LA LETTERA, IL BIT E IL LINGUAGGIO ARTIFICIALE
Alfred Kallir, nel suo libro Segno e Disegno, ci illustra come la rappresentazione della lettera nei vari alfabeti, da quelli semiti a quelli contemporanei, proceda da elementi rappresentativi primitivi, visivi e fonetici, per arrivare, per via di evoluzione e di trasformazione, a una successiva definizione simbolica. La lettera è stata in qualche modo il primo bit, l’elemento insecabile e non scomponibile più antico attorno a cui si è sviluppato quello che venne chiamato, e da alcuni viene chiamato tuttora, linguaggio naturale. Le più antiche tavolette di scrittura, in particolare quelle sumere, sono state, dunque, le prime strutture hardware di scrittura della storia, con unità di input, gli strumenti incisori a loro propri, unità di output, le tracce incise sulla superficie, ma, fin dall’inizio, con una sola unità di governo: l’uomo stesso, con tutte le infinite sfumature e risorse della sua intelligenza. L’hardware della scrittura non si è modificato molto nel tempo: carta, penna, macchina da scrivere hanno sostituito i primi strumenti, restando tuttavia tali. Padre Busa ci ricorda, nel suo bellissimo libro Dal computer agli angeli, come, da sempre, gli strumenti “fanno sistema” con l’uomo, comprendendo gran parte dei suoi sensi, talvolta come propaggini, talaltra come comandi e talaltra ancora ponendosi in relazione con il suo pensiero. Il software della scrittura, viceversa, è stato sempre, fino all’avvento dell’informatica, caratteristica esclusiva degli umani, della loro intelligenza, del loro pensiero, della loro memoria, delle loro abilità.
Ma il software degli umani si è sviluppato e si sviluppa costantemente perché c’è il linguaggio. Linguaggio che non riguarda solo il parlare, ma anche lo scrivere, il leggere, il pensare, nella simultaneità. Come ci sottolineano le neuroscienze, ma come aveva già avvertito Freud, qualsiasi inciampo, impasse, lapsus del linguaggio si manifesta in ciascuno di tali aspetti. L’agrafia, l’alessia, l’afasia non sono strutturali, ma indicano come non esistano facoltà, facilità di parola, di lettura, di scrittura, in quanto naturali. Come sottolineò Giambattista Vico nella Scienza nuova, è il balbettio degli umani che dà origine al parlare. Il linguaggio è una dimensione della parola, dove si tratta della divisione delle cose. Proprietà del linguaggio sono, come indica la scienza della parola, l’arbitrarietà, l’improprietà, la non convenzionalità.
I primi computer erano macchine create per calcolare, o per ordinare operazioni complesse. Affrontare la questione del software come questione del linguaggio ci conferma che esso non è qualcosa di naturale, da riprodurre in termini di artificialità, ma da costruire, ciascuna volta, tenendo conto della logica e della struttura proprie a ciascuno. Applicarsi in tale modo ai linguaggi artificiali, pur nel rispetto delle strutture formali richieste dall’informatica, è una sfida che, a partire dal lavoro svolto da Padre Busa, riguarda ciascuno di noi. Senza una lingua diplomatica, nel senso classico del termine, com’è stata il Fortran, il progresso d’integrazione dei linguaggi informatici sarebbe stato indubbiamente molto più lento. La distinzione tra linguaggio naturale, linguaggio macchina, linguaggi orientati alla macchina e linguaggi indipendenti dalla macchina (algoritmici, conversazionali, compilatori) ha, oggi, un valore eminentemente storico e classificatorio, rivolto essenzialmente ai programmatori. Esistono linguaggi informatici che consentono sempre più il mantenimento delle infinite sfumature del linguaggio parlato nello specifico della loro funzione e alcuni di essi rilasciano anche effetti d’equivoco e di malinteso, pur conservando come fondamento il binary digit, il bit, unità elementare alfabetica e d’informazione. Ancora una volta, anche nel linguaggio artificiale (o dell’arte-fatto, come lo definisce Padre Busa nell’altro suo bel libro Quodlibet. Briciole del mio mulino), il linguaggio trascende i singoli elementi su cui si fonda per andare a costruire qualcosa d’altro. Per la scienza della parola il linguaggio si costituisce in tutti i casi, dunque anche in questo, in una dimensione della parola che non può prescindere dalla logica delle funzioni. L’informatica sottolinea anche come l’industria sia essenziale per la scrittura, quando crea, per essa, gli strumenti temporali.
Esiste dunque un’operatività, nell’intelligenza artificiale, che non viene mai a mancare e che dimostra che quando si scrive è pleonastico chiedersi chi sta scrivendo. L’io, il soggetto, un’ispirazione divina, o un’automaticità della scrittura, come sostenevano all’inizio del XX secolo alcune correnti culturali? La scrittura, come ha affermato più volte Armando Verdiglione, è nella parola e della parola, e non può assolutamente prescinderne: essa passa attraverso le lettere e, come tale, passa anche attraverso l’immagine. Non si situa dunque nell’incominciamento, non procede da un soggetto ma dal fare, tenendo conto della logica propria a ciascuno e di altri elementi come la formazione, l’informazione, la comunicazione e la lettura, quale punta della scrittura.