COME ASCOLTARE GLI EDIFICI
È un privilegio essere qui, aver ascoltato questo dibattito intorno al mio libro, in una città per me pressoché sconosciuta, Bologna, che ho visitato una sola volta, più di vent’anni fa.
Mi occupo di reati edilizi, un settore che sul territorio di Milano produce il numero maggiore di fascicoli dopo i reati commessi contro il patrimonio –- per lo meno nel periodo in cui tenevo la statistica dell’attività del mio Ufficio, vale a dire fino al 2000, dopo di che non me ne sono più occupato. Come dicevo, il reato edilizio, dopo il furto (nel senso dei reati contro il patrimonio), era quello che impegnava maggiormente le risorse dell’ex Pretura. Oggi è diventato ancora più oneroso: con l’articolo n. 481 del Codice Penale che punisce i reati commessi, fra l’altro, dai professionisti che asseverano falsamente le opere, il numero di reati legati all’edilizia è aumentato ulteriormente. A proposito di asseverazione, desidero quindi fare un paio di considerazioni: in primo luogo, ritengo che il controllo formale debba essere svolto sul territorio dalla Polizia Locale, che è l’organo che ha materialmente il polso della città, il polso del quartiere. Non so se a Bologna esista un unico Comando o più di uno sulle varie zone, in ogni caso il D.P.R. n. 380 del 2001 – il testo unico che ha sostituito tutte le norme in materia edilizia –- recita che la Polizia Giudiziaria, e cioè anche gli operatori di Polizia Locale, in caso di presunti abusi, deve segnalarli all’Autorità Giudiziaria, al dirigente dell’ufficio tecnico e al presidente della Regione. Per cui, il primo controllo deve essere sicuramente quello della Polizia Locale. In secondo luogo, ritengo che l’altro controllo che non può mancare è quello dell’ufficio tecnico, se manca, allora si può anche eliminare quell’Ufficio: essendoci i professionisti che asseverano le opere, diverrebbe solamente un archivio, un deposito di Denunce d’Inizio Attività, totalmente inutile. Considerato che le amministrazioni comunali hanno sempre bisogno di risorse, eliminando un ufficio, potrebbero impiegare il personale in maniera diversa e a quel punto magari disporre di risorse per eliminare i graffiti dai muri o dalle saracinesche dei negozi sotto i portici.
Quello che sicuramente dev’esserci, a mio avviso, è una sinergia tra l’amministrazione comunale, le associazioni di categoria e, sopra tutto, i cittadini. Senza una tale sinergia non potrà mai esserci una città a misura d’uomo. Senza buona volontà da parte di tutti, la smussatura di qualche angolo da parte delle persone coinvolte, credo che tra quindici anni saremo ancora qui a parlare delle stesse cose. Mi riferisco all’amministrazione comunale, ma anche ai progettisti, i quali credo debbano avere, tra l’altro, la funzione di psicologi per riuscire a capire che cosa vuole effettivamente il proprietario di un immobile quando dice: “Voglio rifare casa mia, la voglio bella”. Va bene, però in che termini? Con quali fini e quali obiettivi? Sopra tutto il progettista deve suggerire nuove soluzioni, che potrebbero anche essere più onerose, però il bello, il recupero fatto in un certo modo piace a tutti. Mi è capitato più di una volta d’imbattermi in un architetto o in un ingegnere indagato, rinviato a giudizio, condannato per una porcheria enorme, e d’incontrarlo dopo mesi o dopo anni e sentirmi dire: “Mola, vieni a vedere, devi vedere che bell’intervento ho fatto, come ho recuperato bene”. Credo che nessuno ami le brutture e credo che nessuno si scandalizzerebbe se, a una sua richiesta, si sentisse consigliare l’utilizzo di materiali magari più costosi ma che consentono di ottenere un risultato identico se non addirittura migliore. Sono certo che questa sia una strada percorribile.
Per quanto riguarda i centri storici, sono fermamente convinto che non possano essere cristallizzati e fini a se stessi. Se il centro non è vissuto, è già morto in partenza, come un museo che non sia un museo vivente. È uno spreco che tanti edifici di pregio, che hanno una storia e portano alla memoria, sopra tutto di chi abita in quel contesto, episodi che lo fanno sentire orgoglioso di far parte di quella società, siano lasciati chiusi, silenziosi, freddi, come monumenti impolverati che nessuno può fruire. Al contrario, avere la possibilità di utilizzarli è renderli nuovamente vivi, è restituirli a loro stessi, ridare loro la funzione per cui erano nati.
Un altro aspetto che desidero affrontare riguarda le regole. È vero che ci sono norme che lasciano agio a interpretazioni. Ma è altrettanto vero che per i monumenti, quanto meno quelli vincolati, un organo preposto, la Soprintendenza, stabilisce come devono essere recuperati, con quali materiali e in che misura. La Soprintendenza è l’organo principe che stabilisce se, per esempio, in un certo luogo dovrà esserci un intonaco di un determinato colore o dovrà essere lasciato il muro grezzo; è il personale della Soprintendenza che ha le capacità e i documenti storici cui fare riferimento per poter indicare come debba essere eseguito un restauro.
L’unico accenno che voglio fare riguardo ai pannelli solari è che in Italia sono utilizzati meno che in Germania. È un paradosso, però è così. Alcune amministrazioni della cintura del milanese, per le assegnazioni di superfici in edilizia convenzionata alle cooperative edilizie, prevedono dei punteggi di merito per quei progetti integrati con soluzioni di risparmio energetico e che quindi utilizzano anche pannelli solari, tra l’altro perché consentono loro di ottenere un punteggio maggiore rispetto ad altre cooperative che presentino un progetto tradizionale. Certo, nemmeno io vorrei vedere una sterminata distesa di pannelli solari sul Castello Sforzesco o sul Duomo di Milano, ma perlomeno sulle nuove edificazioni è importante cercare di sfruttare positivamente la tecnologia. Ben vengano, quindi, i pannelli solari e le nuove tecnologie, su questo non credo ci sia alcun dubbio. Come credo che gli uffici delle amministrazioni comunali possano far uso di questi impianti, sopra tutto sugli edifici che non fanno parte del centro storico o che non hanno un grandissimo pregio architettonico. Una conversione da parte delle amministrazioni potrebbe forse essere l’incipit, il punto iniziale di quella sinergia, di quella decisione di mettersi tutti attorno a un tavolo e vedere quali possono essere le esigenze sia di chi contabilmente deve gestire la macchina comune sia di chi poi deve fruire dei servizi che l’amministrazione gli offre.