LA BATTAGLIA PER LA SALUTE

Qualifiche dell'autore: 
direttore dell'Istituto di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica (Università di Bologna), presidente Associazione Sostegno e Assistenza Neoplasie Onlus

Sono un patologo e, prima di spiegare in che modo i patologi si occupano dei tumori, voglio porgere un tributo a Marcello Malpighi, uomo di genio, forse il più grande scienziato che l’Università di Bologna abbia mai avuto. Se nel ‘600 ci fosse stato il premio Nobel, Malpighi ne avrebbe presi due, poiché è stato colui che ha facilitato l’attività scientifica moderna della medicina. Egli nacque nel 1628 a Crevalcore, in provincia di Bologna, in un’abitazione di cui è rimasto soltanto il pozzo. Morì nel 1694 e fu sepolto a Bologna. Una delle placche tuttora presenti all’Archiginnasio, lasciataci da un monaco, recita: “Non voglio scrivere molto su Malpighi, tanto sono sicuro che il futuro parlerà di lui”. Il suo maestro fu Bartolomeo Mascari, medico e astrologo. Ciò indica che la medicina, trecento anni fa, era ancora una medicina astrologica, si occupava di malattia come di materia peccans: chi si reca all’Archiginnasio di Bologna, antica sede universitaria, può ancora vedere, nella volta della sala anatomica, disegni dello Zodiaco. Malpighi fece fare alla medicina il passo decisivo in direzione della scienza, promuovendo la tecnologia e introducendo, per primo, il microscopio, tecnologia avanzatissima per l’epoca presa da Galileo. E introdusse il metodo chiamato poi malpighiano, lo stesso utilizzato ancora oggi in medicina, che prevede un costante esame critico della letteratura, perché non si può procedere senza sapere quello che hanno fatto gli altri, soprattutto per evitare errori e ritardi, ma anche l’elaborazione di altre procedure per arrivare alla comprensione della malattia.

In questo lavoro di patologo, il mio rapporto con i tumori è di enorme rispetto: ci sono vari tipi di tumore, ma reputo alcuni di essi veri e propri esseri intelligenti, macchine da guerra, così organizzati che, malgrado tutto quello che facciamo, malgrado la nostra tecnologia, malgrado la nostra intelligenza, sfuggono al controllo. Il mio atteggiamento nei loro confronti è un atteggiamento di guerra ma lo reputo anche un gioco delle parti. Intendo come gioco delle parti quello che cerca di riuscire a portare dalla propria parte quell’essere intelligente che tenta di eludere tutti i tuoi sforzi terapeutici.

Noi patologi ci occupiamo della prevenzione primaria, cioè cerchiamo di fare in modo che questi esseri pensanti e intelligenti che sono i tumori, non nascano. Lo facciamo eliminando le sostanze che possono indurne la formazione. Ai tempi di Malpighi il tabacco non c’era, mentre ora sappiamo che c’è una correlazione diretta tra il tumore polmonare e il tabacco, così come tra il tumore pleurico, il mesotelioma, e l’asbesto. Se riusciamo a fare in modo che le persone non entrino in contatto con queste e altre sostanze, parliamo di prevenzione primaria. Esiste poi una prevenzione secondaria, che avviene diagnosticando i tumori quando si sono appena formati, cioè quando sono piccoli e ancora un po’ ingenui. Citiamo, come esempio, il famoso Pap test, che in Emilia Romagna, una regione avanzata sugli screening, viene condotto a livello regionale. Questo ha ridotto significativamente l’incidenza del carcinoma della cervice uterina, un tumore tremendo fino a trent’anni fa.

Riguardo al trattamento chirurgico, sicuramente il tumore dev’essere asportato quanto più e quanto prima possibile. Ci sono vari tipi di tumore, alcuni sono completamente eradicabili, altri no. Il ruolo del patologo è quello di guidare le mani del chirurgo: deve dirgli quale porzione di tessuto che ci ha dato da esaminare è un tumore e quale è sana. Gli dirà poi se lo ha asportato completamente, e in questo caso il paziente non avrà più problemi da tale lesione, oppure no. Quando il tumore invade i tessuti, quanto più esso penetra in profondità, tanto più è aggressivo e creerà problemi. Sappiamo che, quando il tumore è circoscritto e penetra poco, le possibilità di sopravvivenza sono molto alte.

Il trattamento radioterapico è un altro presidio utilizzato di routine. Il tumore, in questo caso, viene distrutto con energia radiante, coinvolgendo talvolta purtroppo anche il tessuto sano che lo circonda. Compito del patologo, nello specifico, è di guidare le mani anche del radioterapista, dicendogli quale tumore reagisce positivamente alla terapia e quale no: in questo caso la terapia risulterebbe inutile. La stessa cosa accade con i farmaci: sta a noi dire se il trattamento chemioterapico riesce a distruggere il tumore o ad arrestarne la crescita. Sempre più il chemioterapista, che è un oncologo clinico, ha bisogno di noi patologi, specie per quello che viene definito “trattamento personalizzato”.

La cura dei tumori oggi prevede tanti altri presidi, uno dei quali è sicuramente l’immunologia.

Attualmente, è entrata in maniera prepotente nella diagnosi e nella terapia quella che viene detta tecnica molecolare, cioè lo studio delle molecole –soprattutto del DNA – che servono a individuare la familiarità o l’ereditarietà delle neoplasie. Si tratta di un insieme di tecniche molto importanti, anche se pone problemi di comunicazione. Tuttavia, dire a un figlio che ha l’ottanta per cento di possibilità di sviluppare una neoplasia maligna oppure che ha un rischio normale rispetto alla popolazione sana è spesso un’informazione di vitale importanza. I cromosomi di cui si parla tanto sono sempre in doppio, legati in un centro che si chiama centromero, che li unisce. Hanno poi bracci di lunghezza differente. I cromosomi sono prevalentemente costituiti da DNA.

Parlando di DNA, iniziamo anche a parlare di medicina molecolare. Per esempio, la tecnica, detta, in acronimo FISH (Fluorescent In Situ Hybridisation) è molto usata e abbastanza semplice. Il DNA è costituito da una doppia elica. Con la tecnica FISH si spezza l’elica in ciascuna delle due parti. Una parte dell’elica preesistente viene poi ibridata, cioè coniugata con un marcatore noto, costituito da frammenti di DNA creati artificialmente e complementari a sequenze cromosoma-specifiche. In tale modo riusciamo a sapere che, se un pezzo di elica si attacca al marcatore precostituito, ci sono le condizioni perché la lesione cancerosa possa essere sottoposta a uno specifico trattamento. Se si verifica l’adesione tra le due parti complementari, il fatto viene segnalato dalla fluorescenza della sequenza ibridante artificiale. In questo modo possiamo arrivare a vedere anche i singoli geni, cioè i pezzi di materiale genetico, che costituiscono il genoma, all’interno di ciascun cromosoma, tra cui il gene della crescita tumorale. Se un tumore ha geni di questo tipo iperespressi, ha, purtroppo, probabilità di crescere in modo enorme. Oggi esistono ulteriori tecniche, in cui si possono vedere i pezzi in più o in meno dei diversi cromosomi, e addirittura una, chiamata DNA array, che in un singolo esperimento consente di vedere almeno 20000 geni, cioè 20000 parti di un singolo cromosoma, e di capire quale, tra questi, è modificato e quale no. Ritengo che, con queste tecniche, entro dieci anni le conoscenze sulla formazione dei tumori saranno a tal punto che, pur non volendo creare facili aspettative, la situazione potrà cambiare in modo significativo.

Vorrei dare alcuni elementi anche di farmacologia genetica, che una parte del mio istituto sta sviluppando. La farmacologia genetica è un nuovo approccio terapeutico. Finora, nella clinica, si è sempre parlato di chemioterapici, farmaci che colpiscono le cellule malate ma anche quelle sane. Quello che tutti vorremmo è invece che i farmaci colpissero in modo mirato (intelligente) le cellule neoplastiche. Vediamo come agiscono alcuni nuovi farmaci. Tutte le cellule sono avvolte da una membrana cellulare, sulla quale esistono recettori: quelli per gli ormoni, quelli per altre sostanze e quelli per i fattori di crescita cellulare, che è quanto ora c’interessa. Se questi recettori specifici di crescita vengono stimolati, la cellula si attiva e comincia a proliferare. Il progetto di ricerca farmacologica prevede di creare farmaci in grado di bloccare i recettori dei fattori di crescita. In taluni casi i farmaci possono configurare una terapia immunologica, in cui vengono utilizzati anticorpi per bloccare questi recettori. Ora esistono farmaci che li bloccano selettivamente. Questa particolare farmacologia viene chiamata genetica molecolare intelligente (farmacogenomica).

Tutto ciò avviene non per eventi miracolistici, ma per il difficile lavoro di tutti coloro che se ne occupano. Voglio aggiungere che, oggi, non esistono più santuari di ricerca come all’epoca in cui Stati Uniti e Inghilterra facevano la parte del leone. Oggi, in un mondo che sta globalizzandosi, anche la ricerca si diffonde ad aree che sanno investire e che vogliono farla. L’Italia, sebbene con molti problemi strutturali e di scarso investimento economico, è competitiva in molti campi e ovviamente stanno emergendo nuove realtà come la Cina e l’India.

Desidero, al proposito, ricordare particolarmente l’Associazione Sostegno e Assistenza Neoplasie Onlus (con sede all’Ospedale Bellaria di Bologna), da me presieduta, che aiuta soprattutto giovani ricercatori, in particolare quelli che si occupano di tumori mammari, cerebrali, del cavo orale e polmonari, affinché il loro entusiasmo venga sostenuto. Senza ricerca non c’è futuro e senza ricerca, nel campo oncologico, non c’è cura.