IL BRAINWORKING

Qualifiche dell'autore: 
art ambassador, brainworker, scienziato

Quando imperversa la tempesta? Quando l’acqua si abbatte con forza sulla nave? Oppure nell’ora della lucertola, per dirla con Mimmo Rotella? Oppure, quando tutto appare calmo e quieto? O quando sembra che il momento sia venuto per gioire e nient’altro? Nella Bibbia, noi leggiamo di Noè e dell’arca e troviamo due aspetti del diluvio: il diluvio sembra tutto ciò che è supposto fuori della parola, ma viene affrontato proprio nell’arca e con l’arca. E emerge pure l’arcobaleno!

Il diluvio che non sia affrontato dall’arca e con l’arca sorge come contrappasso, quando ci fermiamo. E noi ci fermiamo sempre rispetto all’intervallo, sospendendo ciò che è assurdo sospendere: l’occorrenza. Rispetto all’intervallo, ci localizziamo, non stiamo a considerare nessuna ipotesi, seguiamo il ricordo, senza la combinatoria: non facciamo nulla, oppure facciamo come al solito, facciamo ciò che era stabilito, previsto, contabilizzato che noi facessimo. Fare come al solito non è fare secondo l’occorrenza, è fare secondo le modalità del fare, quindi non raccontiamo, non narriamo, non ragioniamo. È la nostra chiusura. In questo modo, le circostanze incombono sul nostro avvenire e, se facciamo qualcosa, seguiamo l’abito, facciamo tanto per non dire che non stiamo facendo niente.

Forse, dobbiamo mettere in discussione il concetto di palude. Chi sta nella palude? Noi c’impaludiamo, ogni volta che stiamo a pensarci, a rifletterci, a meditarci, ogni volta che ci soffermiamo.

Quando abbiamo inaugurato il brainworking? Il 5 febbraio 1973, con il dispositivo dell’assemblea. L’assemblea è dispositivo di dibattito, di battaglia, di amministrazione, di direzione. Senza l’assemblea, ognuno può dire “la mia vita”, “la tua vita”, “la sua vita”, predisporne la prevedibilità e la contabilità e fare le valutazioni intorno al probabile facendo confronti, paragoni tra la sua vita e la vita del Tale o del Talaltro. Può, addirittura, credere che su questo bisogna fondare professioni, mestieri e predisporre burocrazie, funzionariati. In questo modo, “la mia vita” o “la tua vita” sarebbero un mondo e un confronto fra mondi, una mondatura. La nostra vita non è “la mia vita”. La nostra vita: l’infinito esclude il plurale.

La tempesta, il diluvio, il terremoto. Le onde della nostra vita sono aritmetiche. Qual è l’intellettualità della nostra vita? Qual è la direzione? Noi ci troviamo nella fase in cui incominciamo a constatare che non è facile. Ci troviamo nell’istante e anche l’istante procede dalla disperazione come ironia, come questione aperta, come questione di vita o di morte. Se noi collochiamo nella palude chi ci sta dinanzi – per esempio, lo psicotico, come fanno taluni –, noi arriviamo a porre un limite alla domanda. Noi proviamo con chi ci sta dinanzi, con chi non ci sta più dinanzi o con chi non ci sta ancora dinanzi. Ma, se noi diciamo, parodiando Dante Alighieri, che, nonostante questa prova e riprova, chi sta dinanzi, chi non sta più dinanzi o chi non sta ancora dinanzi è esente da domanda intellettuale, quali sono le implicazioni? […]

Come instaurare il brainworking, l’intellettualità della nostra vita? Come stabilire la disposizione alla novità, sia quella che risalta dalla scrittura della ricerca sia quella che risalta dalla scrittura delle cose che facciamo secondo l’occorrenza? In quanto gerundio, la vita è senza zoologia.

Come avviene che noi, con le nostre idee, con le nostre convinzioni, oscilliamo fra il comico e il tragico, fra l’euforia e la disforia? Come avviene che ammettiamo che ci sia anche un solo istante, in cui siamo esenti dalla domanda intellettuale, esenti da ciò che è assolutamente particolare e specifico dell’esperienza originaria?

Senza la domanda intellettuale, immaginiamo o crediamo che lo scopo sia di redigere un contratto, anziché d’instaurare il dispositivo. Allora, diveniamo osservatori, ci osserviamo, rappresentiamo i nostri arti, i nostri organi, i muscoli, i nervi, l’interno, l’esterno. Ci occupiamo del nostro stato psicofisico. Cerchiamo segni, scrutiamo segnali. Osservando, inseguiamo significazioni. E su questo stato soggettivo universale si stabilisce un business mondiale.

La scena non è la psiche. Il cervello non è lo psichico. Corpo e scena: non c’è più il somatico, non c’è più lo psichico. Non soltanto non c’è più la psicosomatica, ma il corpo non è somatico e la scena non è psichica. Il corpo è originario, la scena è originaria. Per ciascun atto, il cervello della nostra vita è da instaurare.

La nostra vita. Quale impronta? Quale impressione? Quale firma? Come si firma la nostra vita? Come vivere, quando non sembra proprio che ci sia da vivere, quando non c’è niente da vivere? Possiamo evitare che la terra si squarci, possiamo evitare il terremoto? Qual è la nostra vita? Qual è la vita da cui è imprescindibile la domanda intellettuale? Possono prescinderne l’imprenditore, l’avvocato, il medico, il politico, il banchiere, l’assicuratore? Quale galeotto e quale recluso psichiatrico possono prescindere dalla domanda intellettuale?

Che cos’è la domanda di qualità o di cifra? Se la domanda è intellettuale, non è questione di ristrutturare: a scriversi è una strutturazione incessante. Ciascun tratto del sentiero o del bordo, del filo o della corda si compie sull’impossibile, proprio del labirinto, e sul contingente, proprio del giardino. La vita è irrimediabilmente difficile e impassabilmente complessa. Come possiamo giungere alla semplicità?

L’arma è il mezzo e lo strumento. È la medicina. È l’industria. Qual è l’arma nuova? Se puntiamo al benessere, prepariamo la nostra rovina. Tutta la nostra attenzione sarà rivolta al malessere da evitare, dato il privilegio accordato al benessere. Qual è l’arma nuova? Qual è la novità assoluta?

Il patto segue alla battaglia. Nessun appagamento e nessuna pace senza il patto. Noi non scartiamo nessuna ipotesi pragmatica e approfittiamo dell’intervallo e dell’infinito per fare secondo l’occorrenza. Il dispositivo pragmatico. Il dispositivo di battaglia. Il dispositivo sessuale. In breve, Freud ha enunciato che il cervello è dispositivo sessuale, il dispositivo della riuscita.

Il brainworking è anche la disposizione alla novità. Come sospendere la superstizione, per esempio, quella che ci farebbe scegliere fra un male maggiore e un male minore, fra un vizio maggiore e un vizio minore, fra una pratica erotica grave e una pratica erotica veniale? Come sospendere la contabilità della nostra vita e la sua prevedibilità, la sua probabilità?

Se procediamo dal nodo della vita, dalla traccia della vita, in altri termini dalla questione di vita o di morte, dalla questione aperta, la nostra domanda è un dispositivo aritmetico.

Possono affrontarsi le onde della nostra vita con l’algebra o con la geometria? Leonardo da Vinci direbbe che non è consigliabile. Il brainworking della nostra vita è il dispositivo di allegria. Stipuliamo il patto e non tergiversiamo più. Non cincischiamo più.

La lama nuova è una lama che mai sarà brevettata. La lama della nostra nave, la lama della nostra vita.

E nulla è più quotidiano.