OCCORRE VALORIZZARE IL CAPITALE INTELLETTUALE
In qualità di direttore di Confindustria Modena, desidero ringraziare gli esimi studiosi, gli imprenditori qui presenti, nonché l’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna, l’Associazione Europea dei Brainworkers, l’Università internazionale del Secondo Rinascimento e la nostra scuola di management, Nuova Didactica, che hanno contribuito all’organizzazione di questo evento. Li ringrazio perché si è ritenuto opportuno che un forum che raccoglie tanti insigni rappresentanti della cultura e del lavoro intellettuale in uno stesso luogo e in una medesima giornata, dovesse svolgersi nella stessa sede che è la casa degli imprenditori modenesi. In effetti, Confindustria Modena si è posta e si pone quotidianamente i quesiti che credo costituiranno i leitmotiv dell’odierna riflessione.
Qual è il futuro dell’Italia, della sua economia e della sua industria? L’economia della conoscenza verso cui cammina l’Europa avrà modo di affermarsi e consolidarsi anche in Italia o corriamo il rischio di essere tagliati fuori? E, nel caso di risposta affermativa, ciò comporterà necessariamente un declino del settore manufatturiero? Intendo articolare subito le nostre risposte. Noi siamo intimamente convinti che l’Italia e l’Europa salveranno il livello di benessere raggiunto, la propria economia e quindi anche il proprio sviluppo sociale, solo se riusciranno a valorizzare, a coltivare e a incrementare il proprio capitale intellettuale, in primo luogo quello presente nelle imprese.
Il cervello, i dispositivi intellettuali – per dirla da brainworker – sono senza dubbio i fattori di competitività del presente e del futuro. Tutto ciò, soprattutto per il nostro paese, rappresenta sicuramente un obiettivo difficile, che passa attraverso un cammino irto di ostacoli e che muove da una posizione di svantaggio rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea, ma che al contempo costituisce un percorso obbligato privo di vere alternative. Tuttavia, non crediamo che tutto ciò possa condurre in Italia a puntare solo sul turismo e sulle rendite di posizione che il proprio patrimonio storico artistico, sicuramente di proporzioni immense, è forse in grado di garantire. Non possiamo permettercelo, non può permetterselo un paese di quasi sessanta milioni di abitanti. Non siamo paesi dell’Unione come l’Austria o il Belgio, il nostro destino dovrà essere simile a quello di Francia, Germania o Gran Bretagna. Per dirla con uno slogan “L’economia della conoscenza dovrà tradursi in una nuova creatività, in nuove forme di produttività”, ne siamo consapevoli e ne sono consce le imprese, che stanno reagendo con vigore e determinazione all’incessante erosione della loro competitività determinata dalla globalizzazione.
Proprio in quest’ottica, la nostra Associazione si è mossa negli ultimi anni per valorizzare il capitale intellettuale delle aziende. Con iniziative anche molto impegnative stimoliamo e incentiviamo le imprese ad aprirsi verso paesi emergenti, a vedere, per esempio, nella Cina, nell’India e nel Brasile, non solo e non tanto pericolosi, e spesso non del tutto leali, concorrenti, ma anche grandi opportunità di mercato e di arricchimento culturale. Per altri versi, promuoviamo e diffondiamo, anche attraverso la scuola Nuova Didactica, il trasferimento di cultura, non solo tecnologica e scientifica, tra università e aziende. Siamo sempre più impegnati in queste due direzioni, che sono poi due facce di quel fenomeno che passa anche sotto il nome d’innovazione. Per tutto questo, i miei auguri di buon lavoro, in una giornata che ho l’onore di aprire, non possono essere più sentiti.