per nessuno, ma fa parte della scommessa di vita ed è essenziale perché l’accettazione della morte non s’instauri come principio regolatore dell’esistenza.