CI SOFFERMIAMO A ASCOLTARE I MATERIALI
Emilfides Restauri, in pochi anni, è divenuta azienda leader nel restauro architettonico e nel recupero conservativo di materiali. Quanto è importante lo studio della materia nel vostro lavoro?
Sin da quando ho incominciato la mia attività mi sono posto un problema di etica del restauro, che ho cercato di risolvere iscrivendomi all’università, quindi compiendo un percorso di approfonditi studi tecnici, storici e umanistici, accanto all’esperienza pratica nel cantiere. Ho coinvolto anche l’ambito universitario nella mia ricerca, avviando una collaborazione con il laboratorio diagnostico della facoltà di Conservazione dei Beni Culturali del dipartimento di Ravenna (DISMEC). Prima di affrontare un’operazione di restauro conservativo, infatti, è importante conoscere, oltre alla parte storica e culturale del manufatto, la sua materia, com’è stato costruito e in quale contesto era integrato.
Chi lavora nel restauro ha il compito di rallentare il processo di degrado dei materiali storico artistici e di restituire una lettura estetica di un bene artistico, secondo il principio fondamentale del minimo intervento. Nel restauro di un concio di pietra arenaria, per esempio, occorre tenere conto della sua composizione chimica e, se possibile, anche della cava da cui è stato tratto. Spesso, prelevo pezzi di roccia che poi utilizzo per fare microstuccature e consolidamenti di importanti manufatti, perché il lavoro non deve limitarsi a una mera ricostruzione con l’ausilio di malte pre-miscelate, ma deve rispettare il materiale che ci è stato tramandato e che proviene da secoli di storia. Il mio dovere di conservatore è quello di tramandare il materiale storico artistico ai posteri in maniera che possa essere riconosciuto da eventuali operatori futuri, quindi deve essere visibile e reversibile.
Uno degli esempi di restauro a cura di Emilfides è Palazzo Hydra a Bologna…
Da circa due anni stiamo lavorando al restauro di Palazzo Hydra, fondato sull’antico convento di Santa Maria della Pace del 1300, un esempio tipico di monumento che ha subito diversi interventi nei secoli. Noi abbiamo privilegiato il metodo fondato sulla diagnostica e sulla ricerca di tecniche conservative per il recupero di alcuni materiali come la pavimentazione in cotto del chiostro interno, che, nonostante fosse stato posato quindici anni fa, era molto degradato. Abbiamo provato diverse soluzioni, ma l’intervento più efficace è stato realizzato con il consiglio di un anziano terrazziere in pensione, che ha raccontato come un tempo usavano l’olio di lino cotto per dare più tonalità e durezza ai pavimenti. Integrando questo consiglio con l’utilizzo di tecniche innovative da noi sperimentate, abbiamo eseguito un processo d’invecchiamento artificiale del cotto con un risultato eccellente. Proseguendo nel restauro, ci siamo occupati del colonnato e del recinto del giardino esterno che dà su via D’Azeglio, dove la situazione non era migliore, dal momento che molti materiali a causa del degrado erano stati asportati e sostituiti con altri poco compatibili. Dopo circa un mese di campionature, diagnostica e sperimentazione, tuttavia, abbiamo risolto i problemi che ne derivavano.
Come si combina l’attività di restauro con le esigenze proprie di un’impresa?
La nostra è una società cooperativa che lavora nella conservazione non soltanto di materiali lapidei, ma anche lignei, cartacei, vitrei, metallici e di tutti i materiali usati nella costruzione di opere d’arte e architettoniche. Cerchiamo i nostri fornitori tra quelli che riconoscono nel lavoro una valenza morale ed etica e non soltanto economica. Nel nostro lavoro occorre soffermarsi ad ascoltare il materiale per capire qual è il metodo migliore per il restauro, ma spesso non è possibile sperimentare e osservare con attenzione perché costa tempo e sacrifici che possono risultare onerosi per l’impresa.
Come imprenditore ho deciso quindi di studiare all’università perché mi sono accorto quanto il settore del restauro sia una realtà frammentata, in cui mancano i collegamenti tra il mondo imprenditoriale, l’operatore, l’operaio, l’artigiano e i teorici, ossia l’università, e questo soprattutto a scapito della qualità dell’opera.
Non era così per i grandi maestri del passato come Brunnelleschi, Leon Battista Alberti, Piero Della Francesca, che durante il giorno lavoravano con i materiali e la sera teorizzavano scrivendo trattati. Noi dobbiamo confrontarci con una società molto più veloce e sbrigativa della loro, però ritengo importante soffermarsi per capire qual è il metodo migliore per ottenere un buon risultato. Abbiamo avuto la fortuna di avere grandi committenti come la famiglia Volta o la Fondazione Cassa
di Risparmio di Bologna, che ci hanno consentito di lavorare e valorizzare i manufatti, per restituire ciascuna volta un bene durevole e sano al nostro patrimonio storico-artistico-culturale.
A cosa state lavorando attualmente?
Collaboriamo con uno dei più grandi restauratori di papiri al mondo, il professor Corrado Basile, che è anche mio zio. Integrando le nostre esperienze, stiamo ricercando un tipo di laser che ci permetta di eseguire puliture poco invasive sulla carta papiro. Al Cairo molti rotoli devono ancora essere aperti e versano in stato di degrado.
La parola restauro è legata a tutti i tipi di materiali e, come diceva il grande teorico del restauro Cesare Brandi, il restauro è il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua duplice valenza: storica-estetica e materica.