LUCI E OMBRE DELLE TERAPIE CONTRO IL CANCRO

Qualifiche dell'autore: 
professore ordinario di Medicina Interna, già preside della Facoltà di Medicina dell'Università di Modena e Reggio Emilia

La mia attività scientifica – iniziata dopo la laurea, nel 1972, come gastroenterologo e proseguita, verso gli anni ottanta, dopo gli studi sul colesterolo e gli acidi biliari, con la ricerca sui tumori colon-rettali – mi ha insegnato che le armi a nostra disposizione contro il cancro sono quattro: la prevenzione, la diagnosi precoce, la chemio-prevenzione e la chirurgia.

La prevenzione è l’arma migliore, ma estremamente difficile, soprattutto nel caso di tumori come quelli al cervello o al pancreas, sui quali le informazioni scarseggiano. Il cancro al polmone, invece, ha visto diminuire la sua incidenza grazie alla lotta contro il fumo, che ha dato ottimi risultati. Tuttavia, ciò non basta, perché il problema dell’inquinamento atmosferico è lontano dall’essere risolto. Lo stesso dicasi dell’alimentazione: ancora oggi, avere un’alimentazione sana è estremamente arduo, anche perché gli studi sono altamente contraddittori; alle persone che mi chiedono consigli sull’alimentazione, dopo avere chiesto loro un atto di fede, raccomando una dieta vegetariana e macrobiotica. Prevenzione significa anche svolgere attività fisica, ma la maggioranza delle persone trascorre sette, otto ore davanti a un computer e poi, finita la giornata lavorativa, passa dallo schermo del computer a quello della televisione.

La diagnosi precoce può essere vista in due tappe successive: il cancro si può curare in una fase pre-cancerosa, oppure può essere diagnosticato quando è ancora operabile. Entrambe sono alla nostra portata per alcuni tumori, come quello al colon-retto, dove è possibile interrompere la sequenza che porta dalla mucosa normale del colon-retto al cancro infiltrante e metastatico, asportando il precursore del cancro, ossia il polipo. È importante eseguire una colonscopia intorno ai cinquant’anni per individuare eventuali polipi e quindi interrompere la sequenza, asportandoli.

Attualmente, sono quattro gli screening altamente raccomandati: la colonscopia per i tumori colon-rettali, la mammografia, per il cancro alla mammella, il pap-test per il cancro alla cervice uterina, ed il PSA (Prostate Specific Antigen) per i tumori alla prostata. Sono quattro tumori a elevata incidenza ma “curabili”, se si effettua una diagnosi precoce. Con lo screening si può scoprire la presenza di un tumore o di una lesione pre-cancerosa. In Italia, in particolare in Emilia Romagna, gli screening sono organizzati dal Sistema Sanitario Nazionale, in modo che, nella fascia di età più a rischio, le persone sono informate e chiamate a sottoporsi agli esami gratuitamente. È molto importante l’organizzazione dello screening; infatti, l’esperienza italiana dimostra che il novanta per cento delle persone si sottopone ad un esame gratuito, ben organizzato e strutturato.

Il terzo approccio, la chemio-prevenzione, è poco conosciuto. È stato elaborato, negli anni sessanta, da alcuni studiosi americani, con l’obiettivo di interferire con alcune sostanze prima che il tumore si manifesti. Consiste nell’assunzione quotidiana di una pillola “magica”, che protegge dal cancro: è una sfida molto attraente, ma purtroppo difficile da documentare. Ciononostante, gli studi sono andati avanti, e sono state identificate varie sostanze tra cui vitamine, calcio e selenio; tra gli ultimi farmaci utilizzati per la chemio-prevenzione troviamo gli antinfiammatori, come l’aspirina. Si cerca di prevenire la formazione di un tumore dando un chemio-preventivo a una persona sana; ovviamente occorre essere sicuri che il farmaco non sia tossico, che non abbia effetti collaterali e che sia di basso costo, dato che deve essere assunto per anni.

Infine, c’è la terapia chirurgica, che, per la maggior parte dei tumori, è l’unica e più potente arma a nostra disposizione. È un obiettivo raggiunto faticosamente nel corso della storia dell’uomo: per tutto il medioevo, la chirurgia è stata completamente ignorata, perché da un lato mancavano antibiotici e anestetici, dall’altro tanto la religione cattolica quanto quella musulmana proibivano di intervenire sui visceri per scopi medicamentosi. Solo a partire dall’illuminismo, ci si è liberati di questo problema etico, e la chirurgia ha fatto passi da gigante.

Nei casi in cui la chirurgia non basta, si deve ricorrere alla chemioterapia. Il primo esperimento di chemioterapia risale alla seconda guerra mondiale: in seguito a un bombardamento tedesco al porto di Bari, affondarono alcune navi contenenti sostanze tossiche che si dispersero in mare. Alcuni fra i marinai e i lavoratori del porto, dopo il bombardamento, presentavano un abbassamento notevole dei globuli bianchi. Studiando i componenti tossici dispersi nell’acqua, si scoprì che vi erano contenute molte sostanze che si sarebbero rivelate efficaci farmaci chemioterapici.

Come ricordava Paolo Pontiggia, la chemioterapia è nata con i tumori del sistema linfatico e i risultati in quel campo sono stati straordinari, ma con i tumori solidi i risultati sono stati inferiori. Ciononostante, sono stati fatti notevoli passi nella chemioterapia palliativa, ossia nei casi in cui il tumore rimane nell’individuo perché troppo avanzato per essere asportato. Fino a dieci anni fa, un paziente con un tumore colon-rettale in fase avanzata aveva una prospettiva di vita di sei mesi. Oggi, con i farmaci chemioterapici e gli anticorpi monoclonari specifici – che però sono ancora molto costosi – la sopravvivenza media è passata da sei mesi a tre anni. Anche nei tumori solidi, sebbene con molta fatica, la chemioterapia sta facendo passi avanti, ma il problema principale, com’è risaputo, è che questi farmaci sono tossici e non discriminano tra cellule malate e cellule sane.