IL VENTURE CAPITAL, TERMOMETRO DEI NUOVI MEDIA IN ITALIA E IN EUROPA

Qualifiche dell'autore: 
venture capitalist, presidente di Pino Venture Partners

Intervista di Sergio Dalla Val

Perché il venture capital investe nell’impresa nuova, in particolare nell’informazione? 

Oltre l’80% degli investimenti di venture capital, soprattutto in America, sono effettuati in aziende del settore dell’alta tecnologia: Internet, telecomunicazioni, information technology e biotecnologie. L’industria dell’informazione in genere, sia dei servizi, sia delle tecnologie, è il settore che ha più probabilità di presentare elevati tassi di crescita, con conseguente creazione di valore, e per questo è il settore in cui si concentrano maggiormente gli investimenti di venture capital, che ha lo scopo di creare valore. L’innovazione è importante perché il venture capital ragiona come se le aziende fossero esseri umani: le aziende nascono, crescono e poi hanno un certo declino. Non sono le aziende con vita lunga quelle che hanno dato maggiore ricchezza ai propri investitori, ma quelle che hanno un certo tipo di crescita e a un certo punto spariscono o vengono assorbite da altre. Quindi, le aziende che creano valore sono quelle che dicono qualcosa di nuovo rispetto all’esistente. Non deve essere necessariamente qualcosa di nuovo in termini assoluti, ma in termini relativi: un’azienda di telecomunicazioni non deve essere innovativa rispetto a quanto c’è in America, per esempio, ma rispetto a quanto c’è in Italia, se in quel momento in Italia c’è spazio per l’offerta di servizi innovativi.

Molte aziende che il venture capital alimenta sono quelle che prendono il posto di quelle esistenti da tempo e stabilizzate, sono quelle dell’information technology. L’innovazione del venture capital non è soltanto di carattere tecnologico, è anche un’innovazione del modello di impresa. Innovazione nel venture capital significa creare nuove aziende senza gravità, che hanno in sé, nel loro disegno strategico, la possibilità di muoversi, di essere flessibili, di cambiare; aziende che non hanno una gravità legata a investimenti fissi, a strutture molto pesanti, aziende in cui i beni immateriali vengono valorizzati e sono considerati più importanti dei beni materiali. Quando ci si chiede come mai la Microsoft sia valutata così tanto, se si risponde alla maniera dei contabili e sulla base dei risultati di bilancio non si capisce, perché i contabili nel bilancio non mettono fra gli assets la voce “Bill Gates”; se la mettessero, il valore attribuito alla Microsoft apparirebbe molto più chiaro.

Chiaramente, però, il venture capital non è un ente di beneficenza. Il venture capital ha un compito molto semplice: raccogliere i soldi dagli investitori e distribuirli in investimenti in nuove iniziative, rischiando. Oggi tutti mi dicono che sono stato bravo ad avere investito in Tiscali. Ma quando l’ho conosciuto, Soru aveva solo dodici persone che lavoravano con lui e aveva le idee relativamente confuse. Eppure, l’ho incontrato alle tre del pomeriggio, alle cinque avevo indicato che avrei suggerito al fondo di investire quattro miliardi, dopo, ovviamente, una due diligence. L’unico errore che ho fatto è che avrei dovuto investire otto miliardi. Chiaramente, mi era noto il settore delle telecomunicazioni, mi erano note le domande da fare, ma il rischio restava. Il venture capital ha un solo mestiere: mettere soldi in aziende, sapendo sin dall’inizio che molte falliranno. È andata male? Pazienza. Accettiamo il fallimento di un’azienda, di un’iniziativa, come regola del gioco. Il nostro obiettivo è molto semplice, quello di prendere i soldi e ritornarli “ingrassati” ai nostri investitori. Un venture capital che si rispetti deve avere almeno un tasso interno di rendimento netto del 30% annuo, al di sotto di questo è considerato un venture capital scadente. Un anno fa, addirittura, si parlava di ritorni del 100%.

Con quale criterio il venture capital investe?

Il concetto principale è che il venture capital investe in un’azienda nella misura in cui la visione di questa azienda è corretta, ci sia una corretta visione di mercato, ci sia il dovuto tasso d’innovazione, il mercato a cui si rivolge abbia probabilità di crescita, ci sia un buon management. Molto probabilmente, i fattori in base ai quali decidiamo di investire sono cinque: il primo è il management, il secondo è il management, il terzo è il management, il quarto è il management e il quinto non me lo ricordo. Questo significa in pratica che il business plan, la visione, ecc., sono tutte condizioni necessarie, ma non sufficienti. Alla fine, ciò che conta sono gli uomini e le donne che vengono messi a dirigere questa azienda. Non basta che l’idea sia giusta, bisogna che il management sia in grado di eseguirla, di tradurre l’idea in azione, in attività di marketing, in maniera corretta. Se l’idea è valida, ma l’execution è sbagliata, l’azienda non sta in piedi. Ma non basta ancora, perché non è detto che il futuro sia grande per tutti, conta chi arriva prima, e vale la frase “The winner takes it all” (il vincitore prende tutto). Quando parte un’azienda come Amazon per la vendita dei libri – poi possiamo discutere se sia giusto o meno –, uno come Mondadori può riconsiderare quel mercato perché ha elementi di forza, ma uno che parte da zero non è così scemo da sostenere un’altra azienda per la distribuzione di libri, perché Amazon ha occupato lo spazio disponibile sul mercato, anche in Europa. 

Perché la Borsa ha punito molte aziende della net economy?

Il venture capital ha sempre considerato che il gap temporale tra il momento dell’investimento in un’azienda e il momento della quotazione in borsa sia da due a quattro anni. Ultimamente, molte aziende hanno pensato di andare in Borsa dopo un anno, accollando il rischio d’impresa sull’investitore del mercato borsistico. I risultati li abbiamo visti. Oggi occorre tornare alle regole che hanno da sempre guidato il mercato dei capitali, ossia le aziende devono procedere alla quotazione in Borsa quando sono in grado di dimostrare che hanno un modello di business che funziona – non necessariamente quando guadagnano –, quando hanno un management professionale e non fatto di dilettanti; anche gli analisti devono essere molto più cauti, più seri nel valutare le aziende.

Bisogna anche accettare le regole del gioco: diventare ricchi senza rischi è impossibile, chi ha pochi soldi da investire deve rimanere nell’ambito della old economy. 

Quale futuro per la net economy?

La net economy assomiglierà sempre più a una grande foresta rigogliosa; guardandola dall’aereo sembra bella e affascinante, ma se la si percorre a piedi si trovano alberi bruciati, alberi spezzati, alberi caduti. Il mondo dell’informazione guiderà l’evoluzione e l’espansione della foresta Net Economy e dell’economia mondiale dei prossimi anni, la tecnologia che guiderà questa evoluzione sarà rappresentata da banda larga, fibra ottica, e così via. Avremo un mondo che si presenterà globalmente in modo positivo, mentre avrà dentro di sé situazioni critiche. Ecco perché bisogna far crescere nuovi alberi (le nuove aziende) per mantenere la foresta viva e in crescita.