L'ARTE DEL TAPPETO
Lei fa ricerche in tutto il mondo per trovare arazzi e tappeti antichi. Quando è incominciata la sua attività e cosa offre oggi?
Da più di venticinque anni, cerco tappeti e arazzi antichi in tutto il mondo, con una predilezione per le manifatture europee dei secoli XVII e XVIII. Come in tutte le attività di antiquariato, ciascun momento è caratterizzato da richieste particolari e, poiché attualmente la clientela è molto attratta dal Novecento, come nella pittura, sono alla ricerca nel mondo di tutto ciò che va dai primi del Novecento al 1950. Ho clienti che collezionano l’arte moderna e sono attenti ad abbinare un bel quadro futurista con un tappeto dello stesso periodo, periodo che, com’è noto, è molto breve e ciò rende la ricerca spasmodica. Quando riesco ad accontentare i clienti, seguendo i loro gusti, la soddisfazione è massima.
I tappeti sono spesso considerati opere di artigianato. Eppure, guardando alcuni suoi pezzi, forse sarebbe più giusto parlare di arte. La qualità è eccellente e la definizione che si raggiunge in alcune opere è quella dell’arte.
Sono stati scritti centinaia di libri di testo sulla pittura o sui mobili, ma non esiste ancora in Italia un libro che parli delle manifatture europee, che, quindi, sono sconosciute alla maggior parte dei collezionisti. Sto lavorando da qualche anno per pubblicare un libro che possa esaltarne l’incredibile importanza dal punto di vista artistico. Un esempio è che il valore record del settore tessile è stato raggiunto nel 2001 dalla Christie’s che ha ottenuto la modica cifra di nove milioni di dollari per un tappeto di manifattura inglese, manifattura che in Italia resta sconosciuta a molti. In Europa, invece, le manifatture, gli arazzi fiamminghi e francesi e i tappeti sono riconosciuti dal pubblico per l’altissimo valore storico e decorativo, che non ha nulla a che fare con l’artigianato.
Lei ha trattato anche tappeti che risalgono a Luigi XVI?
Se oggi i tappeti europei sono poco conosciuti, quando ho iniziato lo erano ancora meno. Nelle prime mostre alle quali partecipavo esponendo i miei pezzi, la gente mi faceva domande veramente bizzarre, una volta mi fu chiesto se fossero tappeti cinesi. In questi vent’anni, il loro successo è dovuto principalmente alla tendenza dell’arredamento che si è rivolta agli stili neoclassico e impero. Per vent’anni l’arredamento elegante, di lusso, si è concentrato su mobili del periodo tra la reggenza di Luigi XVI e quella di Napoleone III, quindi, i tappeti hanno fatto la parte dei protagonisti. Naturalmente, parliamo di una nicchia di mercato, costituita da collezionisti molto esigenti.
La scelta di prediligere i manufatti europei è voluta?
Assolutamente sì. In qualità di perito per il Tribunale e per la Camera di Commercio di Modena, conosco anche l’arte orientale, di cui non ho niente da ridire. Però, la mia scelta è dovuta al mio gusto personale ed è rivolta a quello che, visitando e studiando i musei, mi ha ispirato e colpito immediatamente. Quando acquisto un tappeto o un arazzo, acquisto qualcosa che prima di tutto piace a me e quando poi la vendo cerco di trasmettere la stessa emozione.
Così lei dà un contributo all’arte europea, facendo in modo che si diffonda e si valorizzi.
È una mia speranza quella che in Italia l’arte tessile abbia sempre più riscontro. Per quanto riguarda le manifatture europee, nel ‘500 abbiamo avuto arazzieri che hanno lavorato alla corte dei Gonzaga a Mantova e nei secoli successivi in Piemonte. Spero che anche l’Italia presto registri un interesse pari a quello degli altri paesi europei, dove i musei hanno esperti che sollecitano continuamente le soprintendenze.
Possiamo dare la notizia del suo ritrovamento particolarmente prezioso?
Qualche anno fa, ho avuto la fortuna di acquisire dagli eredi del noto critico Federico Zeri un arazzo, tessuto a Mantova tra il 1539 e il 1540, da un cartone di Giulio Romano, quindi, dal valore storico e artistico inestimabile. L’acquisizione di questa opera mi è stata consigliata da Nello Forti Grazzini, uno dei più grandi esperti internazionali in materia. Era venuto a conoscenza dell’esistenza di questo esemplare unico nel 1987, anno della mostra di Giulio Romano a Mantova. Il restauro di questa opera – che presentava molte parti coperte di pittura – è stato una scommessa che quasi nessuno credeva potesse essere vinta. Ora che siamo alla fine dei lavori, dovrò decidere come comportarmi: data la sua importanza storica, mi auguro che l’arazzo rimanga in Italia, ma, considerando la scarsità di risorse a disposizione dei beni culturali nel nostro paese, non è escluso che debba rivolgermi a musei stranieri per discutere l’eventuale acquisizione.