NO AGLI PSICOFARMACI AI BAMBINI
Oggi si parla molto della sindrome ADHD nell’infanzia e nella prima adolescenza e va diffondendosi sempre più la somministrazione di psicofarmaci ai bambini. Lei conduce da anni una battaglia che mette in discussione l’operato della psichiatria. Può dirci qualcosa di più?
Soprattutto negli ultimi due anni, la questione saliente è proprio questa: la psichiatria continua a inventare malattie mentali dell’infanzia e dell’adolescenza. È una tendenza arrivata dagli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ottanta, che ora sta diventando una “moda” anche in Europa e in Italia. La conseguenza è certamente la somministrazione di psicofarmaci ai bambini, ma certo non potrebbe esserci somministrazione se non in seguito a una diagnosi. Una volta creata la malattia, è chiaro che si crea la necessità della cura. Mi rendo conto che parlare di somministrazione di psicofarmaci ai bambini, anche sotto il profilo emotivo, “è” la questione fondamentale. In realtà, ritengo che i termini non siano solo questi. Il mio percorso culturale e quello che sto facendo in quest’ultimo anno mi aiuta a far capire anche questo elemento.
Ancora due annotazioni sugli psicofarmaci ai bambini. La prima è che stiamo educando le giovani generazioni, se mai possiamo farlo, a risolvere i problemi della vita attraverso l’uso di una sostanza. Non ci lamentiamo, poi, se cresce il fenomeno della droga. La seconda è il fatto che quando un adulto assume un farmaco con effetti “mentali”, se avverte qualche problema percettivo, o meglio dispercettivo, o di pensiero, mette in relazione tale problema con la sostanza assunta, ne attribuisce a essa la causa. Un bambino di due, tre, cinque anni non è in grado di fare la stessa cosa.
Un’altra questione fondamentale è quella degli screening. In molte scuole vengono effettuati veri e propri test psicopatologici sui bambini, per diagnosticare questo o quel disturbo mentale. Questo non solo non è il compito della scuola, ma è una totale violazione della privacy e dei diritti del cittadino, che non è ammissibile in uno stato democratico. La battaglia principale di questo periodo, quindi, verte proprio intorno a questo, e devo dire che nell’ultimo anno siamo finalmente riusciti a suscitare l’interesse della politica: abbiamo una serie di proposte di legge, in varie regioni italiane, al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati, attraverso una campagna che abbiamo lanciato con lo slogan “Perché non accada”, in collaborazione con varie associazioni non profit, che chiedono un consenso informato strettissimo sulla somministrazione di psicofarmaci ai bambini e la proibizione dei test psicopatologici nelle scuole.
Spesso ai medici di base mancano gli strumenti per valutare la portata di problemi come questo e prescrivono gli psicofarmaci con estrema facilità. Di quali strumenti ulteriori pensa che il medico dovrebbe essere dotato?
Io credo che la questione sia essenzialmente culturale. Il medico si trova ad affrontare realtà che hanno svariate sfaccettature. La vita non è una cosa semplice, l’essere umano non è una macchinetta che si aggiusta girando una rotellina. La vita e gli esseri umani sono complessi e occorre dare risposte articolate e complesse. Non tutto può essere interpretato sul modello della macchina, da aggiustare attraverso un cacciavite. Poi, non sempre i problemi che appaiono sono veramente tali e a volte non sono di colui a cui si vogliono attribuire, ma di qualcun altro. Ritengo pertanto che il medico dovrebbe avere una maggiore preparazione culturale più che una maggiore preparazione tecnica.