IL RISCHIO DI VITA

Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrante, presidente dell’Associazione Il secondo rinascimento di Ferrara

La lettura del libro di Fontela Come divenire imprenditore nel ventesimo secolo, edito da Spirali, è un’occasione per indagare lo statuto dell’imprenditore e le prospettive delle imprese nel terzo millennio. Fontela nel suo libro ne dà una traccia e evidenzia le trasformazioni del sistema economico lungo il passaggio che sta avvenendo dalla società industriale a una società dell’informazione e del tempo libero.La società dell’informazione, con l’avvento delle nuove tecnologie, esige radicali trasformazioni, ha nuove esigenze, chiede nuovi servizi, tempo libero, qualità della vita. Una volta risolto il problema delle necessità produttive e industriali di base, l’economia e la società, avvalendosi di computer e nuovi sistemi di informazione, avanzano verso il mondo complesso dei servizi per conseguire prodotti di qualità, ovvero servizi che migliorino la qualità della vita, servizi quali strumenti per conseguire soddisfazione. Nella precedente economia essi non entravano nel sistema produttivo, ora invece, nella società della comunicazione, sottolineano anche l’esigenza dell’organizzazione del tempo libero.

“Dallo sforzo-produzione – scrive Fontela – si passa alla nozione di sforzo-soddisfazione”. L’impresa dei servizi è un’impresa che si riveste di nuove responsabilità: sociali, intellettuali e culturali. Necessariamente ha bisogno di modifiche delle fonti di produzione, tanto che oggi assistiamo al recupero dell’uomo sulla macchina.

“Lavoratori della conoscenza – li chiama Fontela – lavoratori-imprenditori, capaci di sviluppare funzioni finanziarie, funzioni gestionali, funzioni di stimolo. Si tratta di un lavoro intellettuale, della mente, preposto alla soluzione dei problemi complessi posti dalla società dell’informazione e che esigono creatività e innovazione”. Questo lavoro è svolto dal lavoratore della conoscenza, ovvero il brainworker, la pietra angolare su cui poggia lo sviluppo della società dell’informazione. In lui si concentrano – scrive Fontela – le necessarie risorse della ricerca scientifica e tecnica, dello sviluppo tecnologico e della sua applicazione, tanto in ambito imprenditoriale, quanto in ambito sociale.
“Nel ventunesimo secolo tutto sembra indicare che l’imprenditore debba acquisire una nuova dimensione culturale e spirituale. Può e dev’essere il prototipo della nuova società, il nuovo homo oeconomicus. Ci si aspetta da lui la capacità creativa, l’innovazione; ci si aspetta che sappia integrare nell’impresa i più forti imprenditori di se stessi e, allo stesso tempo, i lavoratori tradizionali”.I lavoratori della conoscenza, i brainworkers, svolgono lavori che richiedono intelligenza e facoltà di intendere: sono intellettuali. In buona misura insofferenti verso l’autorità, dice Fontela, immaginativi e curiosi, recuperano la tradizione intellettuale di Leonardo da Vinci, abbattendo le barriere fra l’arte e la tecnologia. Essi preparano in tal modo un secondo rinascimento e costituiscono la grande speranza di rinnovamento del ventunesimo secolo.Alla psicanalisi, e in particolare alla cifrematica, la scienza della parola, non è sfuggita questa elaborazione di Emilio Fontela sull’imprenditore, su questo capitano di impresa che come direttore d’orchestra dirige musicisti assolutamente in grado di eseguire il proprio brano musicale perché professionalmente ben preparati e ben formati. È la figura di questo lavoratore di cervello che la psicanalisi evidenzia e trova che queste virtù, questo spirito di impresa, non sono necessariamente virtù personali, legate alla persona, non sono attitudini personali dovute ad eredità genetiche, eredità familiare, patrimoniale, come spesso il luogo comune crede.

Le virtù del brainworker non sono virtù personali perché nulla di naturalistico è in questo imprenditore. L’imprenditore, il brainworker, è uno statuto della parola, statuto linguistico del tutto intellettuale e artificiale, per nulla naturale. È il cervello in quanto dispositivo intellettuale, le sue doti sono virtù temporali: tempo del fare, tempo del produrre, tempo dell’organizzazione e dell’invenzione, tempo della finanza quale istanza di conclusione delle cose.
Il brainworker, il cervello, il capitano, l’imprenditore è chi corre il rischio assoluto, nel senso di rischio di vivere, non del pericolo. Rischio che procede dall’azzardo. Ciò che importa come esito dell’azzardo è la qualità, ovvero giungere al capitale, alla qualità della parola. L’imprenditore della società dell’informazione non può essere un cervello conformista, forgiato sul presupposto del cervello naturale, con la sua genealogia, le sue superstizioni, i suoi ricordi e il peso dei suoi ricordi sull’azienda, bensì dispositivo intellettuale in cui l’Altro non è chi minaccia l’azienda, chi manda in crisi la produzione, ma è l’altro tempo del fare, è il tempo che decide dell’occorrenza, dell’organizzazione, di ciò che occorre fare per l’avvenire. L’Altro non limita perché non c’è concorrenza, ma ciascuno compie il proprio itinerario lungo la logica che gli è particolare, fino alla qualità delle cose. Qui la soddisfazione, qui il profitto di ciascuno: profitto finanziario, profitto intellettuale. Dalla lettura di questo libro possiamo cogliere, dunque, che si tratta di una bella sfida per gli imprenditori, ma anche per ciascuno di noi. È una grande provocazione dare vita a una impresa i cui lavoratori siano imprenditori di se stessi, ma è anche una grande opportunità per ciascuno, perché il profitto, oltre che finanziario, è intellettuale, concerne la qualità della nostra vita, a cui apporta necessariamente soddisfazione.