COME DISTRUGGERE UNA CITTÀ

Qualifiche dell'autore: 
architetto, urbanista

Come si comincia a distruggere una città? In primo luogo, occorre intervenire sulla mobilità, facendo in modo che l’accesso al centro storico venga ostacolato quanto più possibile. Gli ostacoli, infatti, tendono a distaccare anche affettivamente i cittadini dalla propria città, che non è più percepita come tale. La mancanza di amore per i luoghi della memoria divenuti irraggiungibili è tra gli strumenti più efficaci per la disgregazione socio-economica delle città storiche.

Per accelerare la distruzione del centro storico si consiglia d’inserire negli strumenti edilizi e urbanistici alcune disposizioni chiave, apparentemente poco visibili ma particolarmente efficaci:

1) Obbligare al rispetto di norme inapplicabili o incomprensibili, anche per mantenere un certo controllo sui cittadini. 2) Utilizzare sempre l’urbanistica contrattata, che, se riduce la rigidità del Piano, consente solitamente ai comuni di ottenere più del dovuto. 3) Rendere i cambi di destinazione d’uso di aree, edifici o singole unità difficili o troppo costosi (ad esempio imponendo standard di parcheggi e verde in aree – come i centri storici – dove tali spazi non sono evidentemente reperibili. 4) Creare grandi parchi urbani, concentrando la densità edificatoria in falansteri, anche se è scientificamente verificato che i grandi parchi urbani sono pericolosi per la sicurezza e non possono essere adeguatamente controllati. 5) Creare pedonalizzazioni in zone centrali, in assenza di forti attrattori diurni e notturni (negozi, bar, musei, ecc.). Laddove le vetture non possono passare o i pedoni non sono incentivati a farlo, lo spazio vuoto viene subito ripopolato da una popolazione non gradita (ubriachi, punkabbestia, writer), che riducono l’appetibilità della zona e ne ribassano il valore. 6) Incrementare quanto più possibile oneri e tasse (diritti di segreteria, oneri di urbanizzazione, multe – invece di parcheggi – e tasse varie). 7) Ridurre quanto più possibile le concessioni per l’occupazione di suolo pubblico da parte degli esercizi pubblici, che potrebbero rivitalizzare le aree che, al contrario, desideriamo degradare. 8) Non eseguire una periodica ripulitura della città dai manifesti abusivi e dalle scritte e scarabocchi eseguiti con le bombolette spray. Manifesti e scritte non rimosse costituiscono, per chi le esegue, una “marcatura” del proprio territorio e se non vengono cancellate questo si estende a danno del nostro. 9) Disincentivare il turismo, che crea confusione e arricchisce i mercanti, operando anche una contaminazione culturale poco controllabile. 10) Non consentire il riutilizzo con usi diversi (abitativo o commerciale) dei contenitori industriali dimessi, anche se in rovina.

Per ottimizzare il degrado urbano del centro storico, inoltre, occorre non concedere il cambio d’uso dei negozi, sicché l’esercente non trova chi rilevi la licenza o non può vendere l’esercizio per la normativa troppo rigida. Cessata l’attività, l’esercizio, che ovviamente si è deprezzato, resta chiuso, e diventa uno spazio non frequentato in cui tende a raccogliersi gente mai raccomandabile, non fosse altro perché non ha niente di meglio da fare. Allora, gli esercizi adiacenti perdono clientela e a loro volta chiudono. Lo spazio abbandonato si allarga e viene occupato da altri nullafacenti. L’ubriachezza e le molestie sono all’ordine del giorno e gli spazi lasciati liberi vengono occupati dagli amici dei precedenti, mettendo in pericolo la sicurezza dei cittadini comuni. A questo punto gli esercizi commerciali vengono ceduti in affitto o in proprietà a prezzi modesti e gli acquirenti sono normalmente extracomunitari (a Bologna, si vedano per esempio via Petroni e zone limitrofe). Si comincia a creare il nucleo del nuovo ghetto: gli occupanti degli alloggi soprastanti si sentono meno sicuri e si trasferiscono nei nuovi nuclei periferici. Forse, non casualmente, nei nuovi nuclei urbani, la maggior parte dei supermercati sono gestiti da cooperative più o meno schierate, che si arricchiscono mentre i piccoli negozi chiudono; il loro prezzo è intanto diminuito sensibilmente e di norma vengono ceduti o affittati a prezzi stracciati.

L’impossibilità di parcheggiare in zone limitrofe al proprio luogo di lavoro crea l’allontanamento delle funzioni rare e direzionali storiche del centro. Gli edifici abbandonati, sempre più numerosi, si deteriorano e l’assenza di residenti consente ai graffitari di deturparne le facciate con bombolette spray e manifesti abusivi, ma da quando l’assessore alla cultura del Comune di Roma ha ufficialmente dichiarato che i graffiti sui muri delle case (altrui) “costituiscono espressioni artistiche”, il degrado è stato autorevolmente legittimato. Le zone deturpate o deteriorate attirano altri nullafacenti che incrementano il numero di coloro che contribuiscono ad aggravare il degrado. Il ghetto si allarga e, come a Parigi, si salda, con esiti imprevedibili. Il centro, perdendo funzioni e residenti, diventa una quinta, cioè una pura rappresentazione di città: la città-museo.

Per compiere l’opera è necessario impedire l’accesso al centro storico con mezzi di trasporto veloce e interrati, come una metropolitana che colleghi parcheggi di interscambio, centro, via Indipendenza e Fiera. Questa opportunità, ormai perduta, avrebbe consentito ai visitatori della Fiera di trasferirsi rapidamente in centro e portare un po’ di aria nuova a una città che sta soffocando.

Attualmente, circa un terzo di Bologna, quasi interamente compresa nel centro storico, è ridotta a un ghetto, indesiderabile da residenti e turisti. Inoltre, nel centro storico esistono edifici del tutto privi d’interesse, ma che la normativa impedisce di sostituire finalmente con un’architettura attuale. Così Bologna è del tutto congelata e come rattrappita su se stessa sia nell’architettura sia nell’attività. Un consiglio: maneggia questo manuale con cautela: potrebbe esplodere.