AUSPICO UN NUOVO REPUBBLICANESIMO
Il libro di Alain-Gérard Slama, La regressione democratica (Spirali), non è affatto “politicamente corretto” e, anche per questo, si distingue nel panorama culturale e politico francese in cui il “politicamente corretto” ha preso piede in maniera eccessiva e inaspettata. La stessa cultura francese, che ci aveva abituato a originalità e creatività nell’ultimo quindicennio, il periodo che Slama analizza nel suo libro, ha subito un’evidente svolta per cui il “politicamente corretto” oggi ha un impatto molto significativo.
Ho l’impressione che Slama sottovaluti il fatto che alcune delle regressioni che descrive sono insite in un’idea di democrazia come sistema progressivo, sempre più tollerante, che concede e amplia la sfera dei diritti, un’idea espressa molto bene da Leopardi nella formula “Le magnifiche sorti e progressive”. Questa idea di democrazia in espansione è molto diffusa anche in Francia. Nella concezione francese, infatti, a differenza di quella italiana, la democrazia doveva essere esportata.
Alain-Gérard Slama è nato a Tunisi e la Tunisia, come l’Algeria e il Senegal sono luoghi in cui la Francia ha portato una moderna concezione dello stato. Naturalmente, a ogni passaggio, Slama sottolinea che gli italiani, essendo sempre un gradino meno evoluti, non arriveranno al livello di regressione dei francesi. L’Italia non ha uno stato forte e legittimo come quello francese, né la sua efficiente burocrazia, quindi, la questione si pone in termini meno drammatici.
Il bersaglio di Slama non è la democrazia in senso lato, ma una democrazia che non è più repubblicana né universalistica né meritocratica (questi erano i principi fondamentali della democrazia che ha avuto la Francia e che Slama vuole difendere) perché permette a gruppi limitati di ottenere, attraverso il “politicamente corretto”, privilegi specifici. In special modo, la democrazia francese avrebbe perso le sue caratteristiche meritocratiche a causa della forza di alcuni gruppi di penetrare lo stato, ottenere vantaggi e nutrirsi di risorse pubbliche. Tutto questo, dunque, entra in conflitto con l’idea di democrazia progressiva, che crea sempre nuovi diritti, perché i vari gruppi che li pretendono diventano aggressivi e avidi di ottenere vantaggi.
Qui si aprono due tipi di problemi: in primo luogo, questo potrebbe non essere dovuto al quadro politico istituzionale, ma a quello sociale. Le società contemporanee, infatti, sono diventate estremamente frammentate e la democrazia, non essendo più in grado di offrire leggi precise e uguali per tutti, deve riuscire a inseguire i differenti gruppi, cercando di ricomporre una società che sta disgregandosi. Forse il titolo del libro doveva essere La disgregazione democratica.
In secondo luogo, siamo sicuri che questi processi possano essere affrontati in chiave culturale, attraverso maggiore istruzione e con l’imposizione di valori, come ritiene Slama, oppure dovremmo operare attraverso le istituzioni con regole che incentivino alcuni comportamenti? Credo che questa seconda sia la versione più democratica, perché utilizza la politica per suggerire i comportamenti più produttivi per l’intero sistema.
Invito a riflettere. Ciò che stiamo criticando a livello europeo non sarebbe per nulla negativo se invece si riferisse a processi socio-politici in corso in altri paesi del mondo. Se ci fossero processi democratici non organici, ma pur sempre democratici, in altri continenti, ne saremmo contenti, perché segnalerebbero un’espansione della democrazia. Sarebbe certamente una democrazia poco repubblicana, non ancora meritocratica e tanto meno universale, ma non avremmo dubbi che per consolidare tali processi ci si debba servire prima di tutto di un nuovo sistema di regole.
Un’altra importante questione posta da Slama è la distinzione tra individualismo e comunitarismo. Ha certamente ragione nel sottolineare che la democrazia contiene in sé un’ampia dose d’individualismo e che questo va sostenuto, ma non possiamo dimenticare che il concetto di democrazia si definisce in base all’attribuzione del “potere al popolo”. Si postula, dunque, che il popolo sia un’entità con poche contraddizioni e poche divisioni, unito intorno a alcuni principi. Il concetto di popolo come luogo della democrazia è intrinseco e in alcuni paesi conduce fortemente, attraverso appelli e richiami al popolo, nella direzione populista. La retorica populista si trova in quasi tutte le democrazie, a meno che non riescano a essere fortemente aristocratiche e rappresentative senza spazi alla democrazia diretta. Sono dunque d’accordo con Slama riguardo all’attenzione per l’individuo perché spesso nelle democrazie, invece, si avvertono tendenze populiste.
Sono meno d’accordo con lui, e anche con Carlo Monaco, sul secondo aspetto, la comunità. Il colore della nostra pelle, la religione, la lingua definiscono inevitabilmente il gruppo di appartenenza in cui siamo nati e da cui è difficile uscire. Questo complica la costruzione di una democrazia universalista perché non si pensa di avere il diritto di chiedere alle più diverse comunità di venir meno alle loro secolari tradizioni per adeguarsi alla cultura e alla legge nazionali. L’esempio attuale più drammatico ci viene dato dalla pratica tradizionale dell’infibulazione delle donne africane. Eppure, la moderna concezione democratica suggerisce che, per quanto questo rito sia tradizionale e identificatorio, non deve essere consentito, perché viola i principi superiori dei diritti umani. Il comunitarismo, dunque, spesso diventa conformismo, imposizione e violenza. Voglio aggiungere però una terza possibilità, oltre alle due forme sociali individualistiche e comunitarie descritte da Slama, ci sono gruppi che nascono e ruotano intorno a interessi e a preferenze condivise. Quello che auspico non sono né individui autonomi sparsi, né comunità chiuse su precetti antichi, ma individui che collaborano insieme per dare senso alla loro vita intorno a diritti e doveri: un nuovo repubblicanesimo che certo avrebbe facile e nobile cittadinanza nella democrazia della Quinta Repubblica francese.