STORIA E CURIOSITÀ DI VILLA CAVAZZA
La mitica Villa Cavazza, Corte della Quadra, oggi scenario di feste, cene di gala e convegni a livello nazionale e internazionale, ci parla di una storia che incomincia nel Medioevo, con la navigazione del fiume Panaro, e giunge fino ai giorni nostri. Come si è trasformata la Villa insieme all’area in cui risiede?
Anticamente, Modena e il suo territorio erano ricchi di acque superficiali, con molti canali navigabili che avevano un percorso in direzione sud-nord e che si riunivano nella zona del Palazzo Ducale – attuale sede dell’Accademia Militare – per formare un unico canale denominato Naviglio. Questo canale era navigabile sin dai tempi più antichi; partendo dall’attuale corso Vittorio Emanuele, s’immetteva prima nella darsena di Modena e, superate le tre conche di sollevamento che permettevano la navigazione verso la città, sfociava nel fiume Panaro in località Bomporto. Fino ad un’epoca abbastanza recente – i primi del Novecento – dal centro di Modena, navigando lungo canali e fiumi, si potevano raggiungere comodamente diverse zone dell’Italia settentrionale, il mare Adriatico e Venezia. In questo contesto, la navigazione risultava utile sia per il trasferimento di persone sia per il trasporto di derrate alimentari mantenendole in buone condizioni; i percorsi stradali infatti, soprattutto durante l’inverno, non erano né sicuri né agevoli. A questo proposito, Villa Cavazza era situata in un punto strategico, dove la presenza del fiume Panaro e di canali navigabili rendeva il commercio molto più facile. Fu in occasione della venuta di Napoleone in Italia che la famiglia Cavazza decise d’intraprendere l’attività del commercio del grano: tale attività ebbe notevole fortuna e permise d’incrementare con nuovi acquisti di terreno nelle zone di Bomporto, Solara e Castelfranco Emilia le proprietà immobiliari della famiglia, che furono quindi adibite alla coltivazione del grano e attrezzate con una serie di magazzini per la sua lavorazione. A quel tempo l’entrata principale della Villa era rivolta a Est verso il fiume; solo dopo il 1860, con la costruzione della via Panaria, l’ingresso principale divenne quello attuale. All’epoca il panorama agricolo era completamente diverso rispetto a oggi: le terre erano completamente ricoperte da alberi, frutteti e vigneti, e si sono mantenute identiche fino alla fine della mezzadria, scomparsa negli anni sessanta del 1900. In questi ultimi anni, dopo aver iniziato il restauro della Villa, stiamo ripiantando su due viali parecchie varietà di viti tutte diverse fra loro, attualmente già una sessantina, utilizzando l’impianto tradizionale che vede la vite maritata all’olmo e alle piante di rosa. Lo scopo di questa iniziativa è quello di mantenere viva e visibile una coltivazione tradizionale del nostro territorio oltre all’interesse di collezionare e vedere esposte tante varietà di uva. Una curiosità: è stata inserita anche una vecchia varietà di uva “Cavazza” trovata presso l’Istituto Agronomico A. Zanelli di Reggio Emilia.
A proposito di viti e tradizioni, sappiamo che Villa Cavazza custodisce l’acetaia dell’avvocato Francesco Aggazzotti, una delle più antiche e rinomate della provincia di Modena…
La storia è molto interessante. Inizia il 22 dicembre 1796. A seguito dell’invasione dell’armata francese nel Ducato di Modena iniziava la vendita all’asta dei beni ducali, fra i quali l’aceto balsamico di Casa d’Este. Tra gli acquirenti della ricca borghesia locale, che non si lasciarono sfuggire questa opportunità, ci furono gli Aggazzotti, che si affermarono nella produzione di aceto balsamico, conquistando una fama che travalicava i confini municipali. La grande occasione venne offerta dalla prima Esposizione dell’Unità d’Italia, organizzata a Firenze nel 1861, alla quale partecipò, insieme ad altri modenesi, proprio l’avvocato Francesco Aggazzotti. L’esposizione fiorentina lo gratificò di tre medaglie, una delle quali “per l’aceto balsamico di 150 anni proveniente dall’acetaia della Casa d’Este”: proprio questa “denominazione di origine” gli conferì un maggiore prestigio rispetto agli altri campioni di aceto modenese presentati alla mostra. Tutto ciò viene riportato puntualmente nel giornale dell’epoca “Gazzetta di Modena” del 25 giugno 1862. Inoltre, l’avvocato Aggazzotti acquisì un’accreditata esperienza in uve e vinificazione, al punto da essere consultato sulle modalità con cui ottenere i prodotti secondo la consuetudine modenese, anche come autore di numerosi scritti, pubblicati negli anni sessanta del XIX secolo, che assunsero la valenza di manuali-modello atti a codificare e tramandare la tradizione. Ancora oggi l’acetaia di Francesco Aggazzotti, trasmessa ai suoi discendenti, evidenzia vitalità e qualità di altissimo livello grazie anche alle attente cure che la famiglia le ha dedicato e continua a dedicarle, conservandola tra le storiche mura di Villa Cavazza.
Villa Cavazza è conosciuta per la sua atmosfera di quiete e di silenzio, ma anche per l’arte dell’ospitalità di chi la gestisce. Allora ci si chiede se anche i suoi antichi abitanti abbiano pensato agli ospiti quando hanno affrescato pareti e soffitti o quando hanno costruito una scala, un salone, un arco, un portico…
Sicuramente l’ospitalità è aiutata dal clima che si respira in questo luogo, ma anche noi, a nostra volta, cerchiamo di essere particolarmente disponibili per creare condizioni che mettano gli ospiti a proprio agio. In questo abbiamo avuto la fortuna che nostra figlia Ludovica sta dedicandosi a questa attività e che persegue e condivide questi obiettivi. Adattare un monumento alle moderne esigenze di ospitalità, farlo rivivere, non vuol dire stravolgerlo; ritengo che gli interventi di restauro che abbiamo realizzato siano stati molto rispettosi e coerenti con il complesso immobiliare; senza l’inserimento visibile, ma pur presente, di tutti quegli elementi della tecnologia più avanzata. Non sono stati finalizzati a lasciare tracce personali, come a volte accade, ma piuttosto a rispettare e a valorizzare ciò che ci è pervenuto con l’intento di rappresentare la Villa nei suoi antichi splendori. Gli eccessivi inserimenti, soprattutto di tipo tecnologico, possono togliere fascino e atmosfera all’opera che si sta restaurando, facendo perdere parte di ciò che era sopravvissuto all’azione del tempo e agli interventi dell’uomo. Talvolta è difficile fare le scelte giuste, perché uno stesso ambiente può portare tracce di varie epoche: in tali casi bisogna valutare bene a quale periodo fare riferimento nel lavoro di restauro. Per esempio, lo scalone principale della Villa ha posto un problema di questo tipo quando abbiamo scoperto che in origine era tutto dipinto sui vari toni del bianco mentre in seguito, a partire dal 1850 fino al 1910, aveva subito una serie di trasformazioni pittoriche e decorative che lo avevano portato a essere dipinto come lo vediamo oggi, con colori molto caldi e intensi. Era, quindi, necessario fare una scelta: ripristinare la situazione originaria oppure rispettare la stratificazione decorativa che si era formata da metà ottocento ai primi del Novecento? Dopo un periodo di riflessione, abbiamo deciso di lasciare lo scalone dipinto con i colori e le decorazioni così come ci sono pervenute, considerando che esse rappresentassero una significativa espressione del gusto di più epoche, oltre che una testimonianza della storia della famiglia Cavazza e della casa stessa. Questo tipo di pittura, così calda e vivace, è coerente con le decorazioni di altre stanze che a loro volta hanno avuto un restauro ispirato agli stessi principi di rispetto dell’esistente. Se il risultato di questo nostro lavoro contribuisce a creare per gli ospiti un’atmosfera di accoglienza che dà loro l’impressione di entrare in una casa ricca di memorie familiari, amata, curata e festosa, abbiamo raggiunto, con soddisfazione loro e nostra, l’obiettivo. E questo è anche un invito a farci visita…