QUANDO IL MENO È PIÙ

Qualifiche dell'autore: 
presidente dell'Ordine degli Architetti della provincia di Bologna

La mia attività di progettista è rivolta anche al campo del restauro e della sostenibilità ambientale dell’energia, per cui il libro di Lorenzo Jurina Vivere il monumento. Conservazione e novità (Spirali) ha suscitato in me particolare interesse. Per quanto riguarda l’opera professionale dell’Autore, penso che il concetto ormai classico “Less is more” sia, in termini assolutamente positivi, perfettamente applicabile al suo approccio progettuale.

Considerando che siamo riuniti, ingegneri e architetti, e la diatriba tra le professioni, in termini di competenze, è sempre aperta, tengo a sottolineare che Jurina è prima di tutto un progettista, per cui la dicotomia tra ingegnere e architetto è da ritenersi, nella società attuale, ovviamente superata. Jurina non è solo un eccellente calcolatore, ma è un inventore di architetture. “Less is more”: “il meno è più”. Le sue opere sono, infatti, essenziali e semplici, oltre che belle, e quindi molto sostenibili, attribuendo al concetto di sostenibilità la valenza più alta possibile, quella secondo cui non deve essere mai usato nulla di più, in termini di materiali e risorse, di quanto serve. Si dice che, quando questo concetto viene correttamente applicato, la bellezza è la naturale conseguenza, mentre la bruttezza spesso deriva da scelte rivolte all’incoerenza e all’inutilità.

Le strutture di Lorenzo Jurina sono sostenibili innanzitutto perché risparmiano risorse. Nelle sue opere il materiale è usato con parsimonia, oculatezza, essenzialità; prevale l’uso dell’acciaio, un materiale con un alto grado di efficienza prestazionale, che permette di ottenere risultati straordinari con poca materia. Risparmiare risorse vuol dire risparmiare materiale, tempo e manodopera. E tutto questo vuol dire anche ridurre l’inquinamento. Il contenimento dei consumi energetici, infatti, non significa principalmente risparmio economico, che pure è un effetto non indifferente, ma, cosa ben più importante, inquinare meno il pianeta.

Le sue opere sono sostenibili, inoltre, perché completamente reversibili, sia per la tipologia dell’intervento progettuale, sia per le caratteristiche intrinseche del materiale. Sono completamente riciclabili i profilati e le funi di acciaio che egli utilizza come tutori dei monumenti: sono temporaneamente prestati alla funzionalità di quell’opera, ma, in qualsiasi momento, potranno essere recuperati e utilizzati in modo completamente differente. Il concetto di sostenibilità mi sembra perfettamente rispettato e a questo è legato il concetto di etica. Sono progetti eticamente giusti, anche perché sono trasparenti. Le strutture di cui si avvale Jurina denunciano esattamente quello che sono, sono verificabili anche da altri. Strutture a vista, che non nascondono nulla e inoltre sono monitorabili nel futuro senza alcuna fatica.

Sergio Dalla Val faceva un’analogia con la medicina. Anche secondo me, questo tipo d’intervento non è in contrapposizione, ma è complementare ad altri interventi di restauro. L’analogia fra la persona e l’edificio è antica. Paul Valery diceva che ci sono edifici che cantano e parlano ed edifici muti. Jurina ascolta l’edificio fino a quando non gli trasmette qualcosa, diceva Dalla Val. Allora, come nella medicina esistono vari tipi d’intervento, così alcuni interventi di restauro utilizzano cerotti, ingessature e bende, altri utilizzano tutori. Sono modalità d’intervento differenti, bisogna saper distinguere quando usare l’una o l’altra. Penso che gli interventi strutturali di Jurina siano molto belli anche perché non si mimetizzano, vivono di vita propria, ma in totale simbiosi con il monumento. Quando le cose sono fatte bene, essenziali e semplici, accade spesso che siano anche molto belle.

Il libro di Massimo Stucchi L’acqua, il fuoco, la civiltà (Spirali) parla di un settore a me meno vicino, ma c’è da dire che le aree impiantistiche, che hanno a che fare con l’acqua, il fuoco e la sicurezza, sono ormai parte integranti della progettazione architettonica, non sono più attività collaterali e parallele come un tempo. Per questo motivo oggi occorre sempre più lavorare in team. Come architetto, forse un po’ presuntuosamente, e come presidente dell’Ordine professionale di Bologna, ritengo che il progettista, come avviene negli altri paesi, dovrebbe essere il capofila e responsabile del gruppo di progettazione che si avvale ed è composto di tutte le competenze tecniche necessarie. Capofila non perché più importante a priori, ma perché la formazione dell’architetto, tecnica e umanistica allo stesso tempo, consente di coordinare le competenze migliori fornite dagli altri professionisti.

Concludo dicendo che del libro di Lorenzo Jurina ho apprezzato, oltre ai contenuti, anche la modalità di trasmissione del pensiero e del sapere in forma di intervista e la scelta di allegare in un cd-rom documenti digitali, che per il progettista rappresentano, nella cultura attuale, uno strumento essenziale di comunicazione.