LA POLITICA DELL'IMPRESA NEL SETTORE DELLA SANITÀ
Nel mio intervento a questo Forum internazionale, prendendo spunto dall’esperienza ultraventennale alla guida di Hesperia Hospital, cercherò d’illustrare limiti e opportunità della politica dell’impresa nel settore sanitario nel nostro paese.
Quando sono entrato nella Società, a metà del 1984, ho deciso di modificare tutta l’immagine di Hesperia, che allora aveva solo un anno di vita e si chiamava “Nuova Casa di cura Villa Laura”. Poiché i soci erano petrolieri, interessati all’utile che poteva derivare dalla fornitura di un servizio, occorreva individuare il “prodotto” e analizzare il “mercato”, nonché il panorama politico e istituzionale di riferimento. Ora come allora, non possiamo paragonare l’Italia agli Stati Uniti, dove la Hospital Corporation of America è quotata a Wall Street, gestisce ottocentomila posti letto nel mondo e si posiziona al di sopra della General Electric. In Italia, l’investimento nella sanità privata non può andare in borsa – come ho sostenuto in un recente forum a Montecarlo –, perché il nostro servizio sanitario si chiama ancora assistenza, in virtù della sua origine di attività affidata alle opere pie, l’odierna Caritas, ma non è stata mai considerata un servizio, e lucrare su un servizio sanitario è ancora ritenuto scorretto.
Allora, quando all’inizio abbiamo intrapreso uno studio per definire il prodotto sanitario, ci siamo accorti che non può esserci una definizione, ma si può solo individuare una caratteristica del nostro prodotto: chi ne ha bisogno non sa a che cosa gli serva. Quando dobbiamo acquistare un qualsiasi prodotto, sappiamo le caratteristiche che deve avere; se, invece, abbiamo un bisogno sanitario, dobbiamo ricorrere all’interpretazione del medico, che funge da fornitore del servizio. Inoltre, mentre la qualità di un prodotto è misurabile prima del suo lancio sul mercato, è difficile misurare la qualità dei servizi, che si forniscono e si creano nel momento stesso in cui vengono erogati. Le indicazioni più sofisticate, più rigorose, più attente possono essere migliorate o peggiorate. Proprio per questo, abbiamo sempre ritenuto molto importante la politica – intesa come strategia, scelta, filosofia, mission – dell’attività nella sanità.
Quando poi si è trattato di fare scelte di politica interna, abbiamo dovuto introdurre una grande trasformazione, per esempio, nel modo di lavorare, eccessivamente individualistico, dei medici: li abbiamo costretti a fare squadra, a collaborare, soprattutto nelle branche specialistiche, come la cardiochirurgia, uno dei nostri fiori all’occhiello, dove l’individualità non serve. Quello che serviva e serve invece è la possibilità di offrire il massimo che la medicina, con il contributo della scienza e della tecnologia, possono offrire in un determinato momento: dobbiamo riuscire a dare tutto ciò che esiste al mondo per ciascuna delle specialità di cui ci occupiamo. Questa è stata una politica vincente, se è vero che oggi Hesperia è un centro di eccellenza in Europa, è giunta addirittura a esportare il proprio modello organizzativo, è nel book delle strutture sanitarie inglesi e incomincia a ricevere la richiesta di servizi anche da altri stati dell’UE.
Tuttavia, non possiamo dire che la sanità e la politica dell’impresa sanità non ricevano un grande “condizionamento di contorno”, che è quello dei vincoli delle scelte che la “politica” fa nella sanità: si pensi al numero delle riforme, dalla istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, con la riforma del 1978, all’ultima dell’ultimo Ministro e preceduta da tante altre, per quanti Ministri si sono alternati, e nessuna attivata per intero.
Per fortuna, l’evoluzione della sanità non è legata a questa politica, ma all’innovazione tecnologica e al contributo delle altre scienze: dalla scoperta della sterilizzazione, della pentola di Papin e del termometro fino al microscopio elettronico, alla risonanza magnetica e alla TAC-PET, i progressi in medicina non hanno richiesto una specifica conoscenza medica. E in Hesperia abbiamo sempre tenuto conto di questo, tanto da essere all’avanguardia in tutte le nostre specialità. Fin dall’inizio, il nostro obiettivo era quello di creare un centro di eccellenza e di richiamo e, oggi, il sessanta per cento del nostro fatturato è dovuto ai servizi forniti a clienti provenienti da altre regioni. Abbiamo la possibilità di eseguire interventi come la chirurgia dello scompenso cardiaco solo a Modena e, meno di un anno fa, abbiamo ricevuto dagli Stati Uniti il riconoscimento di secondo centro al mondo per risultati e arruolamento di pazienti.
Il nostro successo è legato anche alle Università, che costituiscono il centro di eccellenza per la ricerca di base: siamo sede distaccata della Scuola di Specializzazione di Cardiochirurgia di Bologna dal 1993, sede distaccata per l’ambito chirurgico dell’Università di Ferrara e sede europea dell’Arizona Heart Institute di Phoenix, dove lavora uno dei più importanti cardio-chirurghi al mondo, Edward B. Diethrich. Lo scambio con gli Stati Uniti è importante perché ci consente di confrontarci costantemente con i risultati raggiunti oltreoceano e, di conseguenza, cercare i professionisti più validi per la nostra struttura. Per esempio, di recente, è arrivato dagli Stati Uniti uno specialista, che insegna ancora all’Università di Philadelphia, per fornirci assistenza in un settore molto importante della cardiochirurgia, l’elettrofisiologia, una specialità molto particolare che richiede specifiche competenze tecniche, oltre che internistiche, da parte del professionista.
In conclusione, nel 2004 i nostri risultati nell’ambito della cardiochirurgia sono stati i migliori, tra pubblico e privato, in Italia e questo non è il solo motivo per dire che oggi siamo un centro di eccellenza e di richiamo noto in tutta Europa.