ITINERARI RAVARINESI
Oltre che come maestro nelle scuole elementari di Ravarino, lei ha svolto la sua attività nella ricerca e nella valorizzazione di tutto ciò che è traccia di civiltà nell’Emilia centrale. Una ricerca ponderosa da cui è nata un’altrettanto ponderosa opera, pubblicata in due volumi Itinerari ravarinesi. Etnografia e Itinerari storici nell’Emilia Centrale. Il territorio, che danno a un piccolo paese come Ravarino la dignità che merita per essere stato testimone e, a volte, protagonista della storia e, addirittura, della preistoria. Ma com’è iniziata la sua ricerca?
La mia ricerca nasce dalla curiosità che ho sempre avuto fin da bambino e che ho voluto mantenere anche nella mia attività d’insegnante, perché la forza del sapere rende i bambini uomini civili. Le cose che affinano l’animo e lo spirito umano e che, quindi, formano l’uomo, non hanno barriere ideologiche, né confini di nessun genere. Man mano che portavo avanti il mio lavoro nella scuola, avvertivo l’esigenza di esaminare il mio paese e il contesto storico in cui è inserito e così è nata la mia passione di vedere anche al di sotto del visibile, sotto il suolo, cosa ci hanno lasciato i nostri antenati.
Per questo motivo, quando il Comune incominciò a scavare le fondamenta per la costruzione di un nuovo quartiere nella sede di Palazzo Vecchio Rangoni, verso la fine degli anni settanta, chiesi ai muratori di avvertirmi nel caso avessero trovato qualcosa. E così fecero. Ho i disegni e le topografie di quegli scavi, dove era necessario dotarsi di mezzi di orientamento: con il goniometro, la bussola e la squadra, costruivo un sestante che mi forniva l’orientamento dei manufatti da cui partire per l’espansione della ricerca.
In seguito, con la collaborazione della scuola e dell’amministrazione comunale, riuscimmo a organizzare un programma che consentiva di rendere pubblica la conoscenza del territorio attraverso i reperti antichi.
Quindi la sua ricerca l’ha portata a scoprire testimonianze di civiltà?
Tra l’altro, abbiamo scoperto che il banco di San Rocco era un banco lagunare e, grazie ai lavori per il passaggio di una tubazione, abbiamo ritrovato un tegolone romano a circa due metri e settanta di profondità. I primi reperti risalgono all’epoca preistorica: selci scheggiate e selci levigate, ritrovate nell’area di Palazzo Vecchio Rangoni, sulla sommità del banco di San Rocco, che ci dicono che gli uomini vivono qui da tremilacinquecento anni. Abbiamo trovato qualcosa di tutte le epoche, ma in particolare abbiamo potuto riscontrare la lingua dei Galli nel nostro dialetto, un gallo-romano quasi francese. A questo proposito, è stato molto interessante il ritrovamento di un triangolino, che faceva parte della cimasa di una pentola, su cui erano incise tre lettere greche. All’inizio avevo pensato che nella zona avessero commerciato anche i greci, ma poi scoprii che si trattava di una pentola costruita da un vasaio gallo: i Galli, com’è noto, avevano adottato la lingua dei greci di Marsiglia.
Fino all’Alto Medioevo, finché il fiume Panaro non ha cambiato il suo corso, il terreno è sempre stato ondulato. L’area di Sant’Agata e, in parte, quelle del mantovano e del persicetano, sono rimaste uguali, tanto che lì sono facilmente ritrovabili cocci romani, testimonianza, insieme alle centuriazioni, dell’antica presenza di popolazioni romane.
I romani avevano riorganizzato il territorio con le centuriazioni, una trasformazione durata mille anni. Avevano diviso le proprietà fondiarie separando la strada e lo scolo per il drenaggio delle acque e creando aree coltivabili distinte dai boschi naturali lungo i fiumi.
Oltre che nelle sue pubblicazioni, questo lavoro di ricerca è documentato con una mostra che lei ha curato…
Nel 1982, formammo il Gruppo per la ricerca antropostorica che divenne una branca delle attività culturali del Comune di Ravarino. Questo Gruppo organizzò una mostra storico-didattica permanente, gestita dal Comune. Purtroppo, inaugurata e aperta nel 1993, dopo alcuni anni, è stata sospesa per problemi di gestione. Il Comune mancava dei fondi per il finanziamento e oggi occorre presentare un nuovo progetto economico e di gestione, su cui stiamo lavorando. In questo lavoro di diffusione della ricerca compiuta finora, è molto preziosa la collaborazione del neonato Comitato Magister, che, oltre a organizzare presentazioni dei miei due volumi, si è proposto di riattivare l’attività della mostra.
Le sue opere contribuiscono a valorizzare la nostra civiltà perché sono un viaggio nella lingua, negli usi e costumi, nell’economia, nel diritto, nella geografia e nella storia di cui troviamo traccia nella vita degli attuali abitanti dell’Emilia centrale e non solo. Tra l’altro, lei è autore di una preziosa Mappa dei Territori del Balsamico, donata al Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e riprodotta a tiratura limitata, che ripercorre tutti i comuni della provincia di Modena coinvolti nella produzione di quell’oro nero simbolo di storia e di cultura. Ha altre opere in cantiere?
Sto scrivendo un libro di racconti, Sotto i camini dell’Emilia, una sorta di Decameron emiliano, che consente di fare un tuffo nelle antiche leggende – ancora vive quando ero bambino –, in modo un po’ scanzonato e leggero, anche se a volte provocatorio. Sono racconti brevi, di due, tre o quattro pagine al massimo, che si possono leggere volentieri prima di andare a dormire.