PUÒ DARSI TOLLERANZA SENZA COMMERCIO?
Voltaire, in una delle sue osservazioni più felici, notò, scrivendolo in un saggio, che alle borse commerciali di Amsterdam, di Londra, di Surat o di Bassora, il guebro, il baniano, l’ebreo, il maomettano, il deista cinese, il bramino indiano, il cristiano greco, il cristiano romano, il cristiano protestante, il cristiano quacchero trafficavano tutto il giorno assieme, e nessuno di loro avrebbe mai levato il pugnale sull’altro per guadagnare un’anima alla sua religione. Nello stesso saggio Voltaire, che nella sua esistenza non avrebbe dato a sua volta sempre prova di tolleranza, si chiede poi perché gli europei si siano massacrati tra loro quasi senza interruzione, a partire dal primo concilio di Nicea. Quest’affermazione, consona all’idea di tolleranza che ha ispirato le pagine dell’odierna costituzione europea, ha tralasciato tuttavia di dire che il pugnale, e le armi in genere, sopra tutto quelle dell’intolleranza e dell’insopportabilità, non devono essere usate nemmeno per guadagnare anime, consensi o adesioni alla propria ragione, e per negare, tentare di sopprimere o di cancellare la ragione e il diritto dell’Altro. Resta tuttavia importante, perché, nel periodo in cui venivano definiti i termini stessi della nozione di tolleranza, propria del luogo comune in voga negli ultimi tre secoli, dopo decenni di guerre di religione seguiti alla pace di Augusta (1555), che aveva definitivamente sancito l’esistenza di differenti chiese nazionali e dopo secoli in cui, in Europa, ciascuno affermava che la propria era l’unica religione che si dovesse professare, vengono sancite la portata e la centralità del commercio nella pratica della “tolleranza”.
Il commercio è alla base della città, delle sue strutture e dei suoi stili di vita. Il rilancio del commercio fu condizione per la nascita e l’affermazione del rinascimento, così come lo era stato per il sorgere della polis greca. Il grande commercio internazionale, la cosiddetta globalizzazione dei mercati di oggi praticano solamente un aspetto del commercio, quello sotteso dallo scambio di grandi quantitativi di merci in cambio di transazioni altrettanto cospicue di denaro. Il nome, essenziale per l’avviamento e il proseguimento di un’attività commerciale, viene qui sostituito dal marchio, dal brand. Ma commerciare va oltre l’atto, seppure essenziale, dello scambiarsi merci, del trasferire oggetti e strumenti, o denaro; è una struttura che porta a regole non coercitive e non dogmatiche che danno, a loro volta, carattere e forma alla vita cittadina nei suoi vari aspetti: culturale, politico, economico, urbanistico. Il commercio viene addirittura prima dell’industria, ne è la base, è ciò con cui le cose incominciano. E sorge con l’equivoco, inestinguibile, lungo cui procede, come enunciato dalla cifrematica e come sottolineato da Armando Verdiglione: non mira, cioè, all’affermazione di una verità assoluta, alla ricerca di una verità come causa, foss’anche sullo stesso valore delle merci, ma a una prosecuzione attraverso l’equivoco e a una conclusione che avvia un processo simbolico attraverso lo scambio. Segue la vendita, con gli strumenti dell’incontro, dell’ascolto, della lingua diplomatica, della tolleranza. In pochi altri dispositivi come in quelli relativi alla vendita si avverte come la verità sia il tono dell’incontro e non sia, dunque, dogmatica. Forse si approssima a questa nozione quanto affermava Blaise Pascal a proposito della tolleranza come qualcosa che può scaturire solamente da una verità non compiuta, non esaustiva e non deterministicamente intesa, ma da una tensione che ha tra i suoi effetti la verità, senza che sia possibile credere di esserne detentori. La tolleranza introduce e ammette la differenza e accompagna il fare, la sessualità, la scrittura. Una città senza commercio, o con un commercio relegato in cattedrali lontane, custodi di scambi di merci estranei ai cittadini, è una città in cui l’equivoco, con la ricchezza e la tensione linguistica e culturale che l’accompagnano, avrà sempre meno cittadinanza, è una città che rischierà di considerare sempre più con sospetto la variazione, la differenza e l’intrapresa e di assumere il legalismo e il codice come unici garanti di una direzione e di una prosecuzione nella previsione. Il commercio avvia l’istanza dell’ospite, cioè dell’Altro non personificabile e non rappresentabile, e senza questa tolleranza nessuna riuscita.