LA RIVOLUZIONE DELLA PAROLA

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psicanalista, direttore dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Considerate come l’Inferno e il Paradiso, il regno della dannazione e quello della salvezza, la globalizzazione e l’antiglobalizzazione sono due facce della stessa medaglia. Da una parte, chi predica i vantaggi di “fare come se il mondo fosse un posto solo”, dall’altra, chi predice la fine certa e ravvicinata di questo stesso mondo. Per entrambi, però, le dissolte ideologie del ventesimo secolo sono state presto rimpiazzate da più o meno solide visioni del mondo. Allora ecco che, per chi procede dalla visione, che tutto unifica e massifica, anziché dall’ascolto, che s’instaura con la divisione, il globale coincide con il mondiale. Come se occuparsi del destino del pianeta nella sua globalità volesse dire necessariamente farne un “mondo”, farne un impero.
Come notava Armando Verdiglione in una recente conferenza, “la globalizzazione inaccettabile è quella che, sotto l’idea dell’impero, impone alle cose di procedere per unificazione. Questa globalizzazione coincide con il discorso occidentale”. È chiaro che nessuna rivoluzione tecnologica potrebbe dispensare gli abitanti del pianeta dal parlare, dal pensare e dall’agire con autorità e responsabilità in ciascun istante della loro vita. Internet e i nuovi media non sono né diabolici né angelici, ma utensili e, come tali, possono soltanto contribuire a un’altra rivoluzione, senza più la dicotomia schiavo/padrone, amico/nemico, la rivoluzione della parola in atto. Ma, se non si gioca più nella liberazione dello schiavo dal padrone, o del suddito dal tiranno, come intendere questa rivoluzione della parola?
Oltre duemila anni di dittatura del discorso occidentale, del logos con i suoi fondamenti, non impediscono che la parola agisca e si rivolga alla qualità (ecco una rivoluzione senza il nemico da abbattere). Si può essere sordi alla provocazione, all’assoluto che è causa di questa rivoluzione? Può darsi. Ma la psicanalisi prima e la cifrematica oggi c’insegnano che, ascoltando secondo la logica particolare a ciascuno, anziché cercando di comprendere, di sistemare e di sistematizzare secondo una presunta logica comune, si ode un’altra musica, non più quella che dovrebbe servire a calmare i nervi o a stimolarli, o ad accrescere il rendimento degli operai nelle fabbriche. Come il direttore d’orchestra interpreta ciascun elemento della composizione lasciandolo nella sua interezza e mai tentando di adattarlo a una sua eventuale idea unificatrice, così lo psicanalista, in quanto scienziato della parola, ascolta clinicamente le cose che si piegano (klinein in greco vuol dire “piega”) e non si rassegnano a spiegarsi.
Uno dei principi della rivoluzione della parola è l’anarchia originaria, e dice che è impossibile darle un fondamento. La morte, questo luogo comune dove per oltre duemila anni il discorso occidentale voleva mandarci, dicendoci in tutte le salse che della stessa sua sostanza siamo fatti, non ci ricatta più. L’anarchia originaria non accetta ricatti.
Ma se questa rivoluzione non poggia su nessun fondamento, da dove prende la sua forza? La rivoluzione è inarrestabile perché è essa stessa la forza, come la chiamava Leonardo da Vinci, o la pulsione, come la chiamava Freud. È rivoluzione della parola: le cose che si dicono si fanno e si scrivono. Procedono dal due, dall’apertura, secondo la logica particolare, e si rivolgono alla loro cifra, alla loro qualità.
Per questo non servono fucili, né missili, né bombe. Non c’è altro modo di contribuire alla rivoluzione che parlando, facendo, scrivendo, favorendo i dibattiti, gli incontri, gli scambi internazionali e intersettoriali e le occasioni in cui la parola libera giunge a compimento e viene comunicata. Per questa comunicazione, Internet e i nuovi media sono invenzioni straordinarie. Non perché si tratterebbe ancora una volta di sollevare da un peso chi si situa nella coppia schiavo/padrone. I nuovi media non sono sorti per far diminuire il cosiddetto carico di lavoro dell’operatore, ma semmai perché consentono a ciascuno di aumentare le occasioni di parola. Perché, se è vero che la crescita fa parte della vita, allora il principio del risparmio, proprio alla termodinamica, può reggersi soltanto sulla credenza che l’aumento sia un accumulo, anziché una crescita.
I nuovi media consentono a ciascuno un’opportunità in più di divenire dispositivo e d’instaurare dispositivi nuovi di comunicazione, di battaglia e di riuscita nell’arte, nell’impresa e nella finanza, anziché accettare la nobile menzogna che Platone consigliava al principe di raccontare ai sudditi.
La rivoluzione della parola sfata ogni credenza nella discendenza genealogica. Il padre e il figlio sono funzioni della parola e non c’è più modo di rappresentare il male dell’Altro nei principi o negli dei, nel padrone o nello schiavo.