COME PROMUOVERE L'EDILIZIA

Qualifiche dell'autore: 
titolare EMMEPI costruzioni, Bologna

Intervista di Pasquale Petrocelli

Può presentarci la sua azienda?

Io e mia moglie abbiamo fondato la Emmepi Costruzioni tra l’89 e il ‘90, dopo anni di esperienze. Prima avevo lavorato come dipendente e poi ero diventato socio di una piccola impresa di costruzioni nell’ambito dell’edilizia residenziale, mentre mia moglie invece si era occupata della progettazione di edifici residenziali. L’obiettivo era quello di lavorare, proseguendo le nostre esperienze, soprattutto nella casa. Così è stato e, dopo alcune prime esperienze di ristrutturazioni di importanti appartamenti nel centro storico di Bologna, abbiamo provato a integrare questo tipo di attività con iniziative immobiliari che andavano dall’acquisizione del terreno alla conseguente progettazione e esecuzione di un fabbricato, fino alla vendita degli appartamenti. Poi, negli ultimi anni, pur mantenendo lo specifico della casa, la nostra azienda ha fatto esperienze anche in altri ambiti, costruendo anche banche e alberghi.

Come mai questa variazione?

Bisogna considerare che il mercato, soprattutto quello della prima casa, comincia a mostrare indici di saturazione: a Bologna siamo vicini all’ottantacinque, novanta per cento di proprietari di prima casa, per cui nei prossimi anni questo tipo di mercato andrà necessariamente a restringersi, anche perché negli ultimi anni si è continuato a costruire molto grazie all’investimento negli immobili di capitali che migravano dalla borsa, allettati dai tassi dei mutui, piuttosto bassi, che però ora sono in aumento.

Qual è lo scenario che si prospetta per Bologna?

La nostra è una zona fortemente interessata dai problemi dell’immigrazione, per cui è chiaro che nei prossimi anni ci sarà l’esigenza anche di costruire edifici per classi sociali inizialmente meno abbienti, che in futuro, quando saranno integrate, probabilmente ambiranno anche a una qualità dell’abitare superiore. Quindi, una parte del mercato verrà costituito anche da queste classi emergenti. Però Bologna è una città costituita non solo da residenti: il settore alberghiero, quello del terziario e quello delle banche richiedono investimenti immobiliari. Ecco perché noi come impresa abbiamo diversificato negli ultimi anni.

Che cosa è cambiato nel modo di lavorare per le abitazioni?

La casa che si costruisce oggi è molto diversa da quella che si costruiva dieci anni fa dal punto di vista tecnologico e ambientale. La nuova frontiera sarà quella di costruire un prodotto edilizio con criteri qualitativi elevati, anche grazie alle nuove tecnologie.

L’altro grande tema, che impegnerà le imprese di costruzione nei prossimi anni, sarà quello del riattamento del patrimonio edilizio italiano che anche a Bologna, per parti molto consistenti, comincia ad avere cinquant’anni e presenta carenze di tipo impiantistico, come l’assenza di climatizzazione, forti dispersioni da un punto di vista dei consumi energetici, a volte assenza di ascensori. Auspico che la politica nazionale incentivi questo tipo di interventi anche da un punto di vista fiscale, dando un contributo consistente a questo settore.

Penso che un altro impulso possa provenire da nuovi criteri di valutazione: occorre capire che un metro quadrato non deve valere in quanto “metro quadrato”, ma deve essere stimato anche per quello che contiene. Dovremmo così avere una valutazione in base a questo criterio qualitativo, con fabbricati di prima, di seconda o di terza qualità. E questo potrebbe essere un incentivo notevole per intervenire sul proprio patrimonio di grado inferiore per elevarlo di livello, perché acquisisca un maggiore valore di mercato. Ma attualmente non è così, molto spesso si vende il “metro quadrato”, semplicemente. È singolare che in certe zone non ci sia differenza, per esempio, tra un fabbricato usato e uno nuovo.

Ci sono altri aspetti  da migliorare?

Intanto, qualcosa anche a livello normativo. In Italia, per avviare un’impresa edile, basta registrarla alla Camera di Commercio. Non ci sono griglie d’ingresso, né di tipo patrimoniale né rispetto alla formazione di base, che impediscano a chiunque di fare impresa di costruzione. Questo comporta che ai livelli inferiori esistano una miriade di piccole imprese che non sono affidabili né patrimonialmente né come struttura organizzativa, che però creano notevoli turbative di mercato perché naturalmente offrono prezzi più bassi. I criteri di qualità devono riguardare anche queste piccole imprese, e vanno in qualche modo premiate le aziende che hanno voglia di crescere in questa direzione.

Come rilanciare l’edilizia?

Come ho avuto già occasione di dire in diverse occasioni, anche come docente all’interno di corsi di formazione per la legge 494, penso che il nostro settore deve impegnarsi per tornare a costituire un’attrattiva per le nuove generazioni. Negli ultimi venti, trent’anni, molto spesso hanno lavorato nel nostro settore, soprattutto a livello di maestranze, coloro che non trovavano nient’altro da fare, pensando che l’edilizia fosse un lavoro povero, un lavoro nel quale ci fosse un minor livello di tecnologia rispetto ad altri come il metalmeccanico.  In realtà credo che anche l’edilizia sia un mestiere che possa avere un grande interesse per i giovani, perché oggi si fa edilizia, anche da un punto di vista cantieristico, in modo diverso da quello di una volta. La leggenda che l’edilizia sia un lavoro scomodo, perché si sta al freddo e al caldo, oggi è molto meno vera di una volta. Ci sono cantieri edili che, se sono ben organizzati, sono officine nelle quali si può lavorare bene, anche con un discreto comfort. E questo è un elemento da valorizzare.  Credo che anche la scuola, sopra tutto quella media superiore, dovrebbe indirizzare in qualche modo a una qualificazione maggiore, perché oggi occorrono lavoratori ben formati. Al contrario, purtroppo, negli ultimi anni la qualità delle scuole è molto peggiorata. Mentre il nostro settore ha bisogno di qualità anche nel senso di formazione di base: coloro che decidono di fare questo mestiere devono essere formati meglio e devono avere la percezione che quando intraprendono questo lavoro affrontano proprio una bella esperienza. Costruire qualcosa che poi si può ammirare, qualcosa che si è materializzato, credo che possa avere anche un grande fascino per un giovane che voglia intraprendere la nostra attività. Perché i segni che lascia l’edilizia sul territorio si vedono. Quello che noi costruiamo è quello che poi vediamo tutti i giorni camminando per la città.

Dove esiste anche dell’altro…

L’Italia è un paese malato di burocrazia. Siamo nelle condizioni che, quando finalmente tu puoi mettere la prima pietra per costruire un edificio, sei già stanco di quell’edificio anche se non l’hai ancora visto, perché ci hai messo cinque, sei, sette anni per arrivare ad avere un permesso per costruire. Magari hai comprato un terreno per edificare un fabbricato che dopo sei anni può non essere più recepito dal mercato, perché è passato troppo tempo dal momento in cui tu hai investito su quell’area. L’eccesso di burocrazia è un male assoluto dell’Italia che dovrebbe essere combattuto anche attraverso una maggiore coesione fra le imprese, il solo strumento che può consentire di far sentire la voce di un comparto e non di una singola impresa.

Purtroppo, paradossalmente, siccome lavorare è diventato sempre più difficile, le imprese si sono rinchiuse nel loro ambito molto più di una volta e gli imprenditori hanno meno tempo, meno propensione a incontrarsi, a fare associazionismo. Ma per partecipare a un dibattito serio sulla città, sulla provincia, sulla tua attività, la tua voce non può essere sola. Per questo gli imprenditori, anche in forma di associazione, dovrebbero partecipare di più ai dibattiti che non coinvolgono soltanto la vita della propria azienda, ma anche la città e la regione in cui lavoriamo.