OCCORRE ANDARE OLTRE LE LINEE GUIDA
Ringrazio gli organizzatori di questo convegno Il cuore (25 maggio 2005, Bologna) per avermi invitato per la seconda volta ai loro incontri. Sono cardiologo del territorio: la mia funzione è quella di “cardiologo di primo livello” nei poliambulatori periferici delle città.
Il tema scelto per questo convegno concerne la portata del tempo nella pratica medica, in particolare, l’attesa, che ciascun paziente deve affrontare per essere visitato in ambito cardiologico. Prendiamo dunque in considerazione il tempo intercorrente dal momento in cui viene richiesta una consulenza o una prestazione cardiologica a quello in cui esse vengono effettuate. Il tempo è spesso lungo e crea ansia.
Recentemente, dal Tribunale per i Diritti del Malato è stata pubblicata una ricerca conclusa con una relazione che rileva come il tempo di attesa per effettuare, per esempio, una protesi d’anca in ortopedia nel settore pubblico è di 180-540 giorni. Il 34% dei pazienti, rivoltosi al Tribunale per i Diritti del Malato, ha esposto denuncia per la lunghezza di quest’attesa. Per gl’interventi in oncologia di solito vengono superati i 90 giorni. A Bari, per fare una mammografia possono essere necessari due anni di attesa, ma in 103 province italiane trascorrono sempre più di 60 giorni. A Sassari possono occorrere 150 giorni per un’ecografia e a Torino 125 per una densitometria. In provincia di Bologna, secondo i dati forniti dal CUP il 23 maggio 2005, per fare un’ecocardiogramma all’ospedale di Bazzano occorrono circa tre mesi, a Loiano quattro e a Bentivoglio cinque mesi; anche all’Ospedale Bellaria di Bologna si prevedono cinque mesi di attesa, mentre al Policlinico Sant’Orsola e all’Ospedale Maggiore di Bologna chiudono frequentemente le liste d’attesa per la grandissima richiesta di esami esterni. Vediamo da dove può scaturire questa situazione. A mio parere, parte dal medico, che ha una funzione di agenzia e di controllo della domanda. Infatti, è la figura che, più di altre, deve convertire i bisogni di salute in domanda di servizi e prestazioni. Il medico avvia il percorso diagnostico e terapeutico. C’è tuttora una rilevante dicotomia tra salute e prestazioni sanitarie, con scarsa informazione e capacità di valutazione del paziente riguardo alle cure che gli vengono fornite, quindi il rapporto di agenzia tra medico e assistito è sempre molto forte. A questo occorre aggiungere l’imprevedibilità dell’evento malattia. In periodi di particolare morbilità, naturalmente, la richiesta di esami e prestazioni è molto più elevata.
Altro elemento importantissimo in gioco è la cosiddetta induzione della domanda da parte dell’offerta, o “autoreferenziazione”, che può essere un’indicazione aspecifica di prestazioni o un’induzione specifica di prestazioni medico sanitarie. Nel primo caso il numero di medici influenza in modo diretto il volume delle prescrizioni e delle prestazioni: più medici presenti in un territorio richiedono più esami ed effettuano più prestazioni, anche secondo le rispettive specialità. Altro caso è rappresentato dall’introduzione di un nuovo strumento diagnostico, di una nuova metodica o dal rinnovo e sostituzione delle strutture esistenti. Ciò che passa per educazione sanitaria raccomanda costantemente controlli più frequenti presso i vari specialisti. Il medico è anche produttore di prestazioni sanitarie, in quanto svolge la funzione di agente dell’assistito: il perseguimento della soddisfazione del paziente può indurre il professionista a dare corso ai bisogni di questi anche richiedendo accertamenti diagnostici non appropriati o di efficacia marginale. Talvolta, la salvaguardia del prestigio professionale o la prevenzione di accuse di malapratica, con possibili risvolti medico legali, comporta la delega per maggiore competenza o esperienza ad altri specialisti. C’è poi il cosiddetto “paziente esigente”, colui che pretende di prendere in mano le redini della propria salute e reclama l’accesso diretto alla tecnologia, con atteggiamento spesso rivendicativo.
Da molti anni lo Stato sta cercando di ovviare a questa situazione, mettendo in atto una serie di provvedimenti. Il decreto del 2002 riguarda la definizione dell’appropriatezza dei tempi d’attesa come componente strutturale dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Sempre nel 2002 si sono svolti la Conferenza Stato Regioni, con l’accordo sulle priorità d’accesso e i tempi massimi d’attesa, e l’accordo Ministero della Salute Conferenza Assessori sulle modalità operative per effettuare il monitoraggio dei tempi di attesa. Alcuni risultati arrivano nel novembre dello stesso anno, ma sono ancora deludenti. È seguito un altro monitoraggio nel 2003, con revisione dei contenuti, degli obiettivi e dei metodi. La nuova indagine risulta più precisa, permette di capire meglio perché si verifica l’attesa, e i dati ottenuti consentono la comparazione dei tre differenti livelli, regionale, aziendale e distrettuale. L’attesa continua, ma lo strumento di monitoraggio creato ha una buona attendibilità. Nel 2004 la procedura e i software connessi vengono ancora migliorati, ma gli effetti ottenuti sono tuttora insufficienti.
La mia lettura di questo fenomeno è che è ancora sottoposto a un circuito organizzativo fortemente complesso. Il medico di medicina generale di solito fa la richiesta di consulenza o di prestazione diagnostico strumentale, indirizzando il paziente al distretto o all’ospedale di rete, di collegamento o di riferimento, che fanno il referto e rimandano il paziente al medico di medicina generale, in un percorso che rimane complesso. Si è pensato, dunque, di attuare percorsi di services a cui porre problemi clinici che richiedono la risposta dei professionisti specialisti, più che chiedere loro solo l’effettuazione di prestazioni. Il paziente va così dal medico, il quale lo invia al distretto o all’ospedale, all’interno dei quali il paziente compie un percorso diagnostico, alla fine del quale viene stilata la risposta data poi al medico inviante. Ritengo che, nell’attuale, questa sia la risposta più intelligente al problema delle liste d’attesa, anche se la sua attuazione stenta a decollare. La cardiologia, in tale ambito, potrebbe ricevere benefici particolarmente importanti da questa riforma, data la richiesta sempre crescente d’interventi e la maggiore complessità delle indagini richieste e l’età media dei pazienti che richiede una visione globale del proprio stato di salute, ma considerando che il ricovero ospedaliero non è, in molti casi, la risposta più adatta a molti quesiti posti dai medici di medicina generale.