L'ATTO ECONOMICO COME ATTO DI COMUNICAZIONE
Spesso mi viene chiesto perché istituzioni come la Camera di Commercio, che dovrebbero occuparsi esclusivamente di affari, mantengono in piedi un gruppo di ricerca come il mio che si occupa di problemi di teoria della comunicazione, di teoria della conoscenza e delle sue applicazioni nella vita aziendale. Io spesso rispondo che prima di ogni atto economico c’è, in realtà, un atto di comunicazione. Quando sono andato a comperare questa penna io e il cartolaio ci siamo scambiati una serie di informazioni sul colore, la consistenza e il prezzo, che ci hanno poi portato a chiudere un patto di scambio. Ma per costruire questa penna c’è stato un enorme scambio di informazioni sulle materie prime, sull’inchiostro, sui progetti, sono stati scritti documenti e report. Penso che questa penna rappresenti un fatto di comunicazione implicita di informazioni assolutamente rilevanti; per fortuna ne fanno milioni, altrimenti il suo costo sarebbe tale che non si riuscirebbe praticamente a comperarla.
Oggi sempre più le imprese sono coscienti del fatto che tutto questo scambio di informazioni rimane spesso non documentato, rimane implicito, chiuso nelle teste delle persone, e sempre più stanno orientandosi a cercare di estrarlo e di renderlo esplicito, di documentarlo, perché possa poi essere riutilizzato, rimesso a disposizione e comunicato ai nuovi entrati nell’impresa, sempre con l’obiettivo di rendere più economici e veloci le comunicazioni. Questo accade anche nelle pubbliche amministrazioni ed è ciò che noi chiamiamo “knowledge management” – di cui ad Unioncamere mi occupo –, e che potremmo tradurre come gestione della conoscenza. Lavorando su questi temi, ho avuto alcune intuizioni che la lettura del libro di Padre Busa ha messo in evidenza: questa nostra difficoltà, di cui parla ampiamente il libro, a cogliere effettivamente le dinamiche interiori che portano all’espressione che costituisce la relazione, anche economica, che poi diventa affare, transazione, business. Questo mistero a noi stessi che noi vediamo ci rende impossibile costruire sistemi informativi che tengano realmente conto di questa vita relazionale che vorremmo cogliere e descrivere attraverso le reti.
Ma concludo ponendo una domanda a Padre Busa: lui scrive nei suoi libri che l’informatica ha provocato e sta provocando un cambiamento per il quale noi non siamo completamente attrezzati dal punto di vista delle logiche, degli strumenti culturali e intellettuali. Alla fine del suo libro, lui dice che, partendo da chilometri di dati, ha fatto qualche centimetro (il che mi rassicura sul mio mezzo millimetro); e allora mi chiedo e gli chiedo quali sono le direzioni che la ricerca può fecondamente intraprendere e se per caso ce ne sono alcune che anche noi, come uomini dell’impresa e del mondo del lavoro, possiamo intraprendere.