L'ACQUA, IL FUOCO, LA CIVILTÀ

Qualifiche dell'autore: 
architetto, sovrintendente delle sedi dei Vigili del Fuoco della Regione Lombardia

Il mio L’acqua, il fuoco, la civiltà (Spirali) è un libro di memorie, nato quasi per caso. L’editore Armando Verdiglione, durante la mia visita istituzionale di prevenzione incendi nella bellissima Villa San Carlo Borromeo, a Senago, fu incuriosito dalle mie testimonianze di vita professionale e m’invitò a raccontarle al pubblico delle edizioni Spirali. Dal racconto intervista è scaturito il libro.

Vengo da un’esperienza professionale di lunga durata. A diciannove anni, ho prestato servizio militare nei Vigili del Fuoco e poi sono rimasto al servizio dello Stato, nel corpo V.V.F., occupandomi di sicurezza a vari livelli. Ho iniziato spegnendo gli incendi, mi sono laureato, ho continuato fino a quando ho superato il concorso come funzionario, e questo ha previsto che mi occupassi anche delle competenze professionali del funzionario V.V.F. Inoltre, ho avuto modo di sviluppare, lungo la mia carriera, anche la professione di architetto, sempre al servizio dello Stato, progettando e ristrutturando molti distaccamenti operativi.

Occupandomi della logistica del servizio dei Vigili del Fuoco, condivido con i colleghi professionisti i problemi che intervengono nella progettazione, nella costruzione e nella manutenzione degli edifici. Attraverso il racconto della mia esperienza professionale, il libro lancia messaggi che sono stati ripresi dai relatori di questo dibattito (Vivere il monumento. Conservazione e novità, Bologna, 28 giugno 2007), dove si dice per esempio che, per quanto ingegneri e architetti si sforzino di fare buoni fabbricati e di progettare ottimi edifici, dal punto di vista sia edilizio sia impiantistico, la storia insegna che l’edificio diventa pericoloso nel momento in cui è vissuto in maniera impropria, senza sensibilità rispetto agli accadimenti che possono venire provocati. La stragrande maggioranza di sinistri o incendi accidentali deriva proprio da un cattivo comportamento o da un errato utilizzo degli stabili e si traduce inevitabilmente in guai più o meno gravi.

In qualche passaggio parlo della progettazione della sicurezza sia del singolo edificio sia di interi quartieri. Ho letto nei libri dei nostri predecessori gli insegnamenti delle esperienze vissute negli anni peggiori dell’epoca bellica, anni in cui bisognava correre a spegnere incendi estremamente vasti con attrezzature sottodimensionate. Quello che si capisce da queste testimonianze è che molto è legato alla cultura. È necessario che le popolazioni che vivono nel nostro territorio abbiano quella cultura della sicurezza oggi tanto decantata dalle istituzioni. Da questo punto di vista, la vostra regione, l’Emilia Romagna, è estremamente attiva, con leggi trasversali a quelle emanate dallo Stato, e ha anche una storia importante nella progettazione della sicurezza del territorio.

Purtroppo oggi, però, i problemi sono estremamente complessi, ci sono aziende ad alto rischio, o situazioni di rischi naturali o indotti in cui continuano a aumentare le problematiche per la protezione del territorio e quindi occorre un’operazione sinergica. Spesso, tanto più il professionista è progettista noto e di fama e tanto meno s’interessa alle questioni (ritenute spicciole) della sicurezza. Si rivolgono a noi più facilmente collaboratori di studio, più che grandi architetti, e questo la dice lunga sulla sensibilità. Invece, la progettazione della sicurezza dovrebbe nascere con il progetto stesso, dovrebbe essere insito nella sensibilità e nella capacità professionale del progettista cogliere quei particolari che garantiscono la sicurezza di uno stabile. Nella stragrande maggioranza dei casi noi operiamo invece come “restauratori”, nel senso che quando i progetti vengono verificati dai nostri Comandi sono già quasi completamente elaborati e a noi rimane un accomodamento e non un intervento risolutivo studiato a priori, tanto che spesso si ricorre all’istituto della deroga per far quadrare le norme. In questo senso occorrerebbe un cambiamento di mentalità.

È noto che il decreto legislativo 626 ha introdotto il piano della sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro e il decreto 494 quella per la sicurezza nei cantieri. Questi decreti, che l’Europa c’invita ad applicare per organizzare la sicurezza di tutti i lavoratori, sono però interpretati ancora troppo burocraticamente. Noi organizziamo corsi, cercando di qualificare le persone che devono occuparsi della sicurezza degli edifici, ma vediamo ancora troppa superficialità nel metterli in pratica. I professionisti che seguono i corsi ancora troppo spesso danno l’esame finale per semplice prassi e poco coinvolgimento. Non dobbiamo dimenticare che, se i piani di emergenza non vengono applicati e provati, e non viene provata a noi stessi per primi la bontà delle scelte operative di un piano di emergenza o dell’organizzazione interna di uno stabile condominiale, come di un grande impianto ad alto rischio sul territorio, la sicurezza avrà sempre delle carenze e non sarà mai completa.

Tra i diversi aneddoti del libro, i più interessanti sono quelli a carattere storico, che raccontano le vicissitudini in cui abbiamo dovuto affrontare eventi molto pericolosi con strumentazioni ridotte. Chi crede in questo tipo di professione non lo fa certo per un vantaggio economico, ma perché è un lavoro che piace ed appassiona, anche se a volte può essere carico di tensione, basti pensare ai colleghi che sono intervenuti a Chernobyl oppure nelle Torri di New York e all’esito del loro intervento, a cui non si sono potuti sottrarre, pur sapendo esattamente ciò a cui andavano incontro.

Spero che questa pubblicazione di riflessioni e di memorie sia uno stimolo affinché i progettisti, con maggiore senso critico e capacità professionale, trovino le soluzioni occorrenti per ciascun caso.