DALLA CONSERVAZIONE ALLA VALORIZZAZIONE

Qualifiche dell'autore: 
vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Modena

La considerazione da cui muove Roberto Cecchi nel suo libro Il restauro mi sembra quella più utile e interessante per partire con le mie considerazioni. Quello che propone è di sostituire, al centro dell’attività di restauro, l’idea di testimonianza storica a quella di monumento.

Se la parola monumento ci consegna qualcosa di statico, parlare di testimonianza storica per i beni culturali apre scenari veramente stimolanti e affascinanti per le scelte di chi come noi – amministratori, ma anche cittadini – abbia a cuore la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio che ci viene affidato.

Che stagione viviamo a questo riguardo? Provo a rispondere tenendo conto di quello che è un vivacissimo dibattito quasi quotidiano su questi temi, ma anche riferendomi alla dimensione modenese che è quella rispetto alla quale siamo attesi da decisioni importanti. Lo scenario in cui ci muoviamo è quello di una consapevolezza radicata, diffusa, generalizzata intorno all’enorme valore del patrimonio storico, architettonico e culturale di cui siamo eredi.

Nel suo libro, Roberto Cecchi cita numeri che parlano da soli: a fronte dei 50.000 immobili vincolati in Francia, in Italia ce ne sono 500.000. Fra questi, non pochi sono gli edifici modenesi. Dal 1997, il Duomo di Modena assieme a piazza Grande e alla Ghirlandina, è entrato a far parte del Patrimonio dell’Umanità, grazie all’inserimento nella lista dei siti culturali, storici, artistici e ambientali dell’Unesco. Ma, appunto, non c’è solo Piazza Grande; gran parte della zona storica della nostra città appartiene a quell’elenco di 500.000 siti del patrimonio culturale italiano.

E qui siamo al punto! Se la consapevolezza è alta e diffusa, quello che quotidianamente sperimentiamo è la difficoltà politica ed economica di essere all’altezza del compito. La dimensione del patrimonio è tale che non solo la progettualità ma, più spesso, la disponibilità economica fatica a corrispondere alle esigenze.

Il quadro si complica o si arricchisce se accanto a questo mettiamo la decisiva puntualizzazione che il Codice dei Beni Culturali di qualche anno fa ha posto: accanto alla conservazione non può più essere eluso il tema di un’effettiva valorizzazione che, tradotto dal burocratese, vuol dire che a tutti noi responsabili delle politiche culturali è fatto obbligo di creare le condizioni per un godimento più ampio possibile dei beni culturali.

E qui mi chiedo allora se il lavoro di tutela, di restauro e di valorizzazione della tradizione storica, per usare i termini di Cecchi, non si possa esercitare anche in modo attivo.

Faccio un esempio molto modenese. La città di Modena ha un progetto in via di realizzazione di grande importanza mondiale: un museo dedicato a Enzo Ferrari e alla straordinaria storia del motorismo modenese.

Il progetto architettonico è quello di un cofano che richiama le caratteristiche aerodinamiche della Ferrari. Mi chiedo: si può considerare questo un esempio di conservazione attiva della testimonianza storica che, in questo caso, si fa carico non solo di un’attività di pura conservazione ma anche della valorizzazione della memoria attraverso la creazione di nuovi elementi architettonici?

È un esempio estremo quello che ho fatto, ma serve per capire quali sono le conseguenze ultime che si potrebbero trarre dall’acquisizione della concettualizzazione che Cecchi propone con il temine “testimonianza storica”.

A questo proposito chiediamo a lui, con vivo apprezzamento per il lavoro che da anni svolge, una riflessione che certamente utilizzeremo nelle nostre decisioni amministrative.