VERSO LA PITTURA COME ESPERIENZA

Qualifiche dell'autore: 
direttore della Galleria d'Arte Moderna di Bologna

Sono molto contento che in questo dibattito (Sandro Trotti e Raffaello Sanzio. La celebrazione della vita, Bologna, 16 novembre 2006) sia emersa, a più riprese, la parola “incontro”. L’incontro è innanzi tutto tra la pittura di Sandro Trotti e l’opera di Bachisio Bandinu, Raffaello Sanzio e Sandro Trotti (Spirali), un’opera di scrittura che non solo commenta ma incontra un percorso artistico e costruisce un’interessante cornice di cui dirò più avanti.

Inoltre, l’invito a questo evento è per me una sorpresa, perché normalmente, nel cosiddetto mondo degli addetti ai lavori dell’arte contemporanea, c’è una sorta di complicità: ci si fa accompagnare da un critico amico o si accompagnano gli artisti amici, c’è una condivisione di esperienza e di professionalità che non necessariamente significa una cosa seria. L’arte è sempre più una professione. Le cose serie a volte sono dettate da occasioni o da eventi contingenti. Ed effettivamente, nonostante le nostre frequentazioni, con il professor Carlo Sini c’incontriamo qui per la prima volta, ma con la sorpresa dell’accadimento di questo evento.

Normalmente, poi, si fa una visita preliminare allo studio dell’artista. In questo caso, non è avvenuto e ora incomincio a capire che forse non è casuale. Il modo amicale di questo nostro primo incontro è anche il modo in cui le opere di Trotti si sono lasciate incontrare attraverso la mediazione linguistica e quella della riproduzione (perché un conto sono i quadri e un altro ovviamente sono le riproduzioni, questa è una regola generale, che, a maggior ragione, vale per un artista come Trotti). È il modo, cioè, di non avere mediazioni di tipo professionale o critico o storiografico. È certamente un incontro che non vuole mediazione. Questo ho notato nel lavoro di Trotti, anche condizionato dal mio pregiudiziale modo di affrontare l’arte, un’arte che appartiene alla categoria del moderno e risente della necessità, che il moderno ha in sé, di una continua ridefinizione dei propri compiti, di un continuo aggiornamento, modalità discutibile di affrontare il lavoro. Invece, guardando le opere di Trotti, mi sono reso conto che questo, per lui, deve essere un falso problema o comunque un problema superato. Tant’è che nelle sue opere di qualche anno fa c’è una pittura degli esordi molto vicina al dibattito più aggiornato sui temi dell’astrazione. Trotti rivela che è stato un incontro a portarlo su altri lidi, su un’altra passione, quella del figurativo, attraverso le modalità specifiche del suo lavoro. Si è trattato comunque di superare l’idea che l’arte viva una stagione continua di progresso.

I conti tornano, a questo punto: capisco il perché di una scrittura che accompagna come un incontro l’opera di Trotti, capisco il perché di questa familiarità di luoghi, di questo regionalismo che dovrebbe avvicinare Trotti a Raffaello. Non è un approccio storiografico o critico, tanto meno una ricerca di antecedenti, ma c’è proprio una familiarità, quindi un incontro diacronico attraverso l’opera di Trotti e Raffaello.

Le Marche, Leopardi. Perché questi temi locali? L’idea di familiarità non porta soltanto a un incontro amicale, ma è proprio un tentativo, e forse qui la cifrematica ci sostiene, di abbattere il filtro della storiografia e della mediazione critica. Bandinu lo dichiara e lo dichiara il suo modo di scrivere. Inizia un racconto intorno a Raffaello, incontrandone le opere come se attraversasse velocemente tutti i musei e tutti i luoghi dove è possibile incontrare Raffaello. Poi, trae quasi le conseguenze di questa esperienza e arriva a temi più generali. Rispetto alle opere di Trotti, ci sono invece commenti fugaci, apparizioni, idee, come se Bandinu fosse stimolato immediatamente dall’immagine. Anche il suo stile di scrittura, qui, è più evocativo, proprio come evocative sono le opere di Trotti. Trovano una tonalità comune.

E allora questo libro diviene strumento di un incontro capace di mettere in questione il clichè, il normale modus operandi della professionalità. Lo dico da professionista. Essere direttore di un museo significa purtroppo limitare parecchio il proprio incontro con l’arte, quindi con le ragioni che hanno portato a intraprendere una professione di questo tipo. Io posso solo ringraziare per aver avuto l’opportunità di leggere questo libro, per aver avuto la possibilità d’incontrare l’arte, d’incontrare uno sguardo, l’occasione di non aggiornarsi su quello che si fa, di non collocarsi in un posizionamento continuo che è la lotta di quartiere dei movimenti, delle tendenze, dell’interpretazione, della programmazione e della rivendicazione storiografica, ma di intrattenersi sui temi universali dell’arte, che sono ciò che tiene insieme Raffaello e Trotti.

L’insistenza sui temi universali fa sì che anche un approccio pregiudiziale e storiografico, come quello che ho tentato io attraverso una ricostruzione dell’opera di Trotti, porti a chiedersi come mai un artista che si colloca nel settore più aggiornato dell’arte, a un certo punto, lasci perdere il resto e si concentri sul fare pittura.

C’è una risposta che trova, tra l’altro, precedenti anche nelle ricerche più interessanti della storia dell’arte. Malevich, per esempio, è un artista che partecipa al dibattito più cruento: con i suoi compagni di strada c’era come una sfida a chi arrivava prima a qualcosa. Malevich partecipa a questo dibattito, arrivando al massimo dell’astrazione, al Quadrato nero su fondo bianco o al Quadrato bianco su fondo bianco, poi, però, raggiunge una sorta di silenzio nella sua ricerca e torna a dipingere figure, torna a dipingere il paesaggio contadino e i ritratti. Nel momento in cui tenta il massimo dell’aggiornamento produce il massimo dell’astrazione per tornare poi alla celebrazione della vita, come recita il titolo di questa serata.

Questo percorso appartiene anche alla figura del saggio, a colui che ricerca e a un certo punto però torna all’esperienza. È il percorso di Hegel, la cui Fenomenologia dello spirito porta all’Enciclopedia, anzi porta alla Scienza della logica, che è il massimo dell’astrazione, e poi c’è il ritorno necessario alla Filosofia della storia, alla filosofia della politica e alla filosofia dell’arte, un ritorno continuo all’esperienza. Io credo che il percorso di Trotti proceda dall’astrazione, guadagnando per fortuna in consapevolezza fin dagli esordi. Trotti risolve subito il problema dell’avanguardia per volgersi a una felice passione verso la pittura come esperienza.