I BATTERI E L'UMANITÀ

Qualifiche dell'autore: 
docente di Oncologia e direttore della Scuola di specializzazione in Oncologia dell'Università di Bologna

Premetto che l’oncologo clinico, oggi, deve fare almeno due cose: da una parte, avere conoscenza e consapevolezza delle opportunità offerte dalle tecniche chirurgiche, farmacologiche e radioterapiche e, dall’altra, stare più vicino possibile al malato e garantire al paziente e alla sua famiglia una continuità assoluta di gestione clinica e psicologica del caso, anche quando la sua attività come figura professionale che somministra medicine per la malattia è terminata, perché sembra che non vi sia più nulla da fare.

Vorrei ora fare alcune osservazioni su una questione molto importante in campo oncologico. Perché una persona si ammala e l’altra no, pur essendo, entrambe, sottoposte agli stessi fattori di rischio? C’è una predisposizione ereditaria? Oggi possiamo rispondere affermativamente a questa domanda, anche se la predisposizione ereditaria si somma al cumulo di fattori di rischio ai quali una persona si trova esposta. Ricordiamo che il fattore di rischio può non essere uno solo. È il caso degli stili di vita: se un fumatore eccede anche nell’assunzione di alcool, i fattori di rischio aumentano e vanno al di là del semplice computo del numero di sigarette fumate. Oggi chiamiamo questi fattori integrazioni negative di agenti esogeni. La componente endogena è tuttavia attualmente considerata di eguale importanza, soprattutto per quanto riguarda la costruzione del DNA di ciascuno, considerando sia come ce lo hanno trasmesso i genitori, sia i punti di fragilità che può avere acquisito nel corso della vita. Nel processo di cancerogenesi, che di solito avviene in un lungo periodo, a tappe, prima di manifestarsi in forma definitiva, nel momento in cui interviene un periodo di particolare fragilità, il processo può avere un’accelerazione forte e significativa. Comunque, è altrettanto essenziale il fatto che ciascuno di noi ha anche molti punti di forza, tra cui la capacità di riparare il DNA, e che la maggiore o minore capacità di riparazione e di resistenza all’avanzare della malattia è un fattore altrettanto decisivo per l’esito del processo.

In questa capacità variabile di resistenza e di probabilità di risposta all’insulto genotossico intervengono altri due fattori.

Il primo è dato dalla componente immunitaria, cioè dal sistema di difesa di cui ciascuno è dotato per combattere le infezioni e gli agenti esterni e, com’è ormai accertato, anche per combattere le cellule neoplastiche, almeno in alcune forme di tumore. Ricordiamo che la regressione biologica, fino a stadi primordiali, delle cellule di molte di tali forme, con tutta una serie di cambiamenti riguardanti in modo particolare la proliferazione, è comunque una nostra risposta, anche se modificata da alcuni agenti. Tuttavia, questo schema di processo non è stato finora accertato in tutte le forme di tumore. In alcuni casi, il sistema immunitario non riconosce queste cellule modificate in senso primordiale. In altri casi lo fa, in particolare nel melanoma e nei tumori del rene e della tiroide, e in questi casi si può utilizzare tale risorsa rafforzando il sistema come strategia terapeutica.

Il secondo fattore di cui tenere conto nella risposta all’insulto genotossico è dato dallo studio di un altro sistema, al limite tra l’oncologia, la medicina interna e la microbiologia, che non è stato, a mio parere, ancora sufficientemente sviluppato. Faccio riferimento al carico di batteri che vivono abitualmente nel nostro corpo. Noi ospitiamo circa altrettante cellule batteriche quante sono le cellule del nostro organismo. Ciascuno di noi, dalla nascita, si carica di una flora batterica che lo accompagnerà per tutta l’esistenza, come una carta d’identità. Definiamo questa carica abituale di batteri carica saprofitica, cui si aggiungono, di volta in volta, quelle patogene. Questa carica, specifica per ciascuno, ha un’importanza enorme nel modulare la risposta immunitaria e in altri processi, come nell’efficacia di farmaci, tra cui i chemioterapici, nel cui metabolismo interviene in modo molto significativo. Ma di tutto ciò sappiamo ancora troppo poco. Nonostante certi messaggi pubblicitari facilitanti ci facciano immaginare il contrario, la complessità e la variabilità di tale flora è un elemento di difficoltà enorme per il procedere della ricerca in tale ambito. Il cancro della mammella e il cancro del colon, per esempio, potrebbero essere fortemente influenzati dalla flora batterica, come dimostravano studi di alcuni anni fa, partendo anche da esperimenti su animali. Il fenomeno per cui le diete iperlipidiche potrebbero aumentare il rischio di tali tumori potrebbe essere spiegato con il fatto che, poiché per sciogliere e digerire quantità eccessive di tali sostanze occorre produrre molti più acidi biliari, il loro aumento causa nell’intestino un microambiente favorevole al formarsi di una certa flora batterica che, a sua volta, degrada gli acidi biliari a tal punto che questi diventano sostanze oncogene per la mucosa del colon e anche per la mammella, per ragioni chimiche. Infatti, alcuni di questi prodotti di degradazione sono anelli steroidei che entrano in modo importante nell’assetto ormonale della donna.

La formazione del tumore va quindi considerata un fenomeno di una complessità estrema. Ma, quando si verifica, l’oncologo clinico deve svolgere e sapere svolgere, sempre e comunque, quelle funzioni essenziali cui ho fatto cenno all’inizio.