L’IMPRENDITORE E IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA'
Molti ritengono che i problemi di maggiore rilievo che sorgeranno in seguito alla crisi siano di carattere sociale. Qual è il contributo che l’imprenditore può dare in questa direzione?
Oggi l’imprenditore è chiamato a svolgere una funzione completamente differente rispetto al passato: è lui il vero baluardo nella battaglia per affrontare i problemi sociali, e non lo Stato, basandosi sul principio della sussidiarietà, perché i massimi beneficiari della gestione oculata e dei sacrifici che l’imprenditore compie sono i suoi dipendenti e i suoi collaboratori.
Dunque l’imprenditore può dare un grande contributo nell’affrontare questo tipo di problemi.
Occorre anche che egli, soprattutto nelle aziende medio-piccole, renda partecipi i propri collaboratori dei sacrifici che sta compiendo per superare questo momento. Se si pensa che lo Stato si faccia completamente carico delle difficoltà che derivano da questa crisi, si darà adito a una lunga serie di malintesi. La cassa integrazione non basta più, dal momento che negli ultimi anni si sono abbassati i parametri di valore e la stessa mobilità è solo un ultimo salvagente, certamente importante, ma che non può sostituire la necessità di fornire all’imprenditore gli strumenti per potere affrontare questo momento difficile, con interventi di carattere finanziario e fiscale.
Allora lei ritiene che la sussidiarietà in questo momento possa funzionare?
È l’unica vera soluzione al problema, altrimenti si rischia di non uscire da questa situazione, anche perché l’onda di maggiore crisi deve ancora arrivare. Per potere ricostruire un equilibrio e un tessuto sociale ci vorranno ancora molti anni. Nel frattempo gli italiani potranno andare a lavorare all’estero, perché in Italia la possibilità di mantenere il tenore di vita che abbiamo avuto negli anni precedenti non credo si possa riproporre. Gli spazi sono sempre più ridotti e occorre che gli italiani offrano il loro patrimonio di cultura e tecnica anche agli altri paesi. Forse da ciò può nascere qualcosa di nuovo. Pertanto, oltre che sulla sussidiarietà, occorre puntare sull’esportazione del capitale intellettuale che non ha la possibilità di esprimersi in Italia.
A tale scopo, le nostre istituzioni dovrebbero promuovere accordi con altri paesi, per portare all’estero le nostre aziende e le nostre risorse umane, dando così una mano ai paesi che ne hanno bisogno, ma soprattutto offrendo agli italiani una speranza e un avvenire che magari oggi non intravedono.
Quindi, lei ritiene che questo sia il momento di esportare i nostri cervelli?
Sì, l’italianità, la nostra arte e la nostra cultura, mani e cervelli che hanno la capacità di lavorare con qualità nella catena produttiva, che sono capaci di elaborare progetti in tutti i campi della produzione industriale. Questo è un altro snodo fondamentale dell’attuale situazione di crisi.
Questo è un compito che l’Italia potrebbe assumere, come avvenne nel Rinascimento, dove gli scambi non erano solo in campo artistico ma anche economici e commerciali.
Certamente era il momento in cui la gente cominciava a muoversi. Purtroppo, invece, oggi prevale spesso la paura, che fa temere l’apertura e spinge le persone a ritornare nel proprio ambito, a chiudersi in se stesse, a rialzare le barriere: questo è il limite maggiore.
Questa idea di difendersi è controproducente e inutile, dal momento che la trasformazione è in atto e nessuno può fermarla.
Oggi il lavoro non è più da intendersi come occupazione di un posto ma come opportunità di dare un contributo alla civiltà.
Ma forse sono ancora molti coloro che non sono disposti a fare sacrifici e puntano a consolidare le loro posizioni…
Coloro che pensano di avere consolidato una posizione non vogliono rimettersi in gioco. Inoltre, alcuni giovani pensano che sia più facile gestire il presente che pensare all’avvenire. Invece devono capire che, grazie alla cultura del lavoro propria dell’Italia, devono diventare punto di riferimento sul mercato estero, dove è richiesto il lavoro specializzato.
Ci sono paesi in particolare che lei consiglierebbe ai giovani?
In Africa ci sono opportunità immense, come in Oriente, e non solo in Cina, ma anche nel sud-est asiatico, e nei paesi arabi, dovunque sia richiesto il lavoro specializzato. Questi paesi hanno aperto uffici anche in Italia per importare periti meccanici, geometri e lavoratori diplomati. Occorrerebbe organizzare questa domanda, per creare nuovi spazi altrove, dato che in Italia si sono ristretti. Ribadisco che qui in Italia ci saranno problemi sociali di non scarsa rilevanza, perché adesso c’è ancora chi sta utilizzando i propri risparmi, ma, via via che questi verranno meno, aumenterà l’esigenza di trovare nuove prospettive.
La Cramaro ha presentato le ultime novità sui parcheggi fotovoltaici per le stazioni di servizio al Solarexpo di Verona (7-9 maggio 2009), la fiera delle fonti di energia alternativa.
Che cosa si sta muovendo in Italia in questo settore?
In Italia c’è un grande fermento grazie a una serie di leggi che hanno permesso al settore di crescere, ma a livello locale s’incontrano ancora molti freni: c’è una volontà diffusa e generale di modernizzare il nostro paese, e c’è la volontà dell’imprenditore d’investire, ma quando ci s’imbatte negli enti locali o nel gestore della rete, le pratiche si prolungano oltre l’anno, comportando un onere non indifferente per chi ci lavora e per chi deve usufruirne. Anche i grandi gruppi che avrebbero intenzione d’investire in questo settore con i loro fondi d’investimento sono bloccati proprio da questi impedimenti. Il problema maggiore per lo sviluppo delle energie rinnovabili è che il legislatore ha fatto grandi passi avanti, ma nella fase di realizzazione i problemi sono ancora molti. Occorre che le istituzioni e gli enti locali agevolino le procedure e che il legislatore intervenga anche sulla fase pratica.