LE FONDAZIONI BANCARIE E I BENI CULTURALI
Ringrazio Sergio Dalla Val per l’invito e concordo pienamente con Armando Verdiglione nel qualificare I beni culturali. Testimonianza materiale di civiltà, di Roberto Cecchi, un bel libro. L’ho apprezzato molto perché è scritto a partire da un’esperienza eccezionale e straordinaria, svolta, oltre che a Milano, a Venezia, a Firenze, a Roma e in Calabria, ma anche per il grande equilibrio con cui affronta i differenti aspetti dei beni culturali, settore in cui esistono tanta animosità e tanta tendenza a radicalizzare le questioni. Inoltre, rispetto a un’imperante e preoccupante deriva di autoflagellazione, in cui non mi riconosco, il libro ha al suo centro la necessità di cogliere le possibilità, le prospettive e le opportunità, anziché lasciarsele sfuggire. Questo aspetto positivo del rilancio è fondamentale, perché è sempre facile trovare le cose che non vanno.
A partire dalla mia esperienza di studioso di questi temi, posso confermare il valore straordinario dei beni culturali per l’Italia. Mi trovo per avventura a dirigere da quasi dieci anni “Aedon”, una rivista online di arte e diritto, edita dal Mulino, che ha moltissimi accessi da parte di chi opera in Italia su questi argomenti, ma ancora di più dall’estero, perché l’Italia sta ai beni culturali come il Kuwait sta al petrolio, attira un enorme interesse ed è un punto di riferimento imprescindibile.
Per quanto riguarda i rimedi in materia di beni culturali, concordo con la formula: “meno norme e più amministrazione” e con quella che segue: “meno unilateralità e più cooperazione, meno episodicità e più programmazione”. Questi sono i punti chiave su cui si può costruire molto e rispetto ai quali cominciano a essere forniti gli strumenti indispensabili.
Nel libro viene discusso anche il problema della selezione dei beni da tutelare in via prioritaria. A questo proposito, ritengo che ci sia una parte indisponibile di beni, che va tutelata a tutti i costi, mentre c’è una parte di beni su cui il discorso può divenire relativo. Come Fondazione, posso constatare l’effetto dei piani dei fondi strutturali per tutta l’area di restauro che dagli anni novanta in poi ha recuperato meritoriamente in Italia moltissimi beni, due terzi dei quali oggi è alla ricerca di un’utilizzazione. Se l’utilizzazione non ci sarà, com’è probabile, nel giro di qualche anno questi beni avranno bisogno di essere nuovamente restaurati. Allora, proprio per questo occorre distinguere tra una fascia su cui non si discute e un’altra per cui l’intervento deve essere subordinato all’esistenza di un progetto credibile, in modo da non creare contenitori vuoti in cerca di un’utilizzazione e da non avere una dispersione di finanziamenti che vengono sottratti alla prima fascia.
Il problema del formalismo del diritto, invece, che Cecchi nota nel suo libro, è in secondo piano rispetto a un più generale problema organizzativo di cui quello giuridico è una reazione. Pensiamo all’importanza dell’espansione della definizione del bene e del contesto, mirabile da ogni punto di vista, ma che amplia enormemente quell’area di compressione di diritti e di situazioni delle persone oltre il quale c’è il rischio di perdere la tipicità su cui queste compressioni e queste definizioni possono essere esercitate. Cioè, all’espansione dell’area della tutela corrisponde un dato delicato di rapporto fra tutela e garanzia. Ma questo è un problema difficilissimo e immanente, nel senso che sono due cose egualmente vere. E non c’è niente di più difficile da affrontare di due cose egualmente vere. C’è poi una serie di cose evitabili, che dipendono da disfunzioni dell’organizzazione e danno origine alla lamentata oscurità del diritto. Un esempio è la catalogazione, mai giunta in porto. Poiché un’azione amministrativa per l’identificazione e la classificazione dei beni non è stata fatta, il problema è ricaduto sulle norme, che tentavano di risolvere qualcosa che non era stato risolto altrimenti. Dunque, occorre che intervenga una ricomposizione delle sovrintendenze con il diritto, perché la sua carenza è uno dei problemi che maggiormente affliggono il loro operato e che poi espone ai ricorsi e a tante dolorose sconfitte.
La soluzione dei problemi esposti ha un riflesso importante anche per le fondazioni, che investono nei beni culturali oltre il trenta per cento delle loro risorse annue: nel 2004, sono stati impiegati più di quattrocento milioni di euro per il restauro e il recupero di beni culturali. Ebbene, un reticolo di dati definiti, la programmazione e la definizione di obiettivi permettono di migliorare l’azione di finanziamento. Un rapporto di cooperazione può essere una risorsa anche più importante di quella essenzialmente monetaria. Inoltre, sta maturando nel mondo delle fondazioni l’idea di confrontarsi sempre più con il Ministero e d’impostare un dialogo a livello nazionale, in modo da capire come si possa essere reciprocamente utili e sbagliare di meno. È recente inoltre l’idea di andare verso la costituzione di un protocollo.
Un’ultima indicazione: sta per partire dal primo gennaio la “Fondazione per il Sud”, che si fonda sulle risorse messe a disposizione da ottanta su ottantasei Fondazioni italiane di origine bancaria e sui fondi per il volontariato. Attualmente, le Fondazioni di origine bancaria sono distribuite in modo irregolare, quasi tutte da Roma in su. Quindi, la norma del Codice dei Beni Culturali che incentiva le convenzioni con le Fondazioni vale soltanto per il centro-nord, ed è dunque un grosso problema per il sud. Da questo nasce lo sforzo delle Fondazioni di costituire, d’accordo con le associazioni di volontariato, la “Fondazione per il Sud”, che avrà un importante fondo di partenza: più di quattrocento milioni di euro e una dotazione annuale di circa cinquanta milioni di euro. Credo che ciò che potrà fare questa Fondazione nell’area dei beni culturali sia molto importante e che vada anche questo a contribuire alla soluzione dei problemi di cui abbiamo parlato.