TRA MEDICINIA E CHIMICA: COME NASCE UN NUOVO FARMACO
Lo scienziato Frank Savage Walsh, scozzese, biologo e chimico, da anni dedica la sua ricerca allo studio dei meccanismi molecolari e cellulari alla base di malattie di grande impatto sociale quali i tumori e le degenerazioni del sistema nervoso centrale. La sua carriera scientifica si è sviluppata in Gran Bretagna e, fin dall’inizio, si è svolta tra ricerca accademica e industria. Ha ricoperto incarichi importanti sino all’attuale carica di direttore delle ricerche della casa farmaceutica Wyeth (USA), e il suo impegno ha avuto come principale obiettivo l’analisi accurata dei processi che sono alla base delle malattie, finalizzata allo sviluppo di farmaci sempre più innovativi. Pubblichiamo alcuni brani del suo intervento e del dibattito che ne è seguito alla Facoltà di Farmacologia dell’Università di Bologna, il 26 ottobre 2006, in occasione del conferimento della laurea honoris causa.
L’idea originaria di un nuovo farmaco deriva sempre da una necessità terapeutica (medical need). Ogni nuovo farmaco nasce dall’individuazione, da parte di medici e di ricercatori, di un meccanismo o di un processo biologico su cui intervenire per modificare il decorso di una malattia. A partire da quest’ipotesi, vengono scelti i cosiddetti composti guida (lead compounds).
In passato si facevano screening a tappeto su numerose sostanze, testandone le potenziali attività biologiche, ma così solo con fortuna venivano individuate molecole aventi attività farmacologiche. Quest’approccio è utilizzato ancora talvolta, avvalendosi della sintesi combinatoriale e delle analisi high throughput.
Un altro approccio sperimentale molto usato in chimica farmaceutica è lo studio della relazione struttura attività (SAR).
Oggi, tuttavia, è particolarmente importante, soprattutto nei tumori e nelle malattie degenerative del sistema nervoso centrale, individuare e conoscere i meccanismi che inibiscono lo sviluppo di patologie.
Quale nuovo principio attivo antitumorale ritiene particolarmente importante per l’uso terapeutico?
In modo particolare il Mylotarg TM, un coniugato tra una piccola molecola di sintesi e un anticorpo, che si è dimostrato di grande potenzialità nel trattamento di alcuni tumori grazie alla sua abilità a raggiungere selettivamente la cellula tumorale preservando le cellule sane.
E una nuova linea di ricerca di grande futuro?
Certamente quella che ha visto lo sviluppo di inibitori selettivi della gamma-secretasi, una proteina coinvolta nell’insorgenza del morbo di Alzheimer, che può rappresentare un nuovo interessante target terapeutico per il trattamento di questa malattia. Una nuova molecola che potrebbe salvare le cellule neuronali malate riparando i danni al cervello è il cosiddetto inibitore PARP, che sembra offrire concrete speranze per potere impedire la morte di neuroni colpiti da ictus. Oggi, comunque, grazie anche alla clonazione del genoma umano, ci sono più di 5.000 molecole che offrono sfide significative agli scienziati per rivelare il loro specifico coinvolgimento nelle malattie.
Qual è, oggi, la portata dell’integrazione della ricerca con l’industria e con altri istituti accademici?
È fondamentale. È un’occasione ineludibile di arricchimento culturale e d’innovazione. Dalla collaborazione con le Università di Perugia e di Firenze e con i loro ricercatori sono nate molte acquisizioni che hanno portato alla scoperta del PARP.