L’EDIFICIO STORICO E' UN ELEMENTO VIVO

Qualifiche dell'autore: 
presidente dell’ANCE (Associazione Costruttori Edili della provincia di Modena)

Nell’introduzione al suo libro Il restauro, Roberto Cecchi afferma che la situazione “che viviamo quotidianamente, per cui tutto è in divenire, talvolta fa nascere il sospetto che non sia sempre un oculato esercizio della tutela a muovere verso nuovi dispositivi, bensì la dissennata disponibilità a lasciare spazio a posizioni di parte che niente hanno a che vedere con la tutela. Il cui unico scopo spesso è solo quello di poter brandire un vincolo a mo’ di alabarda da conficcare nel piano regolatore dell’avversario”. Sono rimasto molto colpito da quest’ultima frase, perché credo che fotografi in maniera caustica, ma precisa, il sistema vincolistico attuale, visto dalla parte dei costruttori. Questo sistema ha provocato parecchi danni agli stessi monumenti e continua a mostrare, ancora oggi, tutti i suoi limiti. Gli interventi di Roberto Cecchi, invece, invocano ed evocano la possibilità di superarlo per andare verso un sistema di tutela e di valorizzazione che porti a considerare l’edificio storico come un elemento vivo, che ha una nascita e una meta, di cui speriamo non essere noi a decretare la morte. Perché questo non accada, occorre che ci sia la possibilità di mantenere l’edificio a un livello di funzionalità tale che il pubblico o il privato che intende porvi mano trovi una remuneratività, in un rapporto costi-benefici tale da consentirgli di operare positivamente. Se non entriamo in quest’ordine di idee, rischiamo di trovarci in un immobilismo, peraltro già sperimentato, che non porta da nessuna parte, se non alla morte del monumento stesso.

Il monumento ha anche una funzione civica. L’assessore Daniele Sitta parlava del centro storico di Modena, che, come quasi tutti i centri storici d’Italia, è totalmente vincolato. È evidente che, nel momento in cui il centro storico non restituisce funzioni fruibili ai cittadini, viene a crearsi ciò che è avvenuto negli anni passati, vale a dire quel depauperamento del centro storico e quell’allontanamento dei cittadini che ha creato una serie di disagi di cui oggi paghiamo le conseguenze. Quelle più banali riguardano l’occupazione del territorio, il traffico, la difficoltà di gestire gli spazi collettivi e l’aumento dei costi di gestione della città, con un risvolto per tutti i cittadini in termini di tasse e altri oneri.

Dobbiamo auspicare, allora, che ciò che Roberto Cecchi ha indicato nel suo libro, e che tutti qui condividiamo, trovi un’applicazione nel prossimo futuro. In questo senso è indispensabile, e non solo auspicabile, quello che diceva l’assessore Sitta riguardo al rapporto soprintendenza-enti locali e, a cascata, enti locali-progettisti e progettisti-costruttori. Questa catena è obbligata a funzionare, altrimenti le cose andranno sempre peggio. La cultura del “no” reciproco e dell’immobilismo ha contrassegnato, negli anni precedenti, soprattutto il rapporto tra soprintendenza ed enti locali. Quando soprintendenza ed enti locali sono illuminati al punto di trovare un accordo, si può agire per il bene del monumento e della sua funzione, quindi, per il bene di tutta la cittadinanza.

Noi costruttori svolgiamo una funzione di stimolo affinché ci sia più coraggio, perché quanto si dice attorno a questi temi possa poi trovarsi applicato nel rapporto con le soprintendenze e gli enti locali. Solo se remiamo insieme nella stessa direzione possiamo superare i problemi che oggi coinvolgono le aree storiche delle nostre città e lavorare in grande sintonia. Da questo punto di vista, Modena ha compiuto notevoli passi avanti se pensiamo che anche il privato partecipa come committente del restauro dei beni culturali.

Sistemi di finanziamento come il project-financing possono essere trasferiti anche al sistema del restauro dei beni culturali: non in tutti i casi, ma per alcuni edifici, credo che rappresenti una potenziale soluzione per sopperire al deficit di denaro pubblico, che nel nostro paese è addirittura cronico.

Quindi, se si vuole continuare a tenere vivo il fuoco teorico che esprimono i libri di Roberto Cecchi, bisogna passare alla pratica attraverso la collaborazione e le aperture al privato. E questo direi che si può fare o, come dice Obama, “Yes, we can”.